Gli scudi dei Romani (VIII sec. a.C. – XV sec.)

Se dico “scudo romano”, sono sicuro che per la maggior parte di voi questo è il celebre scudo rettangolare (magari con tanto di decorazione a saette e ali spiegate).

Quel tipo di scudo, in realtà, è solo uno dei tanti che i Romani utilizzarono nel corso della loro Storia, e nemmeno quello utilizzato più a lungo.

Come è naturale per un esercito che è esistito e ha subito forti cambiamenti nel corso di duemila anni, gli scudi dei Romani sono di volta in volta evoluti per sopperire alle diverse esigenze belliche, nonché sotto differenti influssi culturali. In più, in diversi momenti hanno convissuto differenti tipi di scudo contemporaneamente.

Proviamo quindi a fare un breve viaggio tra le tipologie principali degli scudi utilizzati dalla fanteria romana, dalla fondazione di Roma alla caduta di Costantinopoli.

I primi scudi romani (VIII-VII sec. a.C.)

All’inizio della Storia romana, troviamo utilizzate principalmente due tipologie di scudi, entrambi a presa centrale.

Tra i due, lo scudo sicuramente più emblematico del periodo è lo scudo tondo completamente in bronzo, riccamente decorato a sbalzo. Questi scudi non avevano una componente organica.

Questa tipologia di scudi, con una manopola centrale in metallo e legno, era quasi certamente destinata all’élite guerriera aristocratica, come provato anche dal rinvenimento in sepolture di alto rango. Le dimensioni di questi scudi erano estremamente variabili, spaziando tra i 50 e i 90 cm di diametro – scudi tra quelli di grandi dimensioni sono oggi esposti ai Musei Vaticani.

Guerrieri aristocratici dell’VIII sec. a.C. equipaggiati con scudi metallici tondi. Immagine dal documentario “L’Alba degli Etruschi“, una produzione di Res Bellica.

A una seconda tipologia di scudi appartengono invece scudi oblunghi e ovali, con una nervatura centrale lignea di rinforzo, detta “spina”. Questi scudi completamente organici (forse addirittura con la “tavola” realizzata in sola pelle su più strati), sviluppatisi in Italia e derivati probabilmente da più antichi modelli micenei, erano destinati al resto degli eserciti e bande guerriere del periodo. Ne restano solamente rappresentazioni iconografiche.

Questa seconda categoria, che vede già probabilmente presenti due tipologie (il thyreos a tavola piatta e lo scutum, curvato) avrà una vita ben più lunga dello scudo tondo. Lo scudo oblungo a impugnatura centrale è esportato fuori dall’Italia e passa a diffondersi anche in Europa centrale, presso la cultura di Halstatt – quella cultura che sarà seguita, semplificando un po’, dalla cultura di La Tène (quella che volgarmente definiremmo cultura celtica), che a sua volta acquisirà tale tipo di scudo.

Lastra di chiusura di una tomba a pozzetto da Vetulonia, VIII sec. a.C.

Ma prima del suo definitivo successo, questo scudo è destinato a un temporaneo oblio.

Tra la fine dell’VIII e il VII secolo, ha inizio in Italia la cd. fase orientalizzante, che vedrà arrivare da Oriente, e in particolare dalla Grecia, anche nuovi modelli di armamento.

Lo scudo oplitico, o clipeus (VI-IV sec. a.C.)

Con la fase orientalizzante e l’influenza greca sempre più forte, il nuovo modello di guerriero ideale diventa l’oplita.

Noto in greco come aspis, in latino il grande scudo tondo degli opliti è chiamato clipeus (un termine che continuerà a definire in genere gli scudi tondi anche nei secoli successivi).

Repliche di clipei realizzate da Res Bellica. Le decorazioni sono basate su fonti iconografiche etrusco-italiche del V sec. a.C.

Caratterizzato dalla struttura concava ricavata scavando le assi di legno che la componevano e dalla tesa dritta, questo pesante scudo (si stima arrivasse a pesare 9-10 kg) ha spesso un rivestimento esterno parzialmente o totalmente in lamina di bronzo, a volte recante delle decorazioni.

A differenza degli scudi a manopola, non ha un’impugnatura centrale ma un sistema a imbracciatura, con un alloggio per l’avambraccio (porpax, in greco) in bronzo o legno e bronzo, e una presa per la mano costituita da una corda passante per diversi elementi a staffa e anelli inchiodati sulla faccia interna dello scudo.

Parte interna di un clipeus. Una replica Res Bellica.

