La scherma dei Romani (VIII sec. a.C. – XV sec.). (II) Gli strumenti e l’addestramento individuale

Nella prima parte di questa trattazione sulla scherma dei Romani, abbiamo analizzato nel dettaglio le fonti disponibili (principalmente scritte e archeologiche) che permettano di ricostruire il modo in cui il singolo soldato romano, nel corso dei secoli, combatteva e usava le sue armi.

[Leggi anche La scherma dei Romani (VIII sec. a.C. – XV sec.). (I) Armi e tecnica]

Come ogni praticante di arti marziali e scherma sa, il corretto utilizzo delle armi presuppone naturalmente, alla base, un più o meno solido addestramento e la pratica del maneggio delle armi in un contesto di sicurezza, nel quale il rischio di ferite o lesioni è minimizzato.

Come avveniva tale addestramento? Come è cambiato nel corso dei secoli? E quali erano gli strumenti utilizzati dai Romani per allenarsi all’utilizzo individuale delle armi?

In questa seconda parte della trattazione della scherma dei Romani, analizzeremo proprio questi aspetti facendo affidamento sulle poche fonti a disposizione. Come per la prima parte di questo articolo, scopriremo come, a periodi storici pressoché privi di informazioni, si affiancano alcune testimonianze davvero dettagliate.

Come necessaria specifica, chiariamo sin da ora che l’articolo non tratterà degli addestramenti inerenti movimentazioni di truppe o le battaglie simulate (se non per brevi e inevitabili accenni), ma che sarà, per coerenza con l’argomento trattato, incentrato unicamente sull’allenamento al combattimento individuale – base necessaria e indispensabile per un più efficace combattimento in schieramento insieme ai propri compagni.

Le danze armate dell’età arcaica: propedeutiche al combattimento reale?

Per quanto concerne l’addestramento all’uso delle armi nel mondo romano, tutto ciò che è precedente al III sec. a.C. ci è sostanzialmente ignoto.

Vi è tuttavia una particolare usanza sulla quale vale la pena spendere almeno qualche parola, e che è legata al maneggio delle armi: la danza armata. Una pratica ben presente tanto nel mondo greco che in quello etrusco e romano – anche se con significati e scopi, da quanto se ne può dedurre, molto diversi tra loro.
Per il mondo romano, basti qui ricordare la danza dei Salii, eseguita brandendo lance e scudi.

[Leggi anche Musica e danza nel mondo romano]

[Leggi anche Gli ancilia, gli scudi sacri di Roma]

Senza qui approfondire gli aspetti legati alle sue origini e ai suoi possibili originali significati, si possono rilevare alcune interessanti osservazioni fatte da chi ha eseguito sperimentazioni per la possibile ricostruzione di una danza armata del periodo villanoviano/orientalizzante (per lo studio completo, si rimanda al titolo di L. Comis e C. Re in bibliografia).

In sintesi, ciò che è emerso dalla sperimentazione è che queste danze armate abbiano alcune caratteristiche che le rendono in qualche modo propedeutiche al combattimento reale – inteso, come tipico dell’epoca più arcaica, come un combattimento “eroico”, con carattere spiccatamente individuale, seppur insieme ad altri compagni.

La danza armata, così come sperimentata, tende infatti a sviluppare la percezione dello spazio e la distinzione amici-nemici (nelle danze armate, sembrano potersi individuare spesso due “squadre”).
Inoltre si pone attenzione ai movimenti altrui: non solo quelli dei propri compagni, ma anche quelli dell’avversario, con il quale ci si dovrà “sincronizzare” – elemento essenziale nella pratica schermistica, per la corretta esecuzione delle tecniche.

Anche se non si può chiaramente derubricare a un addestramento, risulta però abbastanza chiaro che la danza armata può aver svolto un ruolo abbastanza importante di preparazione (fisica, psicologica, spirituale) al combattimento.

Video di Res Bellica nel quale sono spiegate brevemente anche le danze armate nel mondo villanoviano/etrusco, legate in quel contesto alla ritualità funeraria.

Addestramento privato, sparring tra soldati. Le testimonianze dell’epoca medio repubblicana

Dopo le incertezze del periodo più antico della Storia di Roma, con il periodo medio repubblicano finalmente troviamo le prime, vere testimonianze delle modalità di addestramento dei soldati romani.

