L’esercito romano, nel corso dei secoli, va incontro a numerose riforme e trasformazioni.
A livello di comandi e gerarchie, tra le riforme più importanti e significative vi sono quelle che accompagnano l’esercito dal periodo alto imperiale e dal III secolo, fino all’epoca tardo antica. Tra queste, vi è l’introduzione di una figura estremamente importante per il funzionamento dell’esercito romano tra IV e VII secolo: il magister militum.
Questa carica, al vertice della catena di comando degli eserciti romani tardo antichi, non è tuttavia sempre uguale a se stessa, ed evolve anch’essa insieme all’apparato militare.
Per tracciare una breve storia dei magistri militum tardo antichi e per capire appieno perché nascano queste figure, tuttavia, bisogna partire da più lontano, dall’ultima fase dell’ordinamento militare di epoca alto imperiale, quando questi alti ufficiali erano ancora di là da venire.
La crisi del III secolo e l’esigenza del cambiamento
Quando confrontiamo l’esercito del periodo alto imperiale (I-II sec.) con quello che emerge nel IV sec., siamo spesso portati a pensare a un cambiamento improvviso e repentino.
In realtà, la trasformazione, se pure le future riforme di Diocleziano introdurranno molte novità, si sviluppa nell’arco di circa un secolo, attraverso varie fasi, ed è resa impellente e necessaria da quello “schiacciasassi” della Storia che è stato il III sec. d.C. – forse uno dei periodi più tremendi e complicati per la Storia romana.
Un periodo di profonda crisi, che vede al suo centro, sia come protagonista che come attore delle trasformazioni, proprio l’esercito romano e la sua struttura, che nel corso del III sec. d.C. (e già a partire dalla fine del II sec.) si rivela inadatto per le nuove sfide poste dai nemici esterni.
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Ai fini di questo articolo, non ci occuperemo naturalmente dell’interezza dei cambiamenti ai quali l’esercito romano va incontro nel III sec., e ci concentreremo piuttosto nell’analizzare alcuni punti fondamentali della sua struttura gerarchica.
Semplificando un discorso altrimenti complesso, con l’ordinamento augusteo, che resterà valido e con ben pochi mutamenti fino a tutto il III sec. d.C., gli eserciti romani sono dislocati solamente nelle province imperiali (ovvero, controllate dall’imperatore e non dal Senato, e con pochissime eccezioni), e in particolare in quelle province dislocate lungo il limes, il confine.
Il governo di queste province “militari”, e di conseguenza anche il comando delle legioni e forze ausiliarie della provincia stessa, è affidato usualmente a un legatus Augusti pro praetore di origine italica, ovvero un governatore di rango senatorio con imperium (il potere militare), delegato dall’imperatore. Per alcune province, anche tra quelle a carattere militare, invece di un legatus Augusti di rango senatorio troviamo un praefectus o un procurator Augusti, di rango equestre.
In sostanza, il comando militare sarebbe in teoria nelle mani dell’imperatore, che non potendo però essere sempre presente delega le sue funzioni di comando.
Questa struttura di comando e di distribuzione delle forze armate, tuttavia, già dalla fine del II sec. inizia a mostrare segni di profonda debolezza rispetto alle nuove sfide che giungono dall’esterno, che si intensificano nel corso del III sec.
Infatti, già nel corso delle guerre marcomanniche (166-189), combattute dall’imperatore Marco Aurelio, le grandi coalizioni germaniche da oltre il Danubio riescono a sfondare lungo il limes, e si addentrano, senza trovare resistenza, anche in quelle province che non sono difese da un esercito. Questo richiede l’intervento in persona dell’imperatore con una forza armata al seguito, ma è un’operazione per la quale serve tempo e non permette la difesa efficace del territorio imperiale.
A questo va aggiunto che i legati Augusti, di rango senatorio, puntano al governo delle province imperiali soprattutto poiché massimo gradino della loro carriera, e spesso non hanno nemmeno un’esperienza militare alle spalle.
Nel corso del III sec., questa inadeguatezza della struttura gerarchica e dell’esercito si fa sentire sempre di più, tanto che si hanno incursioni e invasioni che arrivano fino in Grecia e al cuore dell’Italia – Roma stessa, nel 260, si trova in pericolo.