Nell’Italia antica, e di conseguenza anche a Roma, l’oplita è probabilmente declinato in maniera differente rispetto al modello greco. Gli schieramenti dell’Italia del periodo vedono un nucleo relativamente ristretto di opliti, equipaggiati anche di armi da getto e con uno stile di combattimento meno serrato della falange greca, fiancheggiati da un numero relativamente più alto di combattenti con equipaggiamento più leggero e con i vecchi scudi oblunghi a manopola.

Questi ultimi sono rappresentati in diverse fonti iconografiche dell’Italia antica affiancati al clipeus, andando a ben testimoniare la convivenza di tipi di scudo diverso. Come i loro predecessori, questi scudi sono quasi certamente realizzati totalmente in materiali organici.

Resa grafica dei corteggi di guerrieri dalla situla Certosa, V sec. a.C.
Si notano molto bene gli opliti armati di clipeus, in numero molto minore rispetto ai guerrieri armati di scudo oblungo a manopola.

Pur avendo avuto una grande fortuna, il clipeus come principale scudo dei Romani avrà vita relativamente breve. L’arrivo improvviso dei Galli nella Penisola, equipaggiati con scudi oblunghi a manopola, e il loro scontro vittorioso contro gli opliti etruschi e italici, costringerà anche i Romani a riconsiderare le loro tattiche e soprattutto i loro armamenti.

Seppur lo scudo oplitico sopravvivrà forse per un breve periodo di tempo in mano ai triarii (organo vestigiale, per così dire, del vecchio modo di combattere degli opliti),iniziava definitivamente l’epoca dello scudo a manopola centrale.

Gli scudi della Roma repubblicana (IV-I sec. a.C.). Dal thyreos allo scutum.

Inventato in Italia, esportato in Europa centrale e rivitalizzato nelle panoplie della Penisola a seguito dalla calata gallica, lo scudo a manopola centrale sembra seguire uno sviluppo non perfettamente lineare.

Da quanto si riesce a evincere dalle fonti scritte e da quelle iconografiche, come accennato in precedenza esistevano due tipologie di scudo oblungo a manopola, oggi distinte tra thyreos (lett. “a forma di porta”) a tavola piatta e lo scutum (dal greco skoutos, cioé “pelle”, per via del loro originario materiale in età regia), con tavola curvata, maggiormente coprente. In realtà, nelle fonti antiche e ancora in quelle medievali, thyreos e scutum sono termini pressoché intercambiabili, a indicare uno scudo oblungo.

All’inizio, almeno a giudicare dalle fonti visuali, sembra maggiormente adottato il thyreos, di forma ovale, mentre lo scutum, di maggiori dimensioni e di forma maggiormente quadrangolare, per quanto sempre ovaleggiante, pare essere più limitato.

Riproduzione Res Bellica di thyreos celtico.
In questo particolare esemplare, mancano del tutto gli elementi metallici – in particolare, i bordi: questo anche per una questione di sicurezza per l’utilizzo in ambito rievocativo.

La spiegazione in questo caso potrebbe essere economica, poiché produrre uno scudo con tavola convessa e più grande come lo scutum doveva essere decisamente più costoso che costruire un thyreos. Si potrebbe supporre che, nel periodo di prima convivenza dei due tipi, lo scutum fosse almeno adottato da reparti di soldati maggiormente benestanti, come i triarii – ma questo, non essendoci prove, resta un mero esercizio speculativo.

Col passare del tempo, nel mondo romano lo scutum va a soppiantare il thyreos e nel III sec. a.C., nonostante permangano rappresentazioni di thyreoi ovali in ambito italico ed etrusco, la situazione è pressoché definitiva. Questo è forse testimoniato da Fabio Pittore e Polibio nella loro descrizione della battaglia di Talamone del 225 a.C., nella quale i legionari romani sono dotati di scudi più grandi e più coprenti rispetto a quelli dei Galli (i quali avevano per certo scudi ovali del tipo thyreos), una situazione ricorrente nelle fonti.

La descrizione sicuramente più famosa dello scutum di epoca repubblicana ci è fornita da Polibio, che scrisse nel II sec. a.C.:

“[…] uno scudo convesso, largo due piedi e mezzo [ca. 74 cm]  e lungo quattro [ca. 120 cm], il cui orlo è spesso quanto un palmo.

Lo scudo è formato da due strati di legno uniti con colla di bue, con la superficie esterna ricoperta prima con tela di lino e poi con pelle di vitello. L’orlo superiore e inferiore ha una bordatura in ferro per proteggerlo dai fendenti e dall’usura quando poggia a terra. Su di esso è anche fissato un umbone di ferro, per resistere ai colpi più formidabili di pietre e sarisse, e in generale da proiettili pesanti.” 