Per un Romano dell’età repubblicana, il primo approccio alle armi avveniva quasi certamente nell’ambito privato, senz’altro prima ancora dell’età adulta. Questo dettaglio ci proviene dalla vita di Catone il Censore (vissuto a cavallo tra il III e il II sec. a.C.), così come ce la descrive Plutarco.

Leggiamo infatti, nella Vita di Catone (20, 4), che il Censore si occupa interamente dell’istruzione del figlio, e tale istruzione comprende anche l’esercizio fisico e la pratica delle armi, nonché del combattimento a mani nude. Nello specifico, “[Catone] gli insegnò non solo a lanciare il giavellotto, a maneggiare le armi e a cavalcare, ma gli insegnò anche il pugilato […]”.

Anche se nel passo in questione si sta ponendo proprio enfasi sul fatto che sia Catone in persona a divenire insegnante del figlio (in praticamente ogni cosa, compresi la scrittura e l’apprendimento del diritto), dal passo di Plutarco è reso ben chiaro che questo avviene perché il Censore non intende affidare questa mansione di maestro a uno schiavo.

Anche se non è chiaramente specificato, visto il periodo storico in esame sembra tuttavia piuttosto improbabile che, nel privato, fossero degli schiavi a insegnare ai giovani Romani la pratica delle armi e della lotta. Appare quindi molto più plausibile pensare che, in questo caso, quello di Catone fosse il modello della Roma repubblicana.

Questo è del resto confermato dal più tardo Seneca (Epistole, 88, 19), quando ricorda che “i nostri antenati la esercitavano [la gioventù] a scagliare le lance in posizione eretta, a vibrare il bastone, a spronare il cavallo, a maneggiare le armi […] Non insegnavano ai loro figli niente che potessero imparare standosene coricati.”

Che il primo apprendimento all’uso delle armi avvenisse in privato, non deve stupire. Mancando, almeno fino alla fine del II sec. a.C., un esercito professionale stabile, all’interno della cui struttura sia previsto un addestramento continuo delle reclute e dei soldati una volta arruolati, appare decisamente funzionale e pratico che almeno i primi rudimenti all’uso delle armi avvenissero già nell’ambito familiare, tramandati di padre in figlio.

Una volta che il legionario repubblicano era arruolato, non mancavano tuttavia addestramenti nell’ambito dello stesso esercito, anche quando questo è impegnato in campagna militare.

Abbiamo, in questo senso, una testimonianza chiarissima in Polibio (X, 20, 3), ripresa praticamente identica poi da Tito Livio (XXVI, 51, 4), e che si riferisce a pratiche che sono del tutto contemporanee all’addestramento in privato che abbiamo visto con Catone.
Le fonti ci presentano le preparazioni militari alle quali Scipione, il futuro Africano, sottopone i suoi uomini prima della conquista di Carthago Nova (210-209 a.C.).

Una breve ma necessaria digressione.
Anche se gli addestramenti di Scipione sembrano presentate come una sorta di novità (e nel caso di Scipione potrebbero esserci state effettivamente delle migliorie da lui apportate), dobbiamo però tenere presente che in praticamente tutte le fonti che riguardano gli addestramenti di truppe, quando tenuti o incoraggiati da comandanti e imperatori, questi vengono presentati come un qualcosa di negletto o mai fatto prima – un topos che si trova ancora, per esempio nel poema Persica, del VII sec. d.C. e dedicato alla campagna persiana dell’imperatore Eraclio del 622.

Anche per il caso di Scipione possiamo, quindi, ipotizzare che si tratti in realtà di una pratica, se non consolidata, almeno già nota.

Scipione sottopone i suoi soldati a un rigido addestramento che prevede, oltre a manovre e marce giornaliere per lunghe distanze (quattro miglia, quindi ca. 6 km), anche esercitazioni con le armi, e in particolare (Tito Livio, XXVI, 51, 4) “il terzo giorno si affrontarono tra loro con bastoni (rudibus) a guisa di un regolare combattimento e si lanciarono dei giavellotti forniti di bottone sulla punta (praepilati)”.

Anche se non è specificato, sembra logico supporre che i soldati non si siano solo addestrati in battaglie simulate (in modum iustae pugnae), ma anche in combattimenti individuali.

