Il legionario repubblicano. Un combattente individuale

L’immagine stereotipata della macchina bellica romana è sicuramente ben radicata nelle nostre menti, come trasmessa da libri, film, ricostruzioni: una formazione compatta, con i legionari spalla a spalla, che come un rullo compressore premono in avanti (o come un muro, resistono ai barbari).

Ora, questa è un’immagine abbastanza lontana dalla realtà, specie se prendiamo in considerazione il periodo repubblicano.

Anche se può sembrare un’affermazione paradossale, il legionario repubblicano era infatti prima di tutto un combattente individuale, inquadrato con altri combattenti individuali.

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Questa descrizione non è del resto una mia fantasiosa interpretazione o teoria.

Sono le parole di un affidabile testimone oculare, militare egli stesso, che ha visto i legionari romani in azione: Polibio, uno dei più grandi storici del mondo antico.

Vediamo quindi cosa ci dice in merito.

“L’ordine di battaglia dell’esercito romano è molto difficile da rompere, dal momento che consente a ogni uomo di combattere sia singolarmente che collettivamente […]”
[XV, 15, 7]

Illustrazione di Johnny Shumate

Polibio è ancora più esplicito quando, più avanti nell’opera, passa a descrivere le differenze tra la falange ellenistica e lo schieramento romano.

“Ora, un soldato romano con le sue armi ha bisogno di uno spazio libero di tre piedi [ca. 90 cm].
Secondo i metodi di combattimento romani, ogni uomo si muove separatamente: non solo difende il suo corpo con il lungo scudo, spostandolo in continuazione per evitare di essere colpito, ma, usando la sua spada di punta e di taglio, è ovvio quindi che una formazione più aperta sia necessaria, e che ogni uomo sia a una distanza di almeno tre piedi da quello al suo fianco e alle sue spalle […]”
[XVIII, 30]

Uno spazio di quasi un metro tra un uomo e l’altro non è certo quello che diremmo una formazione serrata. E infatti ogni soldato, pur in formazione, combatte a sé.

Le descrizioni di Polibio sono solo l’esempio più eclatante ed esplicito.

Che il legionario della repubblica non combattesse usualmente all’interno di una formazione compatta e fosse portato a movimenti e azioni individuali lo dimostra, tra gli altri, anche il particolare episodio di Ruspina, nel 46 a.C.

Cesare, che tra l’altro è in difensiva, vede i suoi soldati lanciarsi in avanti, tentando di colpire la veloce cavalleria numida.

Non ordina però loro di restare strettamente connessi e in formazione, ma:

“ordinò attraverso i ranghi che nessun soldato procedesse più lontano di quattro piedi dalle insegne.”
[De Bello Africo, XV]

Nel testo originale, è molto chiaro che si stia riferendo ai soldati presi singolarmente.
Sempre dal De Bello Africo, si può ricordare quando un
veterano della V Alaudae carica un elefante avversario uscendo dalle file, in completa autonomia.

Ora, è ovvio che i legionari di un manipolo o di una coorte combattessero, per quanto combattenti individuali, tutti insieme.

Tuttavia, la larghezza della formazione e il fatto di potersi muovere singolarmente non derivano solo dall’esigenza pratica di poter maneggiare la spada (specie se consideriamo che nella tarda antichità, con l’uso quasi solo di taglio di spade ben più lunghe, i soldati combattevano quasi in falange).

Per capire questa apparente stranezza, bisogna tentare di addentrarsi nella mentalità romana.

Disciplina e virtus guerriera

La lettura nuda e cruda della testimonianza di Polibio, che sembra addurre solo motivi pratici, non aiuta a chiarire l’apparente contraddizione in termini costituita da una formazione di combattenti individuali.

Bisogna scavare più in profondità.

Sappiamo da Polibio che il legionario, per brandire di taglio e di punta la sua arma, ha bisogno intorno a sé di uno spazio libero di almeno un metro.

Il mero fattore pratico sembra tuttavia da escludere.
Come accennato, infatti, in epoche successive i legionari combatteranno in formazioni serrate, con le ben più lunghe spathae.

In più, un corretto uso della spada sembra non essere la priorità assoluta per i Romani.

Catone il Censore, per esempio, sosteneva che il portamento di un soldato, la fiducia in se stesso e la ferocia del suo urlo di guerra fossero più importanti dell’abilità con la spada.

Per avvicinarci alla risposta al dilemma, prima è necessario anche conoscere il giuramento dei legionari repubblicani, come ce lo riporta Tito Livio:

“Non abbandonare mai i ranghi per timore o per fuga, ma solo per prendere o recuperare un’arma, per uccidere un nemico o per salvare un commilitone“.
[XXII, 38, 2-5]

Nel passo di Livio ben ritroviamo questa descrizione di Polibio:
“[i legionari che hanno perso un’arma in combattimento] si lanciano temerariamente contro i nemici, con la speranza di recuperare l’arma perduta o di schivare con la morte l’onta inevitabile e gli insulti dei propri cittadini.”
[VI, 37, 1-4]

In questi comportamenti sta la chiave per capire lo strano “individualismo collettivo” del legionario repubblicano.

La cultura militare della Roma repubblicana si basa certo sulla disciplina…ma è una “disciplina” del tutto diversa da quella che noi associamo ormai a tale parola.

Illustrazione di Johnny Shumate

Non è infatti intesa come un mero insieme di norme, sanzioni e incentivi per convincere il soldato a combattere.

La disciplina romana è primariamente un freno agli eccessi di ardimento ai quali sono naturalmente portati, per educazione ricevuta, i singoli legionari.

Ognuno di loro, infatti, è tenuto a incarnare la virtus guerriera, in una gara di slancio e abnegazione con i propri commilitoni.

La cultura militare romana è una cultura dell’onore e della vergogna, nella quale tanto la collaborazione quanto la competizione tra i singoli sono spinte al massimo.

Costantemente sotto l’occhio vigile dei comandanti e dei commilitoni, il legionario deve fare sfoggio della propria virtus e del proprio furor guerriero, per non essere da meno degli altri.
Pena, la vergogna e il disonore.

Ciò spiega anche bene perché i Romani siano inflessibili e spietati con i loro concittadini che fuggono o si fanno catturare sul campo di battaglia.

La formazione di battaglia dei Romani è larga, lascia a ogni legionario il proprio spazio per combattere, anche singolarmente.

La particolare formazione romana è quindi il necessario connubio tra una disciplina ferrea e il bisogno atavico del soldato romano di fare sfoggio della propria virtus.

Bibliografia essenziale (clicca i link qui sotto per acquistare la tua copia del libro)

Fonti

Cesare, De Bello Africo

Polibio, Storie

Tito Livio, Ab Urbe Condita

Studi moderni

M. Bocchiola, M. Sartori 2008, La battaglia di Canne.

F. Dupont 2000, La vita quotidiana nella Roma repubblicana

N. Fields 2010, Roma contro Cartagine

N. Fields 2012, Roman Republican Legionary 298-105 BC