Un esempio di scutum romano, semplicemente bianco, senza rinforzi metallici. Replica Res Bellica. Anche in questo caso, il bordo è completamente organico, per motivi di sicurezza per l’uso pratico moderno.
Replica Res Bellica di scutum romano dipinto, con rivestimento in pelle. Il colore principale è sempre il bianco, come probabilmente doveva essere anche in antico. Come per altre repliche, il bordo metallico è qui assente per motivi di sicurezza d’uso.

Le due bordature metalliche inferiore e superiore (presenti sia in ferro che in bronzo) sono un apporto del mondo celtico, e avranno importanti sviluppi negli scudi del periodo imperiale. L’umbone a rinforzo della spina è invece quasi certamente da legare alle innovazioni introdotte dall’armamento iberico e cartaginese nella fase finale della Seconda Guerra Punica – seppure anche i Celti, in forme diverse, lo avevano già sui loro scudi. Infatti, prima del III sec. a.C. usualmente non si vedono sugli scudi romani.

Le dimensioni descritte da Polibio, che consentivano una protezione del legionario dalla spalla alla caviglia, e la struttura interna in più strati di legno, sono grosso modo confermate anche da uno straordinario reperto di scutum (per quanto forse non romano) del I sec. a.C. da Kasr el Harith, in Egitto. Lo scutum in questione, noto come “scudo del Fayum”, del quale si conserva la tavola curva e la spina centrale in legno, è largo 64 cm e lungo 128, ed è composto da tre strati di sottili assi, con un spessore che dai 12 mm del centro va a diminuire verso i bordi, fino ai 10 mm.

Il peso medio stimato di questi scudi, partendo dallo scudo del Fayum e andando a ricostruzioni operate dagli archeologi, doveva essere tra i 7 e i 10 kg.

Replica Res Bellica di scutum romano con umbone metallico. Come per altre repliche, il bordo metallico è qui assente per motivi di sicurezza d’uso.
Replica Res Bellica di scutum romano con umbone metallico. Con il suo colore bianco, deve apparire molto simile agli scudi dei Cimbri sottratti ai Romani, come descrive Plutarco. Come per altre repliche, il bordo metallico è qui assente per motivi di sicurezza d’uso.

Il rivestimento esterno in pelle descritto da Polibio non era forse l’unico possibile. Uno straordinario ritrovamento di un rivestimento di un thyreos ellenistico del II sec. a.C. dall’Afghanistan dimostra come un altro possibile materiale di copertura fosse il gesso, applicato su uno strato di stoffa. Sempre lo scudo del Fayum mostrava inoltre tracce di feltro sulla tavola lignea, forse uno strato di materiale da applicare sotto la pelle.

Non abbiamo un’idea precisa di come fossero decorati e colorati gli scudi dei legionari repubblicani. Abbiamo però almeno un’idea abbastanza chiara dei principali utilizzati, ovvero il bianco e il rosso. Il bianco, in particolare, a differenza del nostro immaginario che vede lo scudo dei Romani immancabilmente rosso, sembra un colore ricorrente su thyreoi e scuta in tutto il Mediterraneo. Per quanto concerne i Romani, la testimonianza più diretta ce la fornisce Plutarco. Narrando la battaglia di Vercellae 101 a.C., l’autore descrive gli scudi dei Cimbri, preda di guerra romana, come “bianchi scudi risplendenti”.

Inoltre, alcuni rari reperti mostrano un uso di decorazioni metalliche sulla tavola dello scudo.

Ricostruzione dello scudo dal santuario di Gurzufskoe Sedlo, in Crimea, basata sugli elementi metallici rinvenuti. La datazione colloca gli elementi metallici (manopola in ferro, coprispina e appliques in bronzo placcato argento) nella prima metà del I secolo a.C., e inquadra il ritrovamento nel contesto delle Guerre Mitridatiche.
Lo scudo sarebbe stato preda di guerra di combattenti Sciti o Tauri che avrebbero militato sotto le insegne di Mitridate in una delle sue guerre contro Roma.
Grazie alle dimensioni della spina si può stimare l’altezza dello scudo, che spazia da 103 a 105 cm
Ringrazio Gioal Canestrelli per la condivisione dell’immagine e delle informazioni.

Tolte le aggiunte delle parti metalliche di rinforzo, lo scutum non sembra andare incontro a particolari cambiamenti morfologici tra IV e I sec. a.C., se non una probabile riduzione della spina lignea, ormai forse non più utile come elemento di rinforzo, e una maggiore rilevanza dell’umbone metallico, che da elemento di rinforzo col tempo diventa un elemento difensivo dello scudo a sé stante.