Troviamo inoltre la prima testimonianza di armi da esercitazione. Sia Polibio che Tito Livio riportano dei giavellotti spuntati, ma soltanto il primo autore menziona una specifica descrizione sulle spade da allenamento, che sono descritte non solo come vere e proprie spade di legno (machairai xulinais), ma ricoperte in pelle e dotate anch’esse di una punta a sfera o almeno arrotondata.

La copertura in pelle menzionata, che nelle fonti relativamente agli strumenti dell’addestramento non compare in altre fonti, doveva essere evidentemente funzionale a non far scheggiare l’arma e a farla durare più tempo, prevenendo forse la rottura – un’evenienza che chiunque abbia usato una spada di legno sa che, prima o poi, è destinata a verificarsi.

Il rapporto tra scherma e gladiatura. Gaio Aurelio Scauro e le innovazioni della tarda repubblica (fine II-I sec. a.C.)

Nel periodo della tarda repubblica, i giovani Romani continuano certamente ad allenarsi, sia all’esercizio fisico che alla pratica del combattimento.

Tuttavia, all’addestramento solamente privato che sembra intendersi dalla vita di Catone si trova affiancato in modo chiaro l’addestramento nel Campus Martius (luogo dove presumibilmente si tenevano già da prima anche gli allenamenti dedicati alla pratica schermistica).
Lo ricorda in modo chiaro Cicerone, riferendosi alla sua gioventù, dandoci il dettaglio interessante che l’addestramento era tenuto solamente in tunica (Pro Caelio, 11).

Proprio dal passo di Cicerone viene un riferimento interessante: infatti parla degli esercizi fatti presso il campus e nel ludus. Secondo alcuni studiosi, con ludus si intende qui, in modo più o meno esplicito, una testimonianza dell’addestramento fornito ai privati dagli istruttori di gladiatura (doctores).

La frequentazione da parte della gioventù romana delle scuole di gladiatura (ludi) è ancora ben attestata, anche se non ben vista, in piena età alto imperiale. Apuleio (Apologia, 98), per esempio, nel 158 si lamenta del fatto che il suo figliastro, Sicinio Pudente, non solo frequenti con regolarità una scuola di gladiatori, ma che addirittura prenda lezioni dal lanista (il proprietario del ludus) in persona – anche se a onor del vero non è del tutto chiaro, dal passo, se si intenda anche vere e propri lezioni di combattimento.

Oltre a fornire, probabilmente, lezioni di combattimento ai privati, i doctores delle scuole di gladiatura hanno avuto probabilmente anche un impatto nelle tecniche di combattimento dei legionari romani – e vedremo, nel prossimo capitolo, come questo rapporto sia ben evidenziato in Vegezio.

Da Valerio Massimo (II, 3, 3) sappiamo infatti che nel 105 a.C., durante il consolato di Gneo Mallio Massimo e Publio Rutilio Rufo, vengono chiamati a istruire i legionari romani i doctores del ludus di un tale Gaio Aurelio Scauro: “[il console Publio Rutilio], contrariamente a quanto avevano fatto tutti i comandanti dell’esercito prima di lui, fece venire dal ludus di Gaio Aurelio Scauro dei doctores e trasmise alle legioni, per mezzo di costoro, una più razionale tecnica di difesa e offesa. Fuse il valore con l’abilità: in modo che questa fosse rafforzata dall’impeto di quello, e che quello fosse reso più reso più cauto da una migliore conoscenza della dottrina [schermistica] (scientia)”.

Con l’altrimenti ignoto Gaio Aurelio Scauro, si vede insomma nascere un primo vero e proprio sistema schermistico romano propriamente codificato – le “Regole di militar con la spada”, come le chiama il maestro Francesco Antonio Marcelli nel suo trattato del 1686, che sembra presumere che Gaio Aurelio Scauro avesse addirittura raccolto le sue conoscenze in un trattato (anche se ciò, oltre a non essere esplicitamente affermato dall’autore, sembra piuttosto improbabile).

Anche se viene presentato come un caso unico, in realtà l’influenza dell’addestramento alla gladiatura sul modo di combattere dei legionari sarà molto forte, per quanto perseguano due obiettivi radicalmente diversi. Questa si vedrà in modo ancora più chiaro nel prossimo capitolo, con la testimonianza di Vegezio.

Riproduzione Res Bellica di un rudis, basata sui reperti.

