La battaglia del Vallo Angrivariano (16 d.C.). L’ultima battaglia tra Germanico e Arminio

16 d.C.
La battaglia di Idistaviso, culmine della campagna di Germanico contro Arminio, si è appena conclusa, con una sfolgorante e totale vittoria romana.

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I soldati romani festeggiano, acclamano Tiberio 𝘪𝘮𝘱𝘦𝘳𝘢𝘵𝘰𝘳, e innalzano un tumulo come trofeo, con le armi degli sconfitti. Nella ritirata dei Germani, i legionari hanno anche trovato le catene che il nemico, sicuro della vittoria, aveva portato per loro.

I guerrieri germani, che già sono pronti ad andarsene, sono più colpiti nell’orgoglio dai festeggiamenti dei Romani che non dalla strage che hanno appena subìto. In un moto di rabbia, i guerrieri prendono le armi e si gettano sui Romani, cogliendoli impreparati ma venendo respinti.

Arminio decide che la partita non è ancora chiusa, e porta i suoi uomini su un terrapieno costruito dagli Angrivari poco più a nord della piana di Idistaviso, all’estremità di un’altra piana, lunga e stretta, chiusa ai fianchi da boschi e paludi.

La fanteria dei Cherusci si piazza lungo il Vallo Angrivariano, mentre la cavalleria si dispone sui fianchi, nei boschi, pronta a piombare sui legionari.

Ma Germanico, probabilmente grazie a suoi informatori, conosce sia i piani che la disposizione di Arminio, e non ha alcuna intenzione di cadere in una trappola – eventualità già mancata per un soffio alla battaglia di Idistaviso.
Anzi: ha intenzione di sferrare finalmente il colpo mortale.

Il mattino seguente, affida alla cavalleria di occupare la stretta piana, mentre la fanteria delle legioni e i tiratori ausiliari vengono divisi in due colonne: una passa per i boschi, lungo un sentiero pianeggiante (non è ben specificato da Tacito, ma forse per una manovra di aggiramento), mentre Germanico stesso, con il grosso delle forze e due coorti di pretoriani, guida l’assalto al terrapieno.

La mischia è terrificante, e all’inizio i Romani hanno la peggio nell’affrontare la risalita e le lunghe framee dei Germani.
Germanico ordina quindi di ripiegare, ma solo per far sfoltire il Vallo dal tiro serrato di frombolieri e artiglieria da campo: ben presto pietre e ghiande missili fanno il loro macabro lavoro, e Germanico si getta nuovamente sui guerrieri di Arminio, questa volta prendendo il terrapieno.

Una volta presa la fortificazione i Romani, Germanico in testa, si lanciano all’attacco nella foresta, dove gli spazi angusti e le paludi tutt’intorno impediscono a entrambi gli schieramenti di manovrare.

A entrambe le parti è di fatto preclusa qualsiasi eventuale ritirata: “per entrambi, costretti sulle loro posizioni, la speranza era riposta nel valore, la salvezza nella vittoria.”, per usare le parole di Tacito.

Anche se i Germani si battono valorosamente, la differenza di armamento si fa sentire: mentre i guerrieri di Arminio non riescono efficacemente a usare le loro lance, i legionari riescono a farsi sotto usando il grande scudo e il gladio, avendo buon gioco anche della generale assenza di armature dei nemici.

Più che una battaglia, lo scontro ormai si è trasformato in un gioco al massacro, nel quale Arminio non riesce a essere presente come comandante, forse stremato da una ferita subita in precedenza. È lo zio Inguiomero a cercare di dirigere le operazioni, spostandosi a cavallo da una parte all’altra dello schieramento cherusco.

Germanico è determinato a farla finita una volta per tutte con Arminio, per cui si toglie l’elmo, per farsi riconoscere dai suoi, e li sprona a massacrare tutti i guerrieri germani che si trovano di fronte: niente prigionieri, solo l’uccisione di tutti i nemici porrà fine alla guerra.

A giorno ormai inoltrato, mentre la cavalleria ancora si batte senza aver ottenuto una vittoria schiacciante, Germanico si sente abbastanza sicuro da sganciare parte della fanteria per costruire l’accampamento. Il resto delle legioni prosegue invece nel massacro dei Germani fino a notte fatta.

Chi può tra i Cherusci si mette in salvo, compreso Arminio.
Non avrà mai più occasione di affrontare i Romani, e morirà pochi anni dopo (nel 19 o nel 21), assassinato dai Germani stessi perché troppo assetato di un potere “monarchico” al quale il mondo germanico non era pronto.

Germanico erige un trofeo sul luogo della battaglia, perdona gli Angrivari, venuti a sottomettersi, e inizia un difficile rientro verso occidente.

La guerra in Germania in realtà non è ancora conclusa, e due delle aquile delle tre legioni di Varo sono ancora da qualche parte nelle foreste della Germania (una è stata da poco recuperata).

[Leggi anche Le tre aquile di Teutoburgo (9-41 d.C.)]

Ma con la battaglia del Vallo Angrivariano, Germanico ha portato a termine la sua missione principale: sconfiggere Arminio, riportare la supremazia romana al di là del Reno, e riscattare l’onore di Roma.

L’𝘶𝘭𝘵𝘪𝘰 è quasi compiuta e, soprattutto, Teutoburgo è stata vendicata.

Letture consigliate (clicca i link qui sotto per acquistare la tua copia del libro)

U. Roberto 2020, Il nemico indomabile. Roma contro i Germani