Anche per questo motivo, è difficile spiegare quella che sembra l’improvvisa trasformazione dello scutum di periodo repubblicano nell’iconico scudo rettangolare di epoca alto imperiale.

Lo scutum rettangolare e altri scudi dell’alto impero (I sec.-III sec. d.C.)

A partire dal periodo augusteo, lo scutum utilizzato più diffusamente dalle legioni va incontro a una trasformazione radicale.

Infatti, da uno scudo già più o meno quadrangolare di suo, ma oblungo e comunque ovaleggiante, si passa in modo apparentemente improvviso a uno scudo più corto, decisamente rettangolare. Per circa due secoli e mezzo, questo scudo sarà quello maggiormente utilizzato in seno all’esercito romano.

Scudi quadrangolari e convessi erano già conosciuti e usati dai Romani nei secoli precedenti, ma sono rappresentati raramente e soprattutto, pur essendo coerenti per dimensioni con gli scuta del periodo alto imperiale, sono di forma trapezoidale (fa eccezione un rilievo con due grandi scudi propriamente rettangolari da Amiternum, che però esula da un contesto e da una rappresentazione prettamente militare). Questi scudi sono attribuiti ai Sanniti da Tito Livio, il quale però, viste le evidenze per quanto concerne gli scudi di questo popolo, aveva forse in mente la categoria gladiatoria più che i Sanniti storici. Anche se la similitudine è evidente, tracciare con sicurezza una linea diretta tra questi scudi e quelli rettangolari sarebbe eccessivo.

Rilievo da Estepa, Spagna, datato al I sec. a.C., con legionari e scudi trapezoidali.

Un’altra possibile spiegazione sullo sviluppo di questi scudi potrebbe essere dato dalla volontà di semplificare il processo di produzione, con una costruzione che sicuramente poteva essere più veloce e con minor materiale di risulta. Questo sarebbe coerente anche con la produzione di elmi del periodo, che erano funzionali ma senza alcun riguardo alle rifiniture estetiche finali, e spesso realizzati con palesi errori e asimmetrie (ringrazio Gioal Canestrelli per la riflessione su questa ipotesi).

Ancora, su alcuni rilievi di periodo augusteo (es. arco di Orange), sembra vedersi un tipo di scudo con il lato inferiore curvo, come in un qualunque scudo ovale, ma con il lato superiore orizzontale. Una sorta di modello di transizione?

La questione sul passaggio allo scutum rettangolare, insomma, resta aperta.

L’unico reperto a nostra disposizione di scudo rettangolare del periodo alto imperiale è un esemplare piuttosto tardo, datato al III sec. d.C., rinvenuto nell’antica Dura Europos, in Siria.

La costruzione, in più strati di legno incollati tra loro ricoperti di pelle, è del tutto simile al più antico scudo del Fayum. Tuttavia lo spessore è radicalmente diverso, poiché il centro è circa 6 mm e va a sfinare verso le estremità, raggiungendo i 4,5 mm. Si tratta quindi di uno scudo, con i suoi 5,5 kg di peso, molto più leggero dei suoi predecessori – una caratteristica che troveremo anche in seguito. Alcuni studiosi hanno supposto che gli scuta del I-II sec. d.C. fossero più spessi, pesando fino a un massimo di 7,5 kg.

La dimensione di questo scudo, con una tavola di ca. 102 x 83 cm (e con una “vista frontale” di 102 x 66 cm, se consideriamo come lunghezza minore la linea retta immaginaria che unisce i due lati lunghi), è coerente con tutte le rappresentazioni di scudi rettangolari del periodo tra il I e il III sec. d.C., nelle quali i soldati sono coperti dalla spalla al ginocchio.

Lo scutum di Dura Europos e, a sinistra, la ricostruzione grafica di Peter Connolly. Si nota come la ricostruzione restituisca l’originaria forma al reperto, che per via dello stato di conservazione risulta molto schiacciato e stretto rispetto a come era in antico.

Se lo scudo di Dura Europos era bordato in pelle, sappiamo dai ritrovamenti archeologici, dalle raffigurazioni e dalle descrizioni letterarie che gli scuta rettangolari avevano, almeno tra I e II sec. d.C., usualmente un bordo completamente in metallo, così come usualmente in metallo dovevano essere le decorazioni della tavola.

Tesoretto di umboni e placche varie il lega di rame ritrovato a Saffig in Rhineland-Pfalz, a metà strada tra Trier e il corso del Reno, datato alla prima metà del I secolo d.C.
Ringrazio Gioal Canestrelli per l’immagine e la spiegazione.