Il periodo alto imperiale. La testimonianza di Vegezio

Le pratiche dell’addestramento come introdotte, o almeno rinnovate, da Scipione, e come perfezionate nella tarda repubblica con gli insegnamenti di Gaio Aurelio Scauro, sono senz’altro mantenute per il periodo imperiale. Proprio dalla fine del II sec. a.C., l’esercito ora è stabile e professionale, e gran parte dell’attività dei legionari romani è dedicata proprio all’addestramento individuale, affidato a degli appositi armidoctores o doctores armorum.

Tuttavia, le testimonianze propriamente datate al periodo del Principato e dedicate all’addestramento individuale dei soldati sono terribilmente scarse, e quelle disponibili sono per lo più dedicate all’addestramento collettivo delle truppe (si veda ad esempio Flavio Giuseppe, Guerra Giudaica, III, 5), anche se in quest’ultimo era chiaramente incluso anche il maneggio individuale delle armi.

Per la descrizione più dettagliata in assoluto dell’addestramento dei legionari romani nel periodo alto imperiale, bisogna rifarsi a una fonte tardo antica: l’Epitoma rei militaris di Vegezio, che scrive all’inizio del V secolo.

Nonostante la datazione tarda, Vegezio scrive, a sua detta, di periodi più antichi. Pur operando in più casi una certa confusione sulla struttura degli eserciti dei suoi antenati, le sue descrizioni relativamente al modo di addestrarsi dei legionari romani (forse ancora applicabili al periodo tardo antico) sono considerate oggi una fonte attendibile su questo specifico tema.

Oltre a dilungarsi sull’addestramento delle truppe in genere, Vegezio ci informa come i soldati si preparassero singolarmente per il combattimento. Vale la pena riportare i passi (I, 11-12) per intero.

“Gli antichi, come i libri rivelano, allenavano le reclute nel modo seguente.
Costruivano scudi rotondi […] che fossero pesanti il doppio degli scudi da battaglia. Allo stesso modo, davano alle reclute bastoni di legno (clavas ligneas) , anch’essi di peso doppio, invece che spade.
Poi, si esercitavano al palo non solo di mattina ma anche di pomeriggio, infatti l’utilizzo dei pali non è utile solo ai soldati ma anche ai gladiatori. Né l’arena né il campo di battaglia infatti ha mai provato che fosse vincitore nelle armi un uomo che non si fosse esercitato con diligenza al palo.
Le singole reclute conficcavano in terra ognuno un palo, in modo che non potesse ondeggiare, e fuoriuscisse dalla terra per sei piedi [ca. 180 cm]. La recluta si esercitava contro questo palo, proprio come se fosse stato un nemico, come se lo scudo e il bastone fossero stati uno scudo vero e una spada, come tirando alla testa o alla faccia, ora minacciando ai fianchi, ora tirando basso alle cosce o agli stinchi, ora indietreggia, ora attacca, ora salta avanti, come se fosse alla presenza di un nemico: in questo modo egli attacca il palo con tutta la sua forza, combattendo con tutta la sua abilità.
Facendo questo, si stava attenti a che le reclute si lanciassero a ferire senza scoprirsi essi stessi da nessuna parte.”
(I, 11)

“Inoltre, apprendevano a colpire non di taglio ma di punta […]. Infatti il taglio , anche se portato con forza, non uccide di frequente, quando le parti vitali sono difese e dall’armatura e dalle ossa.
Al contrario, una punta che penetra per due pollici è mortale, perchè necessariamente penetra qualunque parte vitale in cui viene immersa. Inoltre, quando si porta un colpo di taglio, si scoprono il braccio e il fianco destro, invece la punta è portata con la copertura del corpo e colpisce l’avversario prima che egli la veda […]. Tuttavia, alla recluta vengono dati questi scudi e bastoni di peso doppio, in modo che quando prenda armi reali, più leggere, come se fosse liberato da un peso combatterà con maggior sicurezza e più alacremente.”
(I, 12)

Illustrazione di G. Rava.

Su questi passi di Vegezio si possono fare diverse considerazioni.

