Nel corso della Storia, ci sono mai stati tentativi di copiare l’esercito romano?
Da quanto ne sappiamo, ce ne furono almeno due.
Il primo, del quale abbiamo appena un accenno da Polibio, fu fatto da Antioco IV Epifane, ed è attestato per il 166 a.C.
I suoi cinquemila argiraspidi (“scudi d’argento”), la sua guardia reale, sono descritti da Polibio come “armati alla romana”, ed equipaggiati con cotte di maglia. Si tratta quindi di un’imitazione quanto meno dell’armamento.
Un tentativo su ben più larga scala, invece, sarebbe stato messo in atto da Mitridate VI, re del Ponto e uno dei più duraturi e accaniti avversari di Roma – i Romani e Mitridate si combatteranno in ben tre guerre, dette “mitridatiche”.
Essendo stato sconfitto pesantemente varie volte, nel corso dei conflitti precedenti, Mitridate decide di preparare molti più oculatamente le sue forze, in previsione del prossimo conflitto con Roma – che sarà lui stesso a scatenare, con un’invasione delle province romane in Asia Minore.
Le fonti riguardo a questi preparativi non sono però del tutto concordi, specie per quanto concerne i contingenti che andranno a comporre il suo esercito. Al contrario, sappiamo almeno che Mitridate è molto attento e oculato nel predisporre vettovagliamenti, linee di rifornimento e la costruzione di una flotta efficiente.
Quanto alle forze terrestri, Appiano di Alessandria afferma che Mitridate raccoglie, oltre alle sue precedenti truppe, alleati e leve da una quantità innumerevole di popoli – Calibi, Armeni, Sciti, Tauri, Achei, Eniochi, Leucosiri, Sarmati, Traci e Bastarni – arrivando a formare un esercito pontico complessivamente di 140.000 uomini e 16.000 cavalieri (da intendersi quasi certamente non radunati tutti insieme, ma nella totalità delle sue forze armate).
Il numero totale è molto simile a quello che ci fornisce la nostra seconda fonte, Plutarco (di poco precedente, quasi contemporaneo di Appiano), che parla di 120.000 fanti, 16.000 cavalieri e un centinaio di carri falcati.
Tuttavia, dove la descrizione di Appiano ci lascia l’immagine di un esercito estremamente eterogeneo e multietnico, quella di Plutarco ribalta totalmente questa figura.
Non solo, secondo lo storico, Mitridate ha uniformato maggiormente le sue truppe…ma le ha anche armate e addestrate alla maniera romana.
[Leggi anche Gli scudi dei Romani (VIII sec. a.C. – XV sec.)]
Vale la pena citare il passo per intero:
“[Mitridate] la fece finita con le orde barbare di ogni luogo e tutte le loro grida discordanti e minacciose.
Non fornì più armature intarsiate d’oro e incastonate di pietre preziose, poiché vedeva che queste costituivano un ricco bottino per i vincitori, ma non davano alcuna forza a chi le indossava.
Fece invece forgiare spade alla maniera romana e costruire pesanti scudi [𝘵𝘩𝘺𝘳𝘦𝘰𝘪], raccolse cavalli che erano ben addestrati piuttosto che riccamente bardati, e centoventimila fanti addestrati nella formazione della falange romana [𝘱𝘩𝘢𝘭𝘢𝘯𝘹 𝘙𝘩𝘰𝘮𝘢𝘪𝘬𝘪̀], e sedicimila cavalieri, senza contare i carri a quattro cavalli con la falce, che erano in numero di cento […]”.
Ora, vanno fatte naturalmente alcune osservazioni.
In primis, torniamo a ricordare che quando gli autori antichi parlano di “falange”, essa non indica necessariamente la formazione oplitica o ellenistica che noi moderni associamo alla parola.
Si intende usualmente, in modo ben più generico, una formazione coesa e addestrata di soldati di fanteria, senza una necessaria ulteriore connotazione (nelle fonti antiche troviamo “falange” usato per una moltitudine di popoli ed eserciti).
In secondo luogo, che nessuno avesse mai pensato prima di copiare l’esercito romano, se a noi può sembrare strano, visti i suoi successi, è in realtà piuttosto normale.
In epoca repubblicana, i soldati romani non erano armati in modo troppo dissimile dai loro avversari (nel mondo ellenistico, per esempio, era già ben presente la figura del 𝘵𝘩𝘺𝘳𝘦𝘰𝘱𝘩𝘰𝘳𝘰𝘴, uno spadaccino armato di scudo oblungo), e soprattutto non costituirono un esercito professionale se non a partire dalle riforme di Mario.
Al tempo dell’esperimento di Mitridate, queste riforme erano però già state messe in atto, e quindi le batoste subite da questo “nuovo” esercito romano (un modello ormai rodato da quasi trent’anni) dovevano aver ispirato il re del Ponto ad aggiornare i suoi eserciti.
In più, il grande distacco tra Romani del periodo repubblicano e altri popoli, che naturalmente si riflette anche sull’esercito, sul suo modo di combattere, sulla sua catena di comando, è prima di tutto mentale e culturale, e questo fa un’enorme differenza.
[Leggi anche Il legionario repubblicano. Un combattente individuale]
Infine, è improbabile che Mitridate sia riuscito ad armare e addestrare alla romana l’interezza delle sue forze di fanteria, come suggerisce Plutarco.
Anche se aveva dei Romani alla sua corte, nemici dell’ormai defunto Silla, che senz’altro fecero da addestratori per i suoi “legionari”, questi non potevano essere abbastanza per formare tutti i soldati e i loro ufficiali.
Non sappiamo però quanti fossero i soldati del Ponto effettivamente equipaggiati e addestrati alla romana, e fare stime, visto che ce ne parla solo Plutarco, è pressoché impossibile.
Consideriamo anche che, se era certo possibile copiare l’addestramento e le armi, molto più complesso era ricalcare la struttura di comando dell’esercito romano e delle sue legioni.
[Leggi anche Le armature dei Romani (VIII sec. a.C.-XV sec.). Da Romolo a Costantino XI]
Per tutti questi motivi, l’esperimento di Mitridate fu infine fallimento.
Dopo alcuni primi successi iniziali, Mitridate e le sue forze non raccolsero quasi nessuna vittoria nel corso della guerra, che a fasi alterne durò fino al 63 a.C. – salvo in una fase tra il 68 e il 67 a.C., nella quale sconfisse in battaglia i Romani più volte e riconquistò, seppur brevemente, i territori che aveva perduto contro di loro.
In tutto questo, non sappiamo purtroppo come si comportarono i “legionari” pontici effettivamente, né a quali azioni di preciso presero parte – e di esperimenti come quello di Mitridate, da quanto ne sappiamo, non se ne videro più altri nei secoli successivi.
[Leggi anche Le spade dei Romani. Un breve excursus (VIII sec. a.C. – XI sec. d.C.)]
Fonti
Appiano, Storia romana
Plutarco, Vite Parallele
Polibio, Storie