Al contrario, la complessa decorazione dello scudo di Dura Europos è totalmente dipinta. Difficile dire se decorazioni metalliche fossero in uso nello stesso periodo, o se anche prima del III sec. decorazioni dipinte convivessero con quelle metalliche.

Da quello che si riesce a evincere dalle fonti (sia quelle scritte che quelle visuali, che mostrano una situazione particolarmente variegata), sappiamo come ogni legione avesse le proprie specifiche decorazioni da utilizzare sugli scudi, per distinguere la propria unità dalle altre.

Replica di scutum rettangolare del periodo del Principato, realizzata da Res Bellica.
In questo caso, il bordo è metallico ma la decorazione è completamente dipinta.

Gli scuta rettangolari non erano l’unico modello di scudo esistente in seno all’esercito romano. Almeno dalle rappresentazioni iconografiche, sappiamo infatti che le fanterie ausiliarie utilizzavano usualmente uno scudo ovale piatto – probabile retaggio degli scudi celtici più tardi, del periodo LT D.

Questi scudi dovevano essere di dimensioni simili, o anche più piccoli, degli scudi rettangolari, come mostrerebbe il reperto di Valkenburg, in Olanda, datato tra I e II sec. d.C.. Si tratta dei frammenti della custodia in cuoio (tegimentum) di uno scudo ovale piatto (o meglio, curvo alle estremità e con i lati lunghi dritti, indicando quindi l’esistenza di un’ulteriore tipologia di scudo), dal quale gli studiosi hanno potuto trarre una misura di ca. 92 x 46 cm.

Nel nostro immaginario, gli scudi degli ausiliari sono usualmente verdi o blu. In realtà, non conosciamo che colori preferenziali (se ne esistevano) fossero utilizzati per gli scudi degli ausiliari (così come per quelli dei legionari, a dire il vero). Questi due colori derivano da ricostruzioni grafiche nate tra gli anni ’80 e ’90, prendendo poi piede anche nelle ricostruzioni. Se non possiamo escludere che verde e blu fossero utilizzati, non abbiamo tuttavia fonti certe per definirlo.

Replica Res Bellica di tegimentum per scutum rettangolare. Frammenti di custodie per scudi rettangolari sono stati rinvenuti in gran numero a Vindonissa, nell’odierna Svizzera.

Tuttavia, al di là della divisione tra scudi rettangolari e ovali, rispettivamente usati da legionari e ausiliari, che noi diamo per scontata, la realtà era decisamente più sfaccettata.

Si prenda ad esempio la Colonna di Marco Aurelio (eretta nel tardo II sec. d.C., al tempo di Commodo). Qui possiamo vedere chiaramente come scudi rettangolari e ovali convivano, utilizzati dai legionari. Anzi, a ben guardare, gli scudi rettangolari sono poco o nulla rappresentati.

Inoltre, anche sulla precedente e ben più famosa Colonna Traiana sono ben visibili figure con scudo ovale che, per via delle decorazioni sugli scudi o del loro armamento, sono quasi certamente dei milites legionis, piuttosto che degli ausiliari.

Deve far riflettere anche che i resti di uno scudo che si suppone sia stato subrettangolare, da Doncaster, siano usualmente ascrivibili a un ausiliario (anche se questo scudo in questa trattazione è forse fuori luogo, considerando che, vista l’impugnatura verticale, si suppone fosse di uno scudo da cavaliere).

Repliche di scudi ovali da ausiliario, realizzati da Res Bellica. Scudi di questo tipo erano in uso tanto tra gli ausiliari di fanteria che di cavalleria.

A parte stimolare le dovute riflessioni su una maggiore differenziazione degli scudi legionari e ausiliari rispetto a come usualmente li immaginiamo, la presenza di così tanti scudi ovali in mano ai legionari già alla fine del II sec. d.C. rende probabilmente meno strano di come viene percepito di solito il definitivo passaggio, nella tarda antichità, a scudi ovali e tondi per tutto l’esercito romano.

Gli scudi della tarda antichità (IV-VII sec. d.C.)

Con la tarda antichità si affermano definitivamente scudi ovali e scudi tondi.

Come si evince dalle fonti iconografiche, gli scudi ovali non erano però identici a quelli degli ausiliari del periodo alto imperiale, usualmente piuttosto piccoli e stretti. Gli scudi ovali della tarda antichità, piatti o leggermente bombati, tornano a coprire dalla spalla alla caviglia come gli scuta repubblicani, ed essendo anche decisamente più larghi.