Molte delle osservazioni che fa l’autore di V secolo sono senz’altro ancora valide e condivise con chi pratichi scherma e arti marziali storiche europee ancora oggi – una su tutte, l’utilizzo più efficace e mortale della punta.
L’accenno a quest’ultimo, in un’epoca, come quella contemporanea a quella di Vegezio, nella quale era privilegiato l’uso del taglio con la spatha, è quasi certamente riferibile a un periodo più antico.
Come abbiamo già visto nella prima parte di questo articolo, in età repubblicana e imperiale, a prescindere dall’arma, era invece prediletto il colpo di punta.

[Leggi anche Le spade dei Romani. Un breve excursus (VIII sec. a.C. – XI sec. d.C.)]

Anche il riferimento al palo rimanda al periodo alto imperiale e all’ambito gladiatorio, per il quale i riferimenti sono davvero numerosi.
In questo senso, uno dei più interessanti, poiché riferito nello specifico all’ambito militare, è quello di Luciano di Samosata (Demonatte, 38), autore del II sec. d.C.:
“Un vecchio e arzillo Romano una volta gli diede [a Demonatte] una piccola dimostrazione della sua abilità nel tirare di scherma, prendendo come bersaglio un palo [lett. un picchetto, il che indica proprio il palo piantato nel terreno]”.
Quando il Romano chiede a Demonatte cosa ne pensa della sua abilità con la spada, il filosofo gli risponde sarcasticamente: “Eccellente, fintato che devi vedertela con un uomo di legno.”

Un’altra considerazione da farsi è l’utilizzo di armi da addestramento pesanti il doppio di quelle normali – anche se ad oggi non è ancora del tutto chiaro come venissero realizzate così pesanti, visti i materiali utilizzati.
Non è un caso che il loro uso sia descritto al palo, e non nei combattimento simulato: le armi più pesanti servono infatti principalmente ad allenare i muscoli specifici alle movenze schermistiche, più che essere usate contro veri avversari.

Proprio in riferimento alle armi da addestramento, abbiamo alcuni reperti di rudes (o, per usare il termine di Vegezio, claves) datati tra il I e II sec. d.C. da diversi forti romani (es. Vindolanda, Saalburg, Carlisle).
Presentano usualmente forme estremamente semplici, e non vi è traccia delle accortezze dei rudes da addestramento dell’epoca di Scipione. Almeno da quanto ho avuto modo di concludere dalla mia ricerca per questo articolo, e considerando anche lo stato non sempre intatto di questi reperti in materiale organico, non è nemmeno possibile capire se effettivamente rispondano alla necessità di essere più pesanti di un corrispettivo gladio.

Meno chiaro, infine, considerando che Vegezio, come appurato, si riferisce al periodo alto imperiale, è come mai per l’addestramento vengano utilizzati scudi rotondi – anche se, come visto in un articolo dedicato, scudi tondi e ovali tra I e III sec. d.C. erano tutt’altro che inutilizzati dai legionari, e non solo dagli ausiliari.

[Leggi anche Gli scudi dei Romani (VIII sec. a.C. – XV sec.)]

Sempre in Vegezio, troviamo infine l’accenno a una particolare pratica di addestramento particolare, chiamata armatura. E di tutte le informazioni che ci provengono dall’Epitoma rei militaris, questa è una delle poche riferibili appieno anche alla tarda antichità.

Da Ammiano Marcellino allo Strategikon. Le testimonianze della tarda antichità

“[…] alla recluta dovrebbe essere insegnato il tipo di addestramento noto come armatura […]. Questa pratica in parte sopravvive. Poiché è ben noto che ancora oggi le armaturae [si intendono, qui, i soldati] combattono meglio degli altri in battaglia.
Quindi si dovrebbe apprezzare quanto sia meglio un soldato addestrato che uno non addestrato, quando sottoposto ad armatura, qualunque sia la loro abilità, nel superare il resto dei loro compagni nell’arte della guerra.”
(Vegezio I, 13)

Duello dimostrativo tra l’autore (a sinistra) e il rievocatore e ricercatore Geza Frank. Ph. Martina Cammerata Photography

L’armatura, intesa come particolare regime di addestramento, come accennato, è senz’altro uno degli elementi del trattato di Vegezio che, per sua stessa ammissione, sono riferibili alla tarda antichità e non solo ai secoli passati.

Di questo abbiamo del resto conferma in altre fonti del periodo tra il IV e il V secolo.

Ammiano Marcellino (XIV, 11; XVI, 5; 21, 16) menziona per esempio gli imperatori Costanzo II e Giuliano dediti alla pratica dell’armatura – è menzionata, in particolare, l’armatura pedestris, nella quale Costanzo II era scientissimus -, nonché il figlio del magister equitum Ursicino. In riferimento a Giuliano, si parla anche di una generica disciplina castrensis, che potrebbe anche riferirsi, visto il contesto, proprio al maneggio delle armi.

Inoltre abbiamo la testimonianza indiretta che non tutte le truppe fossero evidentemente destinate a questa particolare armatura (se si tratta, come sembra di intendere, di un tipo di esercitazione più sofisticato e alto livello delle altre).

Di tutti i reparti delle scholae, le guardie imperiali del IV-V sec., per esempio, solo due sono indicate come scholae armaturarum (una schola armaturarum seniorum per l’Occidente, e una schola armaturarum iuniorum per l’Oriente) – il riferimento è quasi certamente proprio alla pratica dell’armatura.

Sono inoltre presenti, nella Notitia Dignitatum, ben undici unità, se non tredici, indicate con l’epiteto di armigeri (otto unità di cavalleria limitanea e tre di fanteria comitatense).
Anche se una delle ipotesi è che l’appellativo stia a indicare un’armamento speciale, magari più pesante, non sembra improbabile collegare l’appellativo con la pratica dell’armatura – si tratta, per chiarezza, solamente di un’ipotesi personale.

Di come fosse strutturata e in esattamente cosa consistesse l’armatura praticata nella tarda antichità (che scompare dopo le menzioni di Ammiano e Vegezio), purtroppo, non abbiamo una descrizione diretta che ci permetta di capire come si differenziasse dal comune addestramento individuale del resto dei soldati.

Quanto a quest’ultimo, ne abbiamo poche ma significative testimonianze nelle fonti di VI-VII secolo.

Molto particolare è il suggerimento dell’anonimo autore del Dialogo sulla Scienza Politica (databile probabilmente al periodo giustinianeo), nel quale troviamo una sezione dedicata alla materia militare – anche se vi sono abbondanti riferimenti all’antichità e alla letteratura classica.
In particolare, l’autore non solo consiglia che i soldati indossino sempre l’intero equipaggiamento, ma che per l’addestramento al maneggio delle armi utilizzino delle aste “verdi” (forse inteso come tagliate da poco, ergo possibilmente più pesanti) con la punta cosparsa di ocra rossa – l’autore si riferisce, nello specifico, a simulacri di lancia.

In questo modo, durante l’addestramento è possibile vedere chi siano i soldati più abili e coraggiosi: “Questo rivelerà chi è valido o meno nell’addestramento: i primi recheranno i segni dei colpi sugli scudi, ma i secondi sul corpo e sulla schiena”.

Questa è l’unica attestazione esistente, per la letteratura antica, di un simile strumento per l’addestramento.

Più diretto e pratico è invece l’autore dello Strategikon, quasi certamente l’imperatore Maurizio Tiberio (582-602). Nel libro dedicato alla fanteria, dichiara semplicemente:
“[I fanti pesanti] Devono essere addestrati al combattimento individuale (monomachia) l’uno contro l’altro con scudi e bastoni […]” (XII, B, 2).

Apparentemente meno chiaro è un accenno che si trova sempre nello Strategikon, in un capitoletto di sintesi del libro sulla fanteria, nel qual si dice di “Simulare il combattimento individuale, a volte con bastoni, a volte con spade vere” (XII, B, 24).

In un trattato pratico come lo Strategikon, questa notazione è senz’altro inusuale: infatti, l’utilizzo di armi vere per un addestramento aumenterebbe in modo vertiginoso il rischio di ferite gravi, nonché di causare dei morti tra i propri soldati – o al contrario, se l’arma venisse usata con estrema cautela, ridurrebbe l’efficacia dell’addestramento.

La possibile risposta a questa apparente stranezza è quasi certamente contenuta in un successivo trattato militare, che deve molto proprio allo Strategikon.
Siamo infatti di fronte, probabilmente, a una prima attestazione nel mondo romano di simulacri in ferro e non in legno.

Soldati in addestramento, secondo il metodo descritto nel Dialogo sulla Scienza Politica. Illustrazione di Pavel Šimák.