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Questa situazione spinge a graduali ma sempre più importanti riforme e innovazioni nell’ambito dell’organizzazione dell’esercito, promosse in prima istanza dall’imperatore Gallieno (r. 253-268) e poi dagli imperatori illirici, favorite anche dalla cruciale Constitutio Antoniniana del 212 (meglio noto come “editto di Caracalla”), che garantisce la cittadinanza romana a tutti i cittadini liberi dell’impero.
Grazie a questa importantissima riforma, ora le massime cariche dell’esercito sono raggiungibili anche da quegli ufficiali di carriera che provengono dal rango equestre, dall’esercito stesso e dai provinciali, che fino ad ora erano stati di fatto esclusi dai vertici.
A questo processo si affianca anche la sempre più netta separazione dei comandi militari dalla carriera politica (salvo quando un ufficiale ambizioso aspira alla porpora), pressoché completa entro la fine del III secolo, e la graduale esclusione della classe senatoria dal comando militare.
Gallieno organizza inoltre per la prima volta, riprendendo un’idea usata in modo più limitato da Settimio Severo, una serie di riserve mobili a diretta disposizione dell’imperatore, il comitatus, che possano agire in velocità laddove ve ne sia bisogno all’interno dei confini imperiali – è grazie a questa forza, prevalentemente di cavalleria, che nel 260 Gallieno annienta presso Milano gli Alamanni che hanno fallito l’assalto a Roma.
Questa nuova riserva strategica, che sarà alla base della futura struttura degli eserciti tardo antichi, è diretta da una nuova carica di comandante supremo della cavalleria, che nel III secolo è probabilmente conosciuta come dux equitum o, forse, come magister equitum.
Da questa complessa situazione, sulla quale agiranno Diocleziano e Costantino (nonché i figli di quest’ultimo) per riformare definitivamente l’esercito romano, potrà infine essere concepita la figura del magister militum.
Magister peditum, magister equitum, magister utriusque militiae. La trasformazioni da Diocleziano a Valente (284-378)
Tracciare con sicurezza l’evoluzione delle gerarchie dell’esercito da Diocleziano fino al tardo IV secolo, e in particolare durante il regno della dinastia costantiniana, non è semplice, ma si può tracciare con una relativa sicurezza il quadro che segue.
A partire dalla sua ascesa al trono nel 284, Diocleziano opera una profonda riorganizzazione della struttura dell’esercito e dei suoi comandi, proseguendo il percorso iniziato dai suoi predecessori.
Nel suo disegno, al vertice delle gerarchie militari ora ci sono stabilmente più figure, due Augusti e i loro sottoposti, ovvero due Cesari.
Ognuno dei due imperatori comanda direttamente, o congiuntamente con il suo Cesare, il proprio esercito mobile, o di manovra, il comitatus.
Questi eserciti mobili (contrapposti a quelli a difesa delle frontiere), dislocati all’interno dei confini e nati con le stesse funzioni del comitatus di Gallieno, vengono moltiplicati da Costantino, che assegna un comitatus a ognuno dei suoi Cesari, ovvero i suoi tre figli (prima ancora, anche al figlio Crispo e, prima che venga assassinato nel 337, al nipote Dalmazio).
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Fino al 312, tolto il comando di Augusti e Cesari, l’esercito nel suo complesso risponde alla figura del praefectus praetorio, forse due sotto Diocleziano e quattro sotto Costantino, ognuno responsabile prima per una delle due partes governata dagli Augusti, successivamente per una delle quattro grandi prefetture nelle quali è stato suddiviso l’impero romano (Gallie, Italia, Illirico, Oriente), anche se forse questa suddivisione è più graduale e dilazionata nel tempo.
Nelle province di confine, sotto al praefectus praetorio troviamo, forse già sotto Diocleziano, diversi comites rei militaris (sing. comes rei militaris), alle cui dipendenze vi sono i duces limitis, o più semplicemente duces (sing. dux).
