Le spade dei Romani. Un breve excursus (VIII sec. a.C. – XI sec. d.C.)

Qual è la spada tipica del soldato romano?
La maggior parte di voi probabilmente risponderebbe: “il gladio”. Però avrebbe torto, o meglio: darebbe una risposta semplicistica, veicolata dagli stereotipi che abbiamo del soldato romano.

Con una storia lunga più di duemila anni, è difficile infatti concepire una spada “tipica”: anche questo elemento, come tantissimi altri, è soggetto a evoluzioni e cambiamenti notevoli nel corso dei secoli.

Il gladio infatti (latino gladius; parola che noi utilizziamo come termine tecnico ma che in latino vuole semplicemente dire “spada”), nelle forme a noi più conosciute e che tipicamente associamo all’immagine “classica” del legionario romano, ha vita piuttosto breve.

Le spade tra il periodo regio e i primi secoli della Repubblica (VIII-III sec. a.C.)

Se nel primo periodo regio sono prevalenti le spade della tipologia “ad antenne” e cosiddette spade “a lingua da presa”, tra VI e III sec. a.C. a farla da padrone sono spade di derivazione ellenica, denominate xiphos (anche in questo caso, una parola generica per “spada”) e kopis. Queste sono le due armi bianche che avremmo visto più probabilmente indosso a un legionario impegnato nelle prime due guerre puniche, affiancate a più lunghe spade di tipo lateniano (o, per dirla con un’altra parola, galliche).

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Spada ad antenne tipo “Tarquinia”, IX-VIII sec. a.C.
La spada ad antenne è una tipologia di spade diffuse a partire dall’Europa centrale a tutto il continente, un’evoluzione diretta da spade della fine dell’Età del bronzo. Prende il nome, come è evidente, dal caratteristico pomolo a volute. Era realizzata sempre in bronzo, al contrario della più corta spada a lingua da presa, che poteva anche essere in ferro.
Molto diffusa in Italia, vero e proprio status symbol del guerriero aristocratico dell’epoca, la spada ad antenne è stata rinvenuto anche a Roma, nella necropoli dell’Esquilino. Il tipo Tarquinia è forse il più elegante dell’intera categoria.
Se dovessimo immaginare un’ipotetica “spada di Romolo”, avrebbe quasi certamente questo aspetto.

esercito romano

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Kopis o machaira, VI-IV sec. a.C.
Altra arma di derivazione ellenica, come lo xiphos, e forse adottata dai Romani attraverso gli Etruschi, il kopis è un’arma assai adatta per i colpi di taglio, come tradisce la sua forma.
Consigliata principalmente ai combattenti a cavallo (nel IV sec. a.C., l’autore greco Senofonte la descriverà come l’arma bianca ideale per i cavalieri), il kopis si trova abbastanza spesso rappresentato in mano a guerrieri appiedati.
La lunghezza di quest’arma era tra i 60 e gli 80 cm.
L’esemplare in foto, è piuttosto generico, seppure ispirato a diversi modelli italici.

Xiphos, VI-I sec. a.C.
Arma bianca tipica degli opliti, lo xiphos (parola greca che indica genericamente la spada), anche detto phasganon, è una spada corta, con una lunghezza variabile tra i 50 e i 60 cm – in ambito italico erano tipiche xiphos di taglia anche inferiore.
Sono caratteristiche la lama foliata, assai adatta sia a dare colpi di punta che di taglio, la guardia a croce e l’impugnatura sagomata.
L’esemplare in foto, essendo generico, è ben rappresentativo di un’ampia serie tipologica di queste spade. Sul suolo italiano, risalenti al VI-V sec. a.C., si possono ricordare gli esemplari da Alfedena e Campovalano, ancora piuttosto lunghi.

 

Spada La Tène B, III sec. a.C.
Spade di questo tipo furono introdotte nella penisola italica dalle popolazioni celtiche. Si tratta di armi dalla lama piuttosto lunga, intorno ai 60 cm. Mentre i Romani manterranno la spada La Tène B fino all’introduzione del gladio ispaniense, tra i Celti questo tipo di arma evolverà in modelli sempre più lunghi, per i quali è esasperata la funzione di taglio. Questo, seppur a volte retrodatato per eventi più antichi, è riportato anche nelle fonti romane, nelle quali le spade celtiche (che rispetto a questo periodo perderanno di qualità) spesso tendono a piegarsi e a perdere il filo a seguito dei colpi. 

A queste ultime spade assomiglia l’arma principe del legionario romano della tarda repubblica, introdotta probabilmente in Italia dalle truppe annibaliche durante la Seconda Guerra Punica: il gladio ispaniense.

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L’epopea del gladio: dal gladio ispaniense al tipo Pompei (III sec. a.C. – III sec. d.C.)

Così chiamato perché probabilmente copiato (e in seguito modificato) da modelli di spade lateniane usate dai mercenari celtiberi al seguito di Annibale durante la Seconda Guerra Punica, il gladio ispaniense è l’arma bianca principale dei Romani dalla fine del III sec. a.C. fino al I sec. d.C.

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Con una lunghezza della sola lama che poteva arrivare ai 70 cm, questa spada (che, a differenza di quelle di tipo ellenico, veniva portata sulla coscia destra, seguendo la moda celtica) era soprattutto una micidiale arma adatta a scaricare potenti colpi di taglio sugli avversari.
Ne fecero le spese i Macedoni di Filippo V a Cinocefale, come descrive in modo molto vivido Tito Livio (XXXI, 34): “[…] quando videro i corpi fatti a pezzi dalla spada ispanica, le braccia e le spalle mutilate o le teste staccate dal tronco con il collo completamente mozzato, e le altre orrende ferite, presi tutti da paura, capirono contro quali armi e contro quali uomini avrebbero dovuto combattere […]”.
Bisogna notare, comunque, come nello specifico la descrizione sia riferita a dei cavalieri romani in azione.

 

La spada corta della fanteria romana alla quale siamo così abituati ad associare i legionari, con una lama che difficilmente raggiunge i 60 cm, ha una vita di breve durata. Rappresentato dai tipi Mainz prima e Pompei poi (il primo caratterizzato da lama larga, il secondo da una lama più stretta a fili paralleli), questo tipo di spada viene utilizzato solo durante il I e il II sec., sopravvivendo fino agli inizi del III sec.

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Il gladio tipico del I sec. d.C., con lama larga e punta pronunciata.
La lama ha generalmente una forma piuttosto “foliata”, ma verso la fine del I sec. d.C. i fili diventano sempre più paralleli, preannunciando il successivo tipo Pompei.
Mentre la larghezza della lama rimane circa la stessa di quella del gladio ispaniense (più o meno 5 cm), la sua lunghezza diminuisce di molto, passando da 60-70 cm a 45-50 cm.
Come altre spade, il gladio di tipo Mainz annovera diverse sottocategorie.

L’esemplare in fotografia è basato su un gladio tipo Mainz conservato al British Museum, denominato anche “spada di Tiberio”, per via della decorazione presente su una delle placche decorative del fodero.

In una delle placche l’imperatore presenta simbolicamente ad Augusto le sue vittorie contro i germani. Augusto, seminudo e seduto nella posa di Giove, è affiancato dalla dea Vittoria ed a Marte Vendicatore, mentre Tiberio, in tenuta militare, presenta ad Augusto una statuetta di Vittoria. Un’altra interpretazione vede nella figura seduta lo stesso Tiberio, e nella figura che presenta le vittorie, Germanico. Tra le altre figure decorative, un’aquila legionaria ad ali aperte all’interno del saccello.

Gladio di tipo Pompei.
Evoluzione della precedente tipologia Mainz, andrà progressivamente a sostituirla a partire dalla metà del I sec. d.C., durando fino alle soglie del III sec.: per intenderci, è il tipo di arma bianca che accompagna i legionari durante il periodo delle campagne di Traiano.
La categoria prende il nome da una serie di esemplari rinvenuti proprio a Pompei, e dunque sicuramente databili al 79 d.C.
Questa tipologia si caratterizza per i fili pressoché paralleli e per un ulteriore accorciamento della lama rispetto al tipo Mainz, attestandosi sempre intorno ai 50 cm; inoltre, anche la lama è decisamente più stretta.
Degli esemplari rinvenuti, quelli con fodero presentavano quest’ultimo usualmente molto decorato.

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Dalla tarda antichità al medioevo: dalla spatha allo spathion

Nel III sec. d.C., il gladio sarà definitivamente soppiantato dalla spatha (termine che deriva dal greco, stante a significare una lama larga e piatta). Quest’ultima era già in uso, in fogge ovviamente diverse da quelle tardoantiche, già dal I sec. a.C. presso la cavalleria, ma a partire dal III secolo diventa l’arma bianca utilizzata anche dalle fanterie romane.

Con il III secolo, la spatha va gradualmente a sostituire il gladio anche presso i fanti, divenendo l’arma bianca del soldato romano per tutto il periodo tardoantico, e fungendo da base per i più tardi modelli medievali.

Caratterizzata da una lama che può arrivare a lunghezze tra gli 80 e i 100 cm e una larghezza compresa tra i 5 e i 6 cm, la spatha tornò a essere portata lungo il fianco sinistro, come le spade più antiche (in questo caso, però, più che altro per via della sua lunghezza, che ovviamente avrebbe impedito di sfoderarla direttamente da destra con la medesima mano).
Per quanto adatte anche a colpi di punta, queste spade dovevano essere particolarmente efficaci soprattutto con colpi di taglio, visto che alcune moderne, accurate ricostruzioni mostrano come il bilanciamento sia decisamente spostato verso la punta.

Nonostante l’etimologia del nome, sappiamo comunque che alcuni modelli iniziarono a presentare una o più scanalatura lungo la lama (tecnicamente chiamata “sguscio”), probabilmente nella necessità di alleggerire l’arma.
La spatha in immagine sarebbe stata visibile indosso a un soldato romano nel periodo tra il IV e V secolo, e plausibilmente fino al VI e VII.

In varie forme, durante il Medioevo la spatha romana evolve nello spathion – la parola, greca, deriva direttamente dalla parola “spatha”: uno dei tanti termini del mondo militare che erano stati traslati direttamente dal latino in greco.

Allo spathion si affianca, già dall’alto Medioevo, il paramerion, ovvero la sciabola. Queste due armi, nei secoli tardi del Medioevo, nel mondo romano saranno rispettivamente influenzate da modelli occidentali – quando l’aristocrazia non si procurava direttamente produzioni europee – e orientali – particolarmente, provenienti dalla steppa e turche.

La lunghezza resta pressoché identica a quella della spatha tardoantica, mentre vanno ad evolvere il sistema di sospensione (sempre tramite balteo, però attaccato al fodero tramite due punti di sospensione, invece che solo passante attraverso la staffa a ponticello), le lame e soprattutto le impugnature, che tendono a presentare quasi sempre guarnizioni metalliche.

Lo spathion in immagine è basato su più fonti archeologiche e iconografiche.

Pur non essendo precisamente riconducibile a una delle quattro tipologie di spada romana del periodo cd. medio-bizantino realizzata da V. Yotov, mostre alcune somiglianze con il tipo Kunagota.
L’impugnatura ha un rivestimento in cuoio ornato di piccole borchie metalliche, un’ipotesi ricostruttiva basata su un mosaico di XI sec. da Chios rappresentante Longino.

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Immagine

Alcune letture consigliate

M.C. Bishop, J.C. Coulston, Roman Military Equipment. From the Punic Wars to the Fall of Rome, 2006

L. Asta, G. Canestrelli, “Roma contro Cartagine. Vol II: ausiliari punici in Italia”, 2019

G. Canestrelli, S. Liguori, “Roma contro Cartagine. Vol I: l’esercito di Annibale”, 2019

G. Canestrelli, “A Roma da Cartagine. La spada e lo scudo del legionario repubblicano”, 2021

G. Cascarino, “L’esercito romano. Armamento e organizzazione. Vol I.”, 2007

G. Cascarino, “L’esercito romano. Armamento e organizzazione. Vol II.”, 2008

G. Cascarino, “L’esercito romano. Armamento e organizzazione. Vol III.”, 2009

G. Cascarino, “L’esercito romano. Armamento e organizzazione. Vol IV.”, 2012

P. Connolly, Greece and Rome at War, 1981

Le repliche di Res Bellica utilizzate per questo articolo

Spada ad antenne tipo Tarquinia

Xiphos

Kopis

Spada celtica 

Gladio ispaniense

Gladio tipo Mainz

Gladio tipo Pompei

Spatha tipo Feltwell

Spada bizantina


18 thoughts on “Le spade dei Romani. Un breve excursus (VIII sec. a.C. – XI sec. d.C.)

  1. Bell’articolo, davvero completo!
    A questo punto (da semplice appassionato quale sono) sarebbe bello un articolo per capire se il passaggio da una spada all’altro è stato dovuto all’evoluzione tattica (o viceversa) e sfatare il mito della “decadenza” delle legioni nel momento in cui si abbandona il classico gladio.

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    1. Bella domanda! Credo sia sempre difficile capire, in realtà sono dell’idea, e non solo sull’argomento, che siano sempre una serie congiunta di cause, che portino ai cambiamenti nella panoplia del soldato romano.
      Influssi esterni, mode, cambi di tattiche, convenienza di manifattura, etc.: tutto questo va a confluire e porta, di volta in volta, a cambiamenti ed evoluzioni. E questo vale per ogni pezzo di armamento del soldato.

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