Il periodo medievale e le ultime testimonianze

Per quanto concerne il periodo posteriore alla tarda antichità, la ricerca sulle fonti relativa al tema dell’addestramento individuale si fa più ardua. Tuttavia, si trovano alcune testimonianze piuttosto interessanti.

Una prima fonte sono senz’altro i Taktika di Leone VI il Saggio. Nel trattato, probabilmente redatto intorno al 908, si va probabilmente a chiarire l’accenno agli addestramenti con “armi vere” che si trova nello Strategikon.

Pur non facendo accenni specifici all’addestramento al combattimento individuale, quanto piuttosto alla sola simulazione di battaglie, troviamo dei riferimenti alle armi da addestramento.
Se infatti si ripete più volte, nel libro VII del trattato, di usare bastoni al posto delle spade e lance senza punta (o anche canne), si trova anche questo passaggio, che riecheggia, ma allo stesso tempo chiarisce, l’inusuale nota sulle “armi vere”: “In formazione di battaglia, che [i soldati] si affrontino in una battaglia simulata, a volte usando bastoni e a volta usando spade non affilate” (VII, 48).

Questa è la prima attestazione di armi da addestramento in ferro – qualcosa di molto simile ai moderni simulacri in ferro di spada per la scherma e la rievocazione storica.

Non solo: sempre nello stesso trattato, troviamo forse un riferimento persino ad armi da addestramento in cuoio (il collegamento con il Dussack tedesco in cuoio del XVI secolo è pressoché immediato).
Troviamo infatti: “A volte lascia [i soldati] che usino dei charzania od oggetti simili nelle loro battaglie [simulate]” (VII, 10).

Cosa sia il charzanion, che in altri contesti sembra riferibile a un qualche tipo di cinghia in cuoio, è ignoto. Ma considerando che il contesto del capitoletto da cui il passo è tratto si riferisce nello specifico alle armi da addestramento, il sospetto che il charzanion possa essere una sorta di simulacro d’arma in cuoio è piuttosto forte. Non è impossibile nemmeno che si tratti di una sorta di “lazo” o frusta – che troviamo menzionate nello Strategikon per i cavalieri.

Venendo infine al periodo basso medievale, abbiamo nuovamente la menzione di armi in legno, usate tanto dai Romani quanto dai “Franchi” (i cd. Latini), e a partire dall’XI secolo assistiamo all’introduzione dall’Occidente di una nuova disciplina, dedicata soprattutto ai combattenti a cavallo e che ha anche la funzione di addestramento individuale: il torneo.

Nel XII secolo, l’imperatore Manuele Comneno in persona, grande ammiratore dei cavalieri latini, partecipa personalmente a tornei organizzati in città dell’Oriente (es. Antiochia).

Bibliografia

Fonti

Ammiano Marcellino, Storie

Anonimo, Dialogo sulla scienza politica

Cicerone, Pro Caelio

Leone VI imperatore, Taktika

Luciano, Apologia

Maurizio imperatore, Strategikon

Niceta Coniate, Cronaca

Polibio, Storie

Plutarco, Vite Parallele

Seneca, Epistole

Tito Livio, Ab Urbe Condita

Valerio Massimo, Detti e fatti memorabili

Vegezio, Epitoma Rei Militaris

Studi moderni

Carter M. 2018, Armorum Studium: Gladiatorial Training and the Gladiatorial Ludus, in “Bulletin of the Institute of the Classical Studies”, 61, 1, pp. 119-131

G. Cascarino 2008, “L’esercito romano. Armamento e organizzazione. Vol II.”

L. Comis, C. Re. 2009, Riti guerrieri nel contesto funerario della cultura Villanoviana/orientalizzante. Una ricerca integrata, in “Pagani e Cristiani”, Vol. VII, pp. 47-94

G.E.Georgas 2017, Bastons – The medieval wooden swords of the Byzantines and the Francians, (consultato ultima volta 14.04.2023)

G.E.Georgas 2018, Byzantine tournaments, (consultato ultima volta 14.04.2023)

B. Grandy 2017, Should You Be Training with an Extra Heavy Sword?, (consultato ultima volta 14.04.2023)

Studio della scherma antica, pubblicato sul sito di Sala d’Armi Achille Marozzo, 2006 (consultato ultima volta 14.04.2023)

L.D. Ueda-Sarson 2015, Armigeri, (consultato ultima volta 14.04.2023)


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