Queste figure militari, al contrario del praefectus, non esercitavano alcun potere civile, nelle diocesi (raggruppamenti di più province) lasciato nelle mani dei vicari – che a loro volta non detenevano alcun incarico o potere militare.
Con Costantino e i suoi figli, la situazione cambia ulteriormente, a favore di una ancora più netta separazione del potere civile da quello militare, e andando a ramificare ancora di più quest’ultimo, migliorandone l’efficienza.
Il praefectus praetorio, seppure se si continua a occupare anche di importanti aspetti della logistica militare, da Costantino in poi non avrà più alcun comando effettivo sulle truppe della sua prefettura.
È infatti a partire dal periodo di Costantino e i suoi figli che nasce la figura del magister militum, quale massima carica militare (paragonabile a grandi linee a quella di un generale).
Non sembra tuttavia ancora stabilizzata la figura del magister militum propriamente detta.
Se infatti già forse in questo periodo si delinea una figura simile al futuro magister militum praesentalis, al comando dell’esercito del comitatus imperiale, e se già si vanno a definire i magistri per i rispettivi eserciti regionali (es. magister militum per Gallias, per Illyricum, per Orientem, per Thracias; si noti come non è mai attestata la figura di un comandante supremo per Italiam), tuttavia usualmente il comando è immaginato come separato nelle due branche di fanteria e cavalleria.
Se infatti esistono figure che radunano su di esse il comando delle due armi, ovvero il magister militum utriusque militiae, sembra essere più usuale la divisione del comando supremo tra le due figure distinte del magister peditum e del magister equitum.
Questa divisione sembra ricalcare, non sappiamo esattamente se in modo voluto o meno, l’antica suddivisione di comando del periodo repubblicano, nei periodi di dittatura: il dictator, che comandava la fanteria delle legioni, era affiancato da un comandante di cavalleria (il magister equitum, appunto) di sua nomina.
Questo apparente calco si riflette anche sul fatto che il magister peditum di periodo costantiniano è considerato di rango più alto rispetto al magister equitum. Una distinzione che non tiene però conto dei tempi, e che nel giro di pochi decenni è necessario appianare e affinare.
Sarà la disfatta di Adrianopoli del 378 a sancire il nuovo cambiamento delle figure dei magistri.
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La riforma di Teodosio (379-395) e la Notitia Dignitatum. La creazione del magister militum praesentalis, le differenze tra Oriente e Occidente
Ho sinteticamente affrontato in un precedente articolo breve la riforma militare verosimilmente da attribuire a Teodosio, ma sarà qui necessario riprenderla ed espanderla, andando anche ad analizzare brevemente una delle fonti più importanti per l’esercito romano tardo antico: la Notitia Dignitatum.
[Leggi anche Difesa a tre livelli. La riforma militare di Teodosio.]
Nonostante il sistema uscito dalle riforme costantiniane avesse bene o male retto fino a quel momento, la disfatta di Adrianopoli del 378 e in generale tutto l’andamento della prima parte della guerra gotica del 376-382 rivelano alcune intrinseche debolezze del sistema militare, al quale Teodosio mette mano per porvi rimedio.
Questo, almeno per quanto riguarda la pars Orientis: come vedremo a breve, infatti, la situazione nella pars Occidentis governata da Graziano forse non sembra tale, agli occhi dell’imperatore, da dover promuovere le medesime riforme nello stesso modo.
Teodosio decide di abolire la distinzione tra magister peditum e magister equitum, accorpando definitivamente il comando tanto di fanteria che di cavalleria nelle mani di magistri militum utriusque militiae, d’ora in poi più semplicemente magistri militum.
Questo sia perché la differenza di prestigio tra le due figure non ha più senso di esistere (specie considerando il ruolo sempre più importante della cavalleria già dal III sec. d.C.), sia perché così la coordinazione e collaborazione tra le due armi sarà più efficace.
Ogni magister militum ha a sua disposizione circa 20.000 soldati (parliamo degli eserciti campali mobili), nei quali le quote di fanti e cavalieri sono distribuite in base alle necessità locali.
Gli eventi del 376-378 dimostrano inoltre la necessità di non poter sguarnire eccessivamente le province di soldati, in vista delle campagne militari, e della presenza di una forza sempre a diretta disposizione dell’imperatore, in caso di necessità.
