NB: Un aggiornamento importante di questo articolo è stato apportato, in fondo, a seguito di ricerche successive alla prima stesura. Ho voluto lasciare l’articolo originale esattamente com’era, per mostrare efficacemente che la Storia è in effetti sempre “in movimento”: ogni nuova scoperta modifica ciò che sapevamo prima.
Continua a leggere fino in fondo per scoprire l’aggiornamento, che ribalta le mie iniziali conclusioni.
Il concetto di “marciare al passo” (ovvero muovere contemporaneamente lo stesso piede e a un ritmo cadenzato), associato al mondo militare, è ormai talmente radicato in noi uomini contemporanei da renderci difficile non ricollegarlo anche agli eserciti del mondo antico.
È qualcosa di dato così per scontato da venire costantemente ripreso da film e gruppi di rievocazione storica e considerato come fatto assodato.
Ma quali effettive prove abbiamo sul fatto che i Romani marciassero e andassero in battaglia “al passo”?
In realtà, poco o nulla.

Ph. Martina Cammerata Photography.
Le fonti scritte sono misere in questo senso.
Ne abbiamo soltanto due, di età tardoantica, nelle quali il concetto di marciare al passo è, forse, espresso in modo diretto: l’Epitoma Rei Militaris di Vegezio (IV sec. d.C.) e lo Strategikon dell’imperatore Maurizio (VI sec. d.C.).
Vegezio (I, 9) menziona addestramenti di marcia e due tipi di “passo” – militaris gradus e plenus gradus -, e pone enfasi sul fatto che gli addestramenti e il saper marciare (o meglio, eseguire correttamente le manovre) siano utili e indispensabili per mantenere coese le formazioni, sia in marcia che in battaglia.
Leggendo con attenzione il passo, è evidente come Vegezio faccia riferimento a delle velocità di movimento, senza menzionare o implicare un “marciare al passo” in alcun modo.
Questo è evidenziato anche dal fatto che l’autore menzioni un terzo gradus, ovvero il correre, e che per tutti e tre i tipi di gradus si spenda più che altro nello specificare quanta distanza verrà percorsa dai legionari al giorno, mantenendo un certo tipo di gradus.
Anche nello Strategikon, l’autore esprime più volte un concetto che è assai simile al gradus di Vegezio (es. varie menzioni di “passo regolare” e “passo uniforme” in XII, B). L’autore scrive di “passo regolare” solo per quanto concerne il mantenere coese le formazioni, specie in battaglia.
Anche qui, nulla che implichi andare perfettamente “al passo” – tant’è vero che lo stesso concetto è utilizzato anche parlando di manovre e addestramenti della cavalleria.
Un’altra prova, forse indiretta, sul fatto che i Romani probabilmente non marciassero al passo (né sulla distanza né in battaglia) è data dalla totale assenza di strumenti musicali adatti a contribuire una tale pratica, come tamburi e flauti.
Gli strumenti musicali militari romani, come confermano del resto le fonti scritte, erano primariamente oggetti destinati alla trasmissione degli ordini.
Al contrario, le formazioni oplitiche della Grecia antica sappiamo che probabilmente marciavano almeno con un passo cadenzato, almeno in battaglia, proprio poiché avanzavano con l’ausilio di flauti e intonando i peana – anche in questo caso, però, non sappiamo se muovendo lo stesso piede o meno, seppure qualche testimonianza iconografica potrebbe confermarlo.
Del resto, le formazioni romane del periodo repubblicano e alto imperiale erano usualmente molto aperte, e il concetto di “linea” è alquanto diverso da quanto il nostro immaginario suggerisce – ne è un esempio lampante l’ordine di Cesare, alla battaglia di Ruspina, di non allontanarsi dalla linea “più di quattro passi”.
Leggi anche “Shock and charge”. La legione romana in battaglia
Le fonti iconografiche di ambito romano costituiscono forse un ulteriore elemento a sfavore dell’idea che i Romani marciassero al passo, almeno in battaglia e per gli spostamenti.
In quelle rappresentazioni di legionari in marcia o in battaglia, in monumenti come la Colonna traiana e la Colonna di Marco Aurelio i soldati non sono rappresentati mai nell’atto di marciare in modo uniforme.
Esistono poche, notabili eccezioni, che potrebbero suggerire la pratica della marcia al passo, almeno in specifiche situazioni.
Ad esempio, la formazione di una testudo rappresentata sulla colonna traiana. Si tratta di una formazione che necessità il massimo coordinamento possibile e la massima sincronia tra i legionari coinvolti.
Un’altra eccezione è costituita da una delle metopae del Tropaeum Traiani di Adamclissi, in Romania. Qui, due vessilliferi e un gruppo di legionari fuori servizio, armati alla leggera (rappresentati in metopae separate), sembrano rappresentati nell’atto di marciare allo stesso passo.

Un’ulteriore occasione nella quale forse i soldati, usualmente non in armi, avrebbero forse finito per marciare al passo, sono i trionfi. Sappiamo dalle fonti antiche (es. Svetonio), che i legionari, durante la processione trionfale, potevano lanciarsi in canzoni anche dal contenuto triviale. Questo elemento musicale potrebbe aver contribuito, almeno in questa occasione, a far naturalmente assumere un passo cadenzato alla formazione.
In conclusione, pensare che i Romani “marciassero al passo” in ogni occasione, particolarmente in battaglia, è probabilmente solo frutto di una nostra idea di esercito talmente radicata (risalente solo alle epoche moderna e contemporanea), che ci ha portato ad associarla in modo praticamente automatico anche agli eserciti antichi.
Dovremmo riconoscere che non ne sappiamo abbastanza e che non dovremmo dare per scontato che lo facessero (e anche riconoscere l’ipotesi, forse più probabile, che per la maggioranza dei contesti sia un’idea sbagliata).
Aggiornamento del 14.07.2021
Nonostante avessi trattato il tema, ho continuato a fare ricerca per scoprire di più su questo particolare tema.
All’inizio mi sembrava di trovare solo fonti a supporto della mia tesi…quando, studiando e leggendo Ammiano Marcellino, autore di IV secolo, ho trovato un passaggio che ribalta totalmente quanto sopra.
Un passo difficilmente ignorabile, e una straordinaria fonte che indica come in realtà, almeno in battaglia, quanto meno i legionari romani tardo antichi avanzassero al passo cadenzato.
Ecco qui il passo. L’anapesto è un metro poetico, il che indica anche un ritmo di un certo tipo. Inoltre, in altri passi dell’opera, Ammiano Marcellino utilizza il termine gradus per descrivere l’incedere di soldati: un ulteriore indizio che probabilmente anche Vegezio, oltre alla velocità, intendesse qualcosa di molto simile al nostro “passo”.
“Quindi, allorché i due eserciti furono abbastanza vicini da vedersi reciprocamente, i Romani, risplendenti per gli elmi crestati e agitando gli scudi, avanzavano lentamente come al ritmo di anapesti […]”
“Ergo ubi vicissim contiquae se cernerent partes, cristatis galeis corusci vibrantesque clipeos velut pedis anapaesti praecinentibus modulis lenius procedebant […]”
[Res Gestae XXIV, 6, 10]
L’amico Gioal Canestrelli ha analizzato lo stesso quesito, ma giungendo a conclusioni decisamente diverse dalle mie prime, ma più vicine alle ultime informazioni che ho trovato. Qui la sua analisi:
Bibliografia essenziale (clicca i link qui sotto per acquistare la tua copia del libro)
Fonti primarie
Cesare, De bello africo
Maurizio imperatore, Strategikon
Svetonio, Vite dei Cesari
Vegezio, Epitoma Rei Militaris
Studi moderni
Cascarino G. 2007, L’esercito romano. Armamento e organizzazione. Vol. I: dalle origini alla fine della Repubblica
Cascarino G. 2008, L’esercito romano. Armamento e organizzazione. Vol. II: da Augusto ai Severi
Goldsworthy A. 2011, The Complete Roman Army
In realtà i centurioni sembra avessero il fischietto, e questo può essere usato per dare la cadenza.
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In realtà, l’uso del fischietto non è attestato da nessuna parte: è solo una trovata scenica per la serie HBO “Rome” (così come la famosa mutatio, che come mostrata nella serie è sicuramente inventata).
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