Per avere un’idea delle dimensioni reali degli scudi ovali tardo antichi possiamo affidarci ai reperti di III sec. d.C. rinvenuti a Dura Europos. Questi scudi, sebbene alcuni quasi certamente non abbiano avuto uno scopo bellico, visto che non hanno alcun rivestimento esterno, hanno una misura di 110/118 x 95 cm, e uno spessore tra gli 8 e i 12 mm.

Replica Res Bellica di uno scudo ovale tardo antico.

Queste misure sono coerenti con quanto si evince dalle numerose raffigurazioni in nostro possesso degli scudi tardo antichi, e con alcune testimonianze scritte indirette. Ammiano Marcellino, per esempio, riporta che i soldati, come segno di approvazione per il proprio comandante, iniziarono a battere gli scudi contro gli schinieri (un’operazione più facilmente immaginabile con uno scudo lungo fino alla caviglia, anche se non impossibile con scudi di minori dimensioni).

Un trattato anonimo forse di VI secolo, inoltre, raccomanda che gli scudi dei fanti delle prime linee siano molto più grandi e robusti. Tuttavia la misura proposta per la loro altezza, visto che l’unità di misura adottata non mette d’accordo gli studiosi – si spazia da un improbabile 164 cm di altezza a un più realistico 109 cm.

Accanto agli scudi ovali, nella tarda antichità vengono utilizzati con sempre maggiore frequenza scudi tondi di grandi dimensioni, tra i 90 e i 100 cm di diametro (una misura che, almeno a giudicare dalle fonti iconografiche, forse va leggermente a diminuire tra VI e VII secolo).

Di questi grandi scudi tondi, già visibili per esempi sui rilievi di IV secolo dell’arco di Costantino, abbiamo fortunatamente ben tre reperti provenienti dall’Egitto, che si conservano quasi intatti, datati tra il V e il VI secolo. Le elaborate decorazioni fanno forse intuire un uso da parte di ufficiali o comunque figure di alto rango: personaggi del genere, infatti, avevano la possibilità di avere scudi personalizzati.

Oltre all’elaborata decorazione, i tre scudi conservano anche la struttura lignea, realizzata in un solo strato di assi di legno incollate tra loro, come gli scudi ovali di Dura Europos, e sono spessi ca. 7 mm. Il rivestimento esterno è in cuoio non conciato e il bordo cucito, anch’esso in cuoio non conciato.

I tre scudi decorati dall’Egitto. In alto i resti archeologici, in basso le rispettive ricostruzioni grafiche.

Un elemento per il quale gli scudi tardo antichi si differenziano rispetto ai loro predecessori è la forma dell’umbone. Pur andando incontro a modifiche, e pur ancora esistendo umboni dal profilo tondeggiante, in generale l’umbone degli scudi tardo antichi è di forma ogivata, appuntita. Segno probabile di un utilizzo si aggressivo dello scudo come doveva già avvenire in passato, ma con una maggiore enfasi sull’uso offensivo dell’umbone (mentre per gli scuta  repubblicani e dell’alto impero l’uso offensivo doveva essere destinato soprattutto, seppur non esclusivamente, al bordo inferiore).

Secondo un’interpretazione di un passo di Vegezio, almeno tra IV e V secolo gli scudi potevano avere un alloggiamento per le plumbatae, ma è assai più probabile che queste fossero portate in apposite sacche o faretre.

Replica di uno scudo tondo tardo antico, realizzata da Res Bellica, con ipotesi ricostruttiva del porta-plumbatae.

Oltre alle decorazioni degli scudi egiziani sopra menzionati, conosciamo piuttosto bene una gran quantità di simboli di diverse unità tardo antiche, principalmente attraverso il documento noto come Notitia Dignitatum. Questi erano dipinti, e manuali militari come lo Strategikon (VI-VII secolo) dicono chiaramente, come doveva essere già prassi da qualche secolo, che una stessa unità doveva avere scudi dipinti con gli stessi simboli e colori.

Repliche di scudo romani tondi tardo antichi realizzate da Res Bellica.
Le decorazioni sono riprese dalla Notitia Dignitatum: a sinistra, il simbolo dei Regi, a destra quello degli Equites Honoriani Seniores.

Anche se usate più raramente, e probabilmente solo per ufficiali e simili, non mancano anche decorazioni metalliche. In casi veramente più unici che rari, destinati solo a personaggi di altissimo rango, lo scudo poteva essere interamente ricoperto in lamina metallica. Un reperto da Vermand era interamente rivestito da una lamina d’oro (così come il suo umbone), ed è plausibile ipotizzare che anche la complessa decorazione dello scudo rappresentato sul Dittico di Stilicone fosse ricoperto in lamina metallica lavorata (o forse da più lamine più piccole).

Lo scudo del dittico di Stilicone mostra inoltre un piccolo ritratto imperiale. Questo era quasi certamente un’applique metallica poi fissata sullo scudo, per la quale si ha almeno un parallelo a livello archeologico.

Dettaglio dello scudo sul dittico di Stilicone.

Tra VI e VII secolo, le decorazioni metalliche per gli scudi sono costituite da lamine sbalzate (come si evince da esempi provenienti da contesti longobardi), chiodi bronzei spesso dorati con una grande testa decorata a punzone, usati tanto per fissare l’umbone quanto come decorazione a sé stante della tesa dello scudo, e da complesse decorazioni dell’umbone. Un esempio di quest’ultimo tipo è costituito da un ricchissimo umbone in bronzo dorato, di sicura produzione imperiale, dalla necropoli longobarda di Nocera Umbra.

L’umbone decorato di Nocera Umbra, VI sec. d.C.

Dallo scudo ovale allo scudo a goccia (VIII – XII sec.)

Scudi ovali e scudi tondi resteranno anche nel periodo altomedievale tra le forme utilizzate dai soldati romani, ma con alcuni significativi cambiamenti.

Sembra infatti potersi notare dalle fonti iconografiche, sia da dettagli diretti che dalla progressiva assenza di umboni, come cambi gradualmente il sistema di presa dello scudo: non più a manopola, ma probabilmente con una imbracciatura.

Placca da un cofanetto di X secolo, oggi conservata al Metropolitan Museum. I soldati romani hanno sia scudi tondi che ovali, quasi certamente imbracciati.

Si diffonde inoltre anche un altro tipo di presa centrale, detta “a chiasmo”, costituita da due brevi corde fissate allo scudo tramite anelli. La mano del guerriero stringe le due corde nel mezzo, andando così a creare una sorta di impugnatura.

Ricostruzione di presa a chiasmo realizzata da me.

Tuttavia, le novità di questo periodo non finiscono con l’imbracciatura, poiché infatti vengono introdotte anche nuove forme di scudo. Derivato quasi sicuramente dallo scudo ovale, viene infatti introdotto lo scudo a goccia – uno scudo estremamente tipico e diffuso nel mondo altomedievale tra IX e XII secolo, anche molto al di fuori dell’impero. Oltre a comparire nelle fonti iconografiche, anche la letteratura militare del periodo (es. il manuale di Niceforo II Foca noto come Praecepta militaria e il manuale noto come Sylloge Tacticorum) descrive sempre più frequentemente grandi scudi da fanteria più larghi sulla parte superiore e più stretti su quella inferiore. Almeno da queste descrizioni sembra già emergere anche un tipo di scudo propriamente triangolare, del quale parleremo in seguito.

Mia ricostruzione di uno scudo a goccia, con decorazione rielaborata (ispirata a una miniatura del codice Skylitzes Matritensis)

Dai manuali militari del periodo conosciamo anche la grandezza di questi scudi, anche se l’interpretazione dell’unità di misura utilizzata non consente sempre una univoca lettura. Se per gli scudi tondi la misura varia tra i 60 e i 90-100 cm, per gli scudi più grandi le misure dell’altezza variano tra i 90 e i 110 cm, se non addirittura fino ai 140 cm – anche se per questi ultimi spesso l’iconografia sembra confermare almeno la maggior presenza del tipo da 110 cm. 

Dalle fonti, sappiamo anche che in questo periodo forse esisteva anche un grande scudo rettangolare volto principalmente alla difesa statica, non dissimile dai più tardi scudi pavesi dell’Europa medievale (il nome tecnico non ci è noto, poiché nelle fonti è chiamato genericamente thyreos), e che forse almeno alcuni ufficiali erano equipaggiati con piccoli scudi tondi a presa centrale, chiamati cheiroskutaria, simili ai più tardi brocchieri europei.

Non abbiamo sfortunatamente reperti degli scudi imperiali altomedievali, ma siamo abbastanza sicuri che il metodo di realizzazione non fosse così dissimile da quelli dei secoli precedenti, ovvero tavola lignea ad assi ricoperta di pelle o pergamena. La struttura degli scudi, tanto quelli ovali e tondi quanto quelli a goccia, sembra essere quasi sempre convessa e lenticolare.

Come nei secoli precedenti, anche gli scudi di questo periodo storico erano certamente dipinti come mostrano bene le fonti iconografiche, e le fonti del IX e X secolo (es. Taktikà di Leone VI e la Sylloge Tacticorum) specificano piuttosto bene come gli scudi dei soldati appartenenti alla stessa unità dovessero essere dipinti con gli stessi colori o con gli stessi simboli. Ciò che emerge anche da alcune fonti visuali dell’XI-XII secolo, che mostrano gruppi di soldati con scudi decorati allo stesso modo.

Dettaglio di una miniatura del codice Skylitzes Matritensis, XII scolo. Si notano scudi di diverse forme e con decorazioni diverse, ma ripetute (es. i cavalieri che escono dalla porta hanno due scudi identici, ma diversi da quelli dei fanti).

Abbiamo inoltre menzione di decorazioni metalliche ancora utilizzate nel XII secolo, dandoci così prova di come, seppur forse usata più raramente, questa tradizione romana non sia mai venuta meno.

Col procedere del tempo, gli scudi ovali andranno a sparire definitivamente, lasciando spazio a scudi a goccia, triangolari e tondi. Saranno scudi di queste forme ad accompagnare i Romani nei loro ultimi due secoli di Storia.

Gli ultimi scudi dei Romani (XIII – XV sec.)

Le fonti sugli scudi del periodo che va dal XIII secolo alla caduta di Costantinopoli sono decisamente molto più scarse, e spesso meno chiare, di quelle dei periodi precedenti, ma consentono almeno di farci un’idea sulle tipologie e caratteristiche di queste armi difensive.

Gli scudi a goccia continuano ad avere una vita piuttosto lunga, sopravvivendo molto più a lungo rispetto a quanto si vede in Europa. Oltre a essere ben rappresentati ancora nel XIII secolo, si hanno alcune ultime attestazioni di scudi a goccia ancora alla metà del XIV secolo.

Soldati romani del XIV secolo da un affresco dalla chiesa di S. Giovanni Crisostomo in Laconia, Grecia.
Foto di Raffaele D’Amato per “Byzantine Naval Forces 1261-1461“.

A fianco dello scudo a goccia, viene sempre più utilizzato uno scudo lungo e propriamente triangolare, che come abbiamo visto doveva iniziare a esistere almeno già dal X-XII secolo. Dalle fonti iconografiche disponibili, questi scudi avevano una struttura fortemente curva e avvolgente, adatta a proteggere il guerriero. Questo scudo triangolare sarà il principale scudo difensivo dei Romani dell’ultimo periodo.

Come nei periodi precedenti, l’altezza media tanto degli scudi a goccia che di quelli triangolari doveva essere intorno ai 100-110 cm cm (anche se alcune rappresentazioni danno a intendere che esistessero anche scudi molto più grandi, fino ai 140 cm).

Sotto l’influsso dell’Occidente latino, fa la sua comparsa anche un altro tipo di scudo triangolare, più piccolo, noto in inglese come heater shield, un neologismo nato nell’Ottocento per via della forma somigliante alla piastra di un vecchio ferro da stiro.

Infine, accanto a questi scudi continuano a esistere scudi tondi di varie dimensioni, ma che generalmente sembrano attestarsi intorno ai 60 cm di diametro.

Tutti questi scudi conservano la ormai assodata presa a chiasmo o un sistema con imbracciatura.        

Quanto alla costruzione, anche se non si conservano reperti, sappiamo che la struttura principale doveva essere sempre in legno, ricoperta poi in pelle o pergamena. In una lettera del monaco e grammatico Massimo Planude (1255-1305), si menziona pergamena proveniente da pelle d’asino come elemento di copertura per gli scudi.

Quanto alle decorazioni, sembra esserci una grande varietà, ed è difficile stabilire quale fosse la regola in questo periodo. Si nota con interesse un uso abbastanza esteso della mezzaluna, da sola o con una (o più d’una) stella a otto punte: l’antico simbolo della città di Bisanzio, già in uso sin dalla fine del II sec. d.C.

Scudo triangolare del XIII-XIV secolo, con decorazione a mezzaluna e stella a otto punte.
Replica Res Bellica, decorazione realizzata da me tramite fotoritocco.

Anche nell’ultimo periodo, non mancano infine alcuni scudi con rivestimenti metallici. In particolare, sembrano essere esistiti, almeno per la marina, scudi ricoperti di ferro (o addirittura realizzati totalmente in ferro), che però si suppone fossero utili soprattutto a una difesa di tipo statico e, soprattutto, contro il fuoco – elemento sempre presente nella guerra navale.

Bibliografia essenziale (clicca i link qui sotto per acquistare la tua copia del libro o leggere l’articolo)

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