Infatti, per le campagne militari, spesso gli imperatori attingevano direttamente da unità degli eserciti regionali, sguarnendo così questi ultimi di elementi validi in caso di emergenza – queste forze potevano essere rimpinguate con reclutamenti e spostamenti di truppe da altre province, ma entrambe le operazioni richiedevano tempo.
Se inoltre fosse accaduto un disastro come quello di Adrianopoli, non vi era modo di porre rapidamente rimedio alla situazione, mancando del tutto un’ulteriore forza di riserva.
Teodosio istituisce così questa forza suddivisa in due eserciti, di stanza nei pressi di Costantinopoli (probabilmente sulle due opposte sponde del Bosforo, per poter rapidamente volgere tanto a oriente quanto a occidente), ponendo ognuno di questi “corpi d’armata” al comando di un magister militum praesentalis (i.e. “in presenza” dell’imperatore), a diretta disposizione del sovrano e ultima linea di difesa in caso di un pesante sfondamento del limes e di sconfitta dell’esercito provinciale – nonché sua forza mobile in caso di campagna militare: sarà soprattutto con i suoi eserciti “in presenza” che Teodosio, nel 388 e nel 394, muoverà guerra agli usurpatori Magno Massimo ed Eugenio.
In più, il magister militum praesentalis costituisce di fatto il generale di più alto grado delle forze armate, al di sotto solo dell’imperatore – pur non avendo però diritto di comandare direttamente nessun altro degli altri magistri militum provinciali, limitando così ragionevolmente il suo potere.
Abbiamo visto in precedenza che figure che forse anticipano il magister militum praesentalis, come suppongono alcuni storici, già esistano in epoca costantiniana, ma gli studi recenti portano a far ritenere che sia piuttosto Teodosio a istituirle, o almeno a istituzionalizzarle, in questa maniera.
Dal periodo di Teodosio fino a gran parte del VII secolo (con ben poche modifiche, come vedremo), i magistri militum orientali sono così elencati:
–magister militum praesentalis I
–magister militum praesentalis II
–magister militum per Thracias
–magister militum per Orientem
–magister militum per Illyricum
Ora, questa riforma dei magistri militum è fotografata in modo preciso nella Notitia Dignitatum per la pars Orientis, usualmente datata al 395 (e comunque non oltre il 413, non includendo infatti la carica di comes Ponticae attestata per quell’anno nel Codex Theodosianus).
Tuttavia, la riforma di Teodosio non sembra trovare un esatto riscontro per quanto concerne la pars Occidentis, che sembra anzi procedere direttamente dal periodo precedente senza soluzione di continuità.
Per la pars Occidentis troviamo infatti la vecchia ripartizione tra magister peditum e magister equitum, entrambi praesentales e di stanza in Italia, al fianco dei quali troviamo l’unico altro magister attestato, ovvero il magister equitum per Gallias (che nonostante il titolo comanda quasi certamente anche le forze di fanteria).
La divisione tra magister peditum ed equitum per l’Occidente, come vedremo, non rimarrà stabile a lungo.
Il resto dei comandi regionali non è affidato a magistri, ma a vari comites: comes Africae, comes Tingitaniae, comes Illyrici (l’Illirico è suddiviso, per amministrazione e difesa, tra Oriente e Occidente), comes Hispaniarum e comes Britanniarum.
Stabilire esattamente la motivazione dietro questa differenza non è semplice. Si può probabilmente spiegare nel fatto che Teodosio ha nelle sue mani l’imperium anche sull’Occidente solo per pochi mesi prima di morire, non avendo il tempo di attuare la medesima riforma, e che chi gli succede nel governo dell’Occidente (così come Graziano prima di lui e gli usurpatori che si ritrova a combattere nel corso degli anni) non hanno interesse a replicare la stessa identica struttura militare della pars Orientis.
La situazione occidentale illustrata nella Notitia è difficilmente databile, e potrebbe non fare nemmeno riferimento a un solo anno preciso. Si tende infatti a datarla usualmente in un arco temporale che va dal 400 al 425 (per semplificare, dal periodo di Stilicone all’inizio del regno di Valentiniano III).
Questa differenza tra Oriente e Occidente sulla figura dei magistri militum e della loro sfera di influenza mostrerà tutte le sue letali e pericolose conseguenze nel corso del V secolo.
Magister militum…et patricius. Il V secolo e la corsa al potere
Già a partire dalla morte di Teodosio, il nuovo sistema di difesa a tre livelli di Teodosio per la parte orientale dell’impero viene messo più volte alla prova nel corso del V secolo, tra alti e bassi ma sostanzialmente rivelandosi vincente.
L’unico scossone veramente grave è la campagna di Attila nel 447, con la quale tutti e tre i livelli di difesa (limes, esercito provinciale, esercito praesentalis) vengono annichiliti dall’esercito del re degli Unni.
[Leggi anche La battaglia del fiume Utus (447). La vittoria totale di Attila.]
Nel corso del V secolo, tuttavia, si assiste ad alcune ulteriori evoluzioni della carica di magister militum, che non riguardano tanto le competenze di questa figura quanto il suo potere effettivo.
In primo luogo, si assiste all’elargizione di questa carica, a titolo meramente onorifico (anche se all’interno del mondo romano non perde mai la sua connotazione e funzione originaria), anche a personaggi che sono in parte o del tutto al di fuori del mondo romano.
Il primo di questi è Alarico, fatto magister militum per Illyricum dalla corte orientale nel 397 (fino al 400), e poi da Stilicone, in chiave questa volta anti-orientale, nel 405. Il caso di Alarico è però particolare, in quanto il leader goto effettivamente esercita la sua carica, almeno al momento della prima nomina, e le sue truppe sono equiparate a tutti gli effetti agli altri soldati dell’esercito regolare.
Molto diversi sono invece i casi di Attila e Teoderico l’Amalo (il futuro re ostrogoto d’Italia).
Il primo viene insignito della carica di magister militum, a titolo puramente onorifico, nel 436-437, quando fornisce a Flavio Ezio contingenti di Unni per le sue campagne contro i Burgundi e i Visigoti – in questo momento, Attila non è ancora in rapporti ostili con l’impero romano.
Quanto a Teoderico, Zenone lo fa addirittura magister militum praesentalis nel 483 (oltre che console designato e ad assegnarli il “governo” di ben due province, di fatto quasi una concessione territoriale), per cercare di tenerlo a bada, visto che in realtà i due sono da anni, e rimarranno ancora per diverso tempo, in aperta ostilità.
Uno dei veri cambiamenti legati alla figura del magister militum (particolarmente il praesentalis), tuttavia, e in modo particolare per l’Occidente, è l’accrescimento enorme della sua sfera di potere.
Nel corso del V secolo, probabilmente in un qualche momento dopo il 425, in Occidente sembra infine sparire la distinzione tra magister peditum ed equitum, entrambi mutati in magister utriusque militiae, e il magister equitum per Gallias forse è tramutato direttamente in magister militum per Gallias.
Tuttavia, sembra anche mantenersi una distinzione tra un magister militum praesentalis senior e un magister militum praesentalis iunior. Alla prima carica, che sembra aver avuto una netta preminenza sull’altra in termini di comando effettivo e prestigio, è associato anche l’ambito titolo di patricius, e questo causerà ben più di una lotta intestina.
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Patricius (patrikios in greco) è un prestigioso titolo introdotto da Costantino che, almeno per alcune fonti più tarde, ha sì solo un valore onorifico e di prestigio, ma significa di fatto essere direttamente al di sotto solo dell’imperatore in carica.
Già Stilicone è fatto patricius, ed è proprio da Stilicone che si può fare iniziare la sequenza di magistri militum et patricii in lotta per il potere in Occidente.
Nel corso del V secolo, nella pars Occidentis diviene ormai chiaro che a tirare le vere fila del potere è il magister militum et patricius (o magister militum ac patricius), e almeno nella seconda metà del secolo si assiste in modo pressoché costante a violente deposizioni di imperatori da parte di una di queste figure militari, che pongono sul trono un loro candidato alla porpora.
La maggior parte dei magistri militum praesentales sono infatti, in questo periodo, di origine barbarica, e ben difficilmente potrebbero aspirare loro stessi al trono – posizione che, del resto, non è del tutto desiderabile. Basti pensare a Ricimero e al nipote Gundobado, nonché ad Oreste (che nonostante l’origine romana, anche se con padre di ascendenza germanica, non reclama per se stesso il trono occidentale).
Un’altra via seguita dai magistri militum occidentali del V secolo per prendere il potere, specie nella prima metà, se non per loro stessi almeno per i loro figli e discendenti, è cercare il legame matrimoniale con la famiglia imperiale, per assicurare così a un loro consanguineo la porpora (in modo non dissimile, potremmo dire, da quanto fanno negli stessi anni il re dei Vandali Genserico e prima di lui Ataulfo, re dei Visigoti).
Esempi eclatanti di questo modo di fare sono i magistri militum et patricii Stilicone, Flavio Costanzo (noto anche come Costanzo III, che ascenderà per appena qualche mese al trono), Flavio Ezio.
Nei casi di Stilicone ed Ezio, sarà una politica che non avrà poi seguito: le due figlie di Stilicone, Maria e Termanzia, vanno entrambe, in momenti successivi, in sposa a Onorio, ma una muore senza eredi e l’altra di fatto esiliata, mentre il figlio maschio, Eucherio, che Stilicone progettava di far sposare a Galla Placidia, figlia di Teodosio, viene assassinato poco dopo l’uccisione del padre.
Quanto al figlio di Ezio, Gaudenzio, viene promesso in sposa a una figlia di Valentiniano III di nome Placidia, ma l’assassinio dello stesso Ezio e di Valentiniano III mandano all’aria il piano – e Gaudenzio finirà in Africa, prigioniero dei Vandali.
La situazione nell’Oriente degli stessi anni si presenta in modo simile, ma i magistri militum, nonostante l’enorme influenza che a volte avranno sull’imperatore, non riusciranno mai davvero a sovrastarlo e a rendersi un elemento destabilizzante come in Occidente.
Anche in Oriente si assiste a una sequenza abbastanza ricca di magistri militum praesentales di origine barbarica: prima il goto Gainas, che in qualche modo cerca di ricalcare le orme di Stilicone, ucciso dal suo successore Fravitta (già magister militum per Orientem) nel 401. Fravitta, che al contrario non sembra mostrare tali ambizioni, finisce invece condannato a morte nel 403/404, sotto false accuse e avendo perso il favore della corte.
Di diverso tenore, ma dal simile destino, la lunghissima carriera di Aspar, magister militum et patricius (una delle rare occasioni, in questo secolo, che testimonia l’unione dei due titoli alla corte di Costantinopoli) di origine alana, che regge le sorti e la politica imperiale dagli anni ’20 agli anni ’70 del V secolo. Diventa persino uno dei candidati alla porpora, così come il figlio Patrizio, che il padre vorrebbe far sposare alla figlia dell’imperatore Leone – ma il progetto termina nel sangue, nel 471, quando Aspar e Patrizio sono uccisi dal rivale di Aspar e futuro imperatore, l’isauro Zenone, favorito di Leone negli ultimi anni di regno.
Mentre in Occidente i patricii germanici prendono il sopravvento e l’imperium dei Romani contestualmente decade, in Oriente, forse anche grazie all’applicazione della riforma teodosiana e alla stringente separazione del potere militare da quello politico, dopo Aspar non si avrà sostanzialmente più la dinamica di un magister militum di origine barbarica che dirige il potere da dietro le quinte.
Nell’Occidente a dominazione germanica, la figura del magister militum come comandante di eserciti riecheggia, almeno nelle fonti di lingua latina, in cariche dalla simile denominazione, anche se probabilmente con un significato più generico: nel regno visigoto troviamo infatti almeno un magister militiae e un quasi magister militum.
Per quanto riguarda l’impero romano, invece, la storia e l’evoluzione dei magistri militum sono destinate a proseguire per circa altri due secoli.
Tra VI e VII secolo. