Titolo: “Il guerriero, l’oplita, il legionario. Gli eserciti nel mondo classico.”
Autore: Giovanni Brizzi
Anno pubblicazione: 2002
Editore: il Mulino
Devo fare una confessione: prima di quest’anno, non avevo ancora avuto modo di leggere “Il guerriero, l’oplita, il legionario“, un saggio che è un grande e imperdibile classico della saggistica sulla Storia militare antica.
Si tratta di un libro veramente agile, che si legge anche in poche ore – 238 pagine, indici compresi. Ma è un libro denso di informazioni e nozioni preziose, che qualunque appassionato di Storia militare, e molto in particolare romana, dovrebbe leggere – per quanto non sia esente, a mio avviso, da alcune pecche.
Ma andiamo con ordine.
Anche se il titolo sembra dare a intendere che sarà trattato un argomento di ampio spettro, e nonostante si prendano brevemente in esame anche i modelli militari greci ed ellenistici, in realtà è lo stesso prof. Giovanni Brizzi a specificare che, di fatto, il libro traccia soprattutto un’evoluzione di quello che è stato il combattente romano, andando a identificare nel legionario repubblicano e imperiale la sublimazione e unione delle figure del guerriero individuale e dell’oplita greco.
In questo discorso è sapientemente inserito anche un ragionamento tutto basato sull’etica guerriera e sull’eterno conflitto tra l’uso esclusivo dell’onore, della forza e del confronto diretto con la metis, la prudenza e astuzia che in antico erano usualmente associate alla figura di Ulisse.
Un excursus antropologico e culturale affascinante, che attraversa anche i secoli della repubblica e i primi secoli dell’impero romano, esplorando come i Romani stessi si rapportavano con queste due “anime” del modo e dell’etica del fare la guerra.
Non avendo avuto modo di leggerlo prima, come avevo accennato all’inizio, sono stato molto contento (e sollevato!) di scoprire di essere arrivato ad alcune delle stesse conclusioni del prof. Brizzi per quanto concerne il comportamento e l’ethos dei legionari romani repubblicani in battaglia.
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La seconda parte del libro affronta due temi importanti, di cui uno ho trovato altrove poco trattato, ovvero la nascita e sviluppo della cd. lorica segmentata, nata dal rapporto conflittuale con i Parti e dalla necessità di difendersi dalle loro frecce (che tanto danno avevano fatto a Carre), e il difficile rapporto tra i Romani e gli Ebrei di Giudea, che a più riprese si ribellarono per conto proprio o in alleanza con i Parti.
Ora, come detto, il libro trovo non sia esente da alcune pecche, che però reputo aprano più che altro lo spazio a ulteriori riflessioni, più che inficiare la letture. Vediamo quali.
Tralasciando la questione del cardiophylax/pectorale dei legionari del periodo di Polibio, che dovrebbe essere tondo e non quadrato (ma questo è un errore derivato da una traduzione di Polibio, ed è alla fine saltato fuori solo di recente), ci sono alcuni aspetti che forse, alla luce degli ormai vent’anni del libro, andrebbero rivisti e rimessi in discussione.
Per cominciare, Brizzi sembra contrapporre in modo netto un modo occidentale, e superiore, di fare la guerra, e uno orientale – con un apparente giudizio anche sui guerrieri-soldati stessi, la loro formazione e il loro valore, dando una valutazione di netta superiorità a priori di quelli occidentali.
Questo è un “paradigma” davvero duro a morire ancora oggi, anche se, preso da angolazioni diverse, è stato affrontato e in parte smontato da autori come Maxime Petitjean, che per esempio distinguono piuttosto un modo di fare la guerra caratteristico delle popolazioni sedentarie (che fa avere a Oriente e Occidente molti più punti in comune di quanto non appaia a prima vista), contrapposto a quello dei guerrieri della steppa.
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In più il prof. Brizzi, con un’appendice dedicata agli eserciti tardo antichi, individuerebbe nell’esercito campale di Giuliano l’ultima forza “occidentale” comparabile a quella degli eserciti legionari del Principato. Il modello antico del soldato-cittadino in favore del soldato-suddito, secondo Brizzi si chiuderebbe proprio con il tardo antico, causato da influenze orientali troppo spinte, che avrebbero anche causato la crisi del modello militare romano.
Ora, questo ragionamento è ampiamente discutibile. La crisi del soldato-cittadino, infatti, si potrebbe far risalire già a molto prima, con l’istituzione della figura dell’imperatore, sovrano assoluto prima sconosciuto al mondo repubblicano: una vera e propria rivoluzione culturale che sconvolge totalmente la mentalità romana – come efficacemente sintetizzato nelle conclusioni di “La vita quotidiana nella Roma repubblicana” di Florence Dupont.
In più, stranamente l’autore sembra non tenere eccessivamente conto che il legionario romano del Principato non avrebbe mai funzionato nel contesto del tardo antico, e prima ancora in quello del III secolo – anzi, proprio quest’ultimo scenario dimostrerà in toto quanto l’organizzazione militare del Principato fosse obsoleta e inefficace verso le nuove minacce, che potevano sfondare il confine e inoltrarsi in profondità nell’impero senza incontrare resistenza. Così come non sembra essere accentuato abbastanza come siano proprio i nemici di Roma a mutare, divenendo più forti, più organizzati, molto più minacciosi di prima.
Perché non credo sia peregrino affermare che, nel periodo del Principato, i Romani avevano l’esercito migliore del mondo mediterraneo soprattutto perché nessun’altra potenza era in grado di organizzare nulla di comparabile – ergo, non per una superiorità intrinseca e assoluta del modello romano.
Se certamente, come c’è da aspettarsi in una civiltà che è durata secoli, la mentalità e i modelli etici cambiano, l’apparente “decadimento”, in realtà evoluzione, della macchina bellica romana non può che essere causato specialmente dalla necessità del mondo romano di sopravvivere alle sempre maggiori e più organizzate minacce del mondo esterno.
E in realtà ci è riuscito in modo efficace.
Al netto di questa mia ultima nota, qual è quindi il mio giudizio su “Il guerriero, l’oplita, il legionario” del prof. Brizzi?
Non posso che pensare bene di questo libro, che ho apprezzato davvero tanto e che sono già sicuro di rileggere e consultare davvero spesso. Pur con i limiti che posso avervi trovato, il prof. Brizzi resta pur sempre uno dei più grandi studiosi di Storia militare antica che abbiamo in Italia, e questo saggio ne è la prova schiacciante: una vera miniera d’oro per qualunque appassionato e qualunque studioso del tema.
Un libro, insomma, che non può davvero mancare nella vostra libreria.
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“Il guerriero, l’oplita, il legionario”
Recensione interessantissima, grazie, anch’io ce l’ho da un po’ di tempo in lista di lettura e non mi decidevo ad iniziare! Le considerazioni di Brizzi sulla “inferiorità” dei guerrieri orientali non mi stupiscono, si trovano anche nel suo libro sulla guerra giudaica.
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