I Pretoriani – nascita, ascesa e caduta di una guardia imperiale.

62 a.C., Pistoia.

Le truppe della Repubblica Romana si scontrano con le milizie di Catilina.
I veterani di quest’ultimo oppongono una resistenza così forte e strenua che il generale inviato dal Senato, Marco Petreio, è costretto a inviare sul campo le truppe del suo pretorio, la sua guardia personale.
Questo episodio dimostra in modo inequivocabile l’utilizzo in battaglia, come elemento risolutivo, di truppe d’élite preposte al ruolo di guardia personale del comandante.
Da questo tipo di truppe si svilupperà, nel corso dei successivi decenni, la guardia pretoriana.

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Probabili pretoriani da un pannello dell’epoca di Marco Aurelio, ora ai Musei Capitolini (Roma).

Origine e reclutamento

Con il termine praetorium si indica la tenda del comandante in campo, il quartier generale del castrum romano.
Per estensione, esso va a rappresentare quindi anche il generale e i suoi più stretti collaboratori, il suo staff e, non ultime, le sue guardie personali – le cohortes praetoriae.

Fino alla morte di Cesare, questo tipo di unità d’élite era abbastanza raro fra i generali e i consoli di Roma.
L’inizio delle guerre civili che seguirono la morte di questo grande personaggio rappresentò l’inizio di un nuovo percorso per le Coorti Pretoriane, che da quel momento divennero un elemento standard e caratteristico degli eserciti romani.

Le fonti ci dicono che Marco Antonio avesse arruolato una guardia personale di 6000 uomini, garantendo a tutti il rango e la paga di centurione, mentre Augusto avrebbe avuto dalla sua addirittura 10.000 uomini come truppe personali.
Dopo la battaglia di Azio e il trionfo finale di Augusto, il nuovo signore di Roma stabilì delle nuove regole per l’arruolamento della sua guardia personale.
Fino a quel momento, il pretorio era stato costituito dai veterani e dai migliori combattenti che avevano dato prova di valore sui campi di battaglia del mondo allora conosciuto. Con Augusto si stabilì la consuetudine di arruolare la maggior parte dei pretoriani fra le migliori e nobili famiglie italiche, soprattutto di Umbria, Toscana e Lazio.

In questo modo, militare all’interno della guardia pretoriana, divenne uno status symbol.
Bisognava essere di nobile nascita, avere le conoscenze giuste, ed essere alti, molto alti. Mediamente 6 piedi romani per la precisione, vale a dire circa 1,77 cm.
Anche il principio del veterano con molti anni di servizio alle spalle venne accantonato, privilegiando arruolamenti in giovane età, dai 17 ai 20 anni. In questo modo si voleva abituare sin da giovani le reclute alla fedeltà assoluta ed esclusiva alla famiglia imperiale.
Si restava in servizio per un tempo minimo di 16 anni, ma era comunque un lasso di tempo privilegiato rispetto ai 20 anni del servizio da legionario – che spesso diventavano 25 o più.

Anche la paga era decisamente privilegiata: un pretoriano prendeva uno stipendio doppio rispetto a un semplice legionario, mentre un sottufficiale veniva pagato tre volte lo stipendio di un collega di pari grado nell’esercito. Doppia rispetto alla legione era anche la somma donata ai pretoriani congedati una volta terminato il periodo di servizio.

Mentre le reclute dovevano essere giovani e nobili rampolli delle migliori famiglie italiche, i tribuni erano veterani di comprovato valore ed esperienza.
Essi erano, nella maggior parte dei casi, stati in precedenza primus pilus, vale a dire il più alto rango raggiungibile da un centurione nell’esercito.
Uomini del genere potevano forgiare soldati di particolare valore anche dalla recluta più deludente. Dione Cassio ci narra che l’imperatore Tiberio un giorno invitò i senatori ad assistere ad uno degli addestramenti della guardia pretoriana all’interno dei castra praetoria. In questo modo, egli voleva incutere timore e rispetto, mostrando al Senato la forza e la valenza dei soldati a sua personale disposizione.

Organizzazione

Augusto istituì inizialmente 9 coorti pretoriane, di modo da non violare ufficialmente la tradizionale legge che proibiva di mantenere una legione romana, costituita per l’appunto da 10 coorti, all’interno del perimetro dell’Urbe.
Egli mise queste truppe al servizio di due prefetti del pretorio, che potevano anche guidarle in battaglia.

Le coorti pretoriane di Augusto erano quingenariae, ovvero costituite da sei centurie di 80 uomini ciascuna (480 uomini totali, quasi 500 uomini).
Tale assetto subì varie modifiche nel corso del tempo, anche se sempre temporanee. Basti ricordare gli aumenti di Caligola a 12 coorti, o quelli di Vitellio ad addirittura 16.
Fu sotto Domiziano che il numero delle coorti pretoriane fu fissato a 10 e il numero di uomini di ogni coorte passò da 480 a 960 (le coorti quingenariae divennero miliariae), e tale nuova struttura durò fino al 306 d.C., anno dell’avvento al potere di Massenzio a Roma.

Proprio ai principi del IV secolo, le 10 coorti Pretoriane risultavano sparse ai quattro angoli dell’impero.
Era l’epoca della cosiddetta Tetrarchia, o “Governo dei Quattro”.
Governavano infatti due Augusti e due Cesari, ognuno dei quali dominava una fetta di impero romano da una sua “capitale”, con 2 coorti pretoriane giunte da Roma e asservite alla propria corte come guardia personale.
A presidio dell’Urbe e con un ruolo di rappresentanza simbolica restavano poi altre 2 coorti, i cosiddetti remansores (coloro che erano rimasti [a Roma]), per un totale di 10.


Massenzio fu acclamato proprio da queste ultime due coorti rimaste a Roma, oltre che dalle Coorti Urbane, dal popolo e dal Senato. Egli ripristinò al numero di 10 le Coorti presenti dentro l’Urbe, arruolando in massa soprattutto fra soldati di origine italica, come testimoniato dalle numerose epigrafi.
Egli ribattezzò queste unità d’élite, fondamento del suo nuovo potere, “Coorti Romane Palatine”, legando indissolubilmente il nome di questi soldati alla città di Roma e al palatium imperiale sul Colle che porta lo stesso nome, il Palatino.

La gerarchia interna di ogni centuria non mutava rispetto alla legione. Al comando si aveva il centurione, accompagnato dagli altri sottufficiali (signifer, optio e tesserarius), e dal cornicen o dal bucinator per suonare gli ordini in battaglia.

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Pretoriani dal Grande Fregio Traianeo, oggi sull’arco di Costantino.

Le armi

Fra le armi principali dei pretoriani, come per i legionari, non poteva mancare il pilum.

Ci sono fonti iconografiche che ci suggeriscono che quest’arma sia stata usata fino alla battaglia di Ponte Milvio del 312, dopo la quale Costantino sciolse la Guardia Pretoriana e inviò i pochi superstiti sul limes renano, degradati e privati di ogni privilegio.
L’utilizzo del pilum in un momento storico in cui la grandissima parte delle truppe legionarie si era ormai dotata di lancia, la dice lunga sul tradizionalismo e sul conservatorismo di questa élite militare.

Va detto tuttavia che, al tempo di Massenzio, sono attestati alcuni pretoriani che avevano ricevuto il titolo di “Lanciarius”, ovvero sia di specialista nell’uso della lancea.
Che arma fosse esattamente la lancea, cioè se un’arma da mischia o un’arma da lancio, è ancora tema di discussione.
Se accettiamo che al principio del IV secolo tale arma potesse essere un’arma a urto, probabilmente l’epiteto di lanciarius dimostrerebbe che alcune coorti fra le 10 ripristinate da Massenzio erano state addestrate nell’uso della lancia per specifici scopi tattici, ad esempio per contrastare le cavallerie nemiche (il pilum era un’arma assai poco efficace contro le cavallerie del periodo, come lamentano alcuni autori della fine del III secolo).

Come per i legionari, anche il pretoriano doveva essere dotato di spada – il più corto gladio nel periodo altoimperiale, la lunga spatha nel periodo tardoantico. 

Gli scudi potevano essere una piccola parma tonda per il signifer o gli speculatores (i.e. gli esploratori), mentre per i soldati uno scudo esagonale o, molto più diffuso, il classico e grande scudo ovale.
Lo scudo era dipinto con i fulmini di Giove o lo scorpione di Tiberio.
Questo animale, che noi associamo sempre ai pretoriani, sarà sostituito dal leone all’epoca dell’anarchia militare nel III secolo.
Tale simbolo resterà fino alla fine della storia di questi soldati. Nel tardo antico, lo scudo ovale fu probabilmente sostituito o affiancato dallo scudo rotondo.

Così come per i Lanciarii, certamente c’erano gruppi di pretoriani addestrati come Sagittarii, cioè arcieri, sia a piedi che a cavallo.
L’uso dell’arco divenne via via più importante nel corso dei secoli, e truppe scelte capaci di essere utilizzate in battaglia come arcieri venivano considerate fondamentali anche all’interno della Guardia Pretoriana.

Solitamente si tende a considerare, in virtù dell’alto rango e del prestigio di queste guardie personali degli imperatori, la lorica squamata, composta da centinaia di scaglie di metallo, come l’elemento difensivo per eccellenza. Almeno fino alla tarda antichità, e particolarmente nel periodo altoimperiale, le corazze a scaglie sembrano in effetti prerogativa di militari di alto rango, quali signifiericenturioni.

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L’imperatore Aureliano e la guardia pretoriana. Dal III secolo, l’animale simbolo dei pretoriani sarà il leone (illustrazione di Pavel Simak – Amelianvs)

La cattiva fama

Il disprezzo fra i legionari e i pretoriani era forte e reciproco.

I legionari rimproveravano alle coorti di Roma di essere dei nullafacenti, privilegiati, “figli di papà”, di scarso valore, strapagati e codardi, traditori e infedeli, capaci di vendersi come meretrici al miglior offerente e di uccidere imperatori solo per convenienza.
I pretoriani, dal canto loro, rimproveravano i legionari di essere contadini e mezzi barbari, arruolati nelle Province, ai confini del mondo, carne da macello, laddove loro erano orgogliosi rappresentanti del fior fiore della gioventù italica, eredi di quelle stirpi e quelle genti che, unite sotto il nome di Roma, avevano fatto diventare il bacino del Mediterraneo il dominio incontrastato dell’Urbe.

In virtù di un addestramento serrato e severissimo, si consideravano combattenti eccezionali, truppe d’élite, l’ultimo residuo e gli eredi diretti della fanteria italica romana capace di sconfiggere i più potenti eserciti del mondo conosciuto.
Questo senso di superiorità ebbe a durare fino a Settimio Severo. Sotto questo imperatore, il reclutamento nella guardia pretoriana fu infatti esteso anche ai provinciali asiatici, africani e soprattutto danubiani.

Allo stesso tempo, essi si consideravano i garanti della legittimità dello Stato e dell’equilibrio fra i poteri di Roma.
È vero che spesso avevano assassinato imperatori, ma in diverse occasioni lo avevano fatto perché l’imperatore in questione si era dimostrato inadeguato, indegno del suo compito, aveva vessato popolo e Senato, andando contro i compiti che gli venivano richiesti dalla res publica. E loro, ultimo baluardo dello Stato Romano, erano dovuti intervenire per ripristinare l’equilibrio spezzato.
Questo punto di vista dei pretoriani, naturalmente, sappiamo dalle fonti essere grandemente parziale: molte delle loro sommosse e congiure ai danni dell’imperatore di turno erano dovuti al soddisfacimento delle loro richieste, che fossero di privilegi o di donativi.

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Sir Lawrence Alma Tadema, “La proclamazione di Claudio a imperatore”

Tuttavia, soprattutto in presenza di governanti autorevoli e carismatici, la guardia pretoriana dimostrò tutta la sua fedeltà e generosità in molteplici occasioni.
Si ricordano le gesta compiute dai pretoriani di Otone, che si suicidarono di fronte alla sua pira funeraria, o la lealtà dei pretoriani di Alessandro Severo, o ancora l’eroico ardimento degli ultimi pretoriani di Massenzio, che si fecero massacrare dalle soverchianti truppe di Costantino fino all’ultimo uomo pur di difendere il loro imperatore, senza cedere di un millimetro rispetto alla linea di schieramento.

Inoltre, vivere a Roma non era una passeggiata. L’Urbe era puzzolente e nauseabonda, facile preda di epidemie e incendi, l’aspettativa di vita era estremamente più bassa che nelle Province, in virtù di un sovraffollamento che abbassava drasticamente la qualità della vita, la pulizia e l’igiene della città, la capacità di smaltire i rifiuti, etc.

Arrivare al pensionamento e portare a termine i 16 anni di servizio richiesti spesso poteva essere un’impresa assai ardua.
Si stima infatti che solo il 40% degli arruolati totali fra le fila dei pretoriani arrivasse in effetti a fine servizio.

Anche la vita nei Castra Praetoria non era facilissima.
Costruiti da Tiberio, erano grandi solo 2/3 dell’estensione del castrum di una normale legione di 4800 uomini.
Domiziano in poi, i Castra ospitarono il doppio degli uomini di una normale legione, anche se certamente numerosi pretoriani erano impiegati in missione, sia nell’Urbe stessa, sia dislocati con particolari oneri in altre città dell’impero.

I compiti

Fra i compiti del pretoriano non c’era soltanto l’addestramento quotidiano, per trasformarsi nella più efficace macchina da guerra di tutto l’Impero.

Servizi di ronda, di spionaggio, la protezione dell’Imperatore e della sua famiglia, la repressione delle insurrezioni della plebe e delle rivolte cittadine, l’azione sul campo durante le guerre, come truppe d’élite ed elemento risolutivo di situazioni critiche. Tutto questo era parte della vita e dei doveri dei pretoriani.

Anche il servizio di ordine pubblico, non solo nella città di Roma, ma in tutta la Penisola, era uno dei principali doveri della guardia pretoriana.
Vera e propria polizia militare dell’epoca, essi furono determinanti per debellare alcuni pericolosi gruppi di banditi (latrones), tremenda piaga sociale che minava i commerci e la sicurezza delle strade, e in virtù della quale molti imperatori spesso inviarono interi distaccamenti di pretoriani.
Le fonti ci parlano infatti di Bulla Felix e Maternus, due famosi banditi, le cui attività criminose vennero stroncate proprio dall’azione delle Coorti Pretorie.

La fine

L’ultima pagina dei pretoriani fu anche la più gloriosa di questo corpo d’élite.

All’inizio del IV secolo d.C., le due coorti rimaste a Roma erano ormai considerate desuete e un peso per le finanze statali, oltre che guardati con derisione e ironia dai legionari veterani delle frontiere renane o danubiane, come se fossero soldati da operetta inabili al vero combattimento e più adusi al teatro o alle terme che ai campi di battaglia.

Ciò cambiò proprio negli ultimissimi anni di attività della guardia pretoriana, sotto Massenzio.

A Ponte Milvio, il 28 ottobre del 312 d.C., i pretoriani di Roma, ripristinati a dieci coorti,  i loro ranghi rimpolpati da reclute italiche e dai migliori veterani delle legioni tetrarchiche assorbite da Massenzio, combatterono con coraggio e determinazione straordinarie, conquistandosi la stima dello stesso Costantino, che rimase stupito dalla loro tenacia e forza.

Quando la battaglia volse al peggio per l’esercito d’Italia e molti soldati si diedero alla fuga e alla rotta, solo i pretoriani rimasero saldi sulla posizione, venendo accerchiati e poi massacrati dai costantiniani, continuando ostinatamente a non cedere.

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Rilievo dall’arco di Costantino. I cavalieri e arcieri costantiniani massacrano i pretoriani di Massenzio (riconoscibili dalle armature a scaglie).

Ormai ottenuta la vittoria, Costantino stesso pose fine alla mattanza, ammirato dallo straordinario coraggio di questi suoi avversari. I pochi superstiti vennero privati del loro rango e dei loro privilegi e inviati come limitanei sulle frontiere del Reno. Tuttavia, fu loro fatta grazia della vita.

Il corpo dei pretoriani fu sciolto per sempre da Costantino, così come fu smantellata la storica caserma dei Castra Praetoria, il simbolo stesso della guardia, con la distruzione delle mura sud e ovest.

Da quel momento in poi, la città di Roma resterà priva di truppe fisse, con le imponenti mura aureliane ancora in piedi ma senza un esercito accampato in città che potesse presidiarle stabilmente.

Bibliografia

Cowan R., Roman Guardsman 62 BC-AD 324, 2014
De la Bédoyère G, Praetorian. The Rise and Fall of Rome’s Imperial Bodyguard, 2017
Passerini A., Le coorti pretorie, Roma 1969
Rankov B., The Praetorian Guard, 1994
Speidel M.P., Riding for Caesar. The Roman Emperor’s Horseguard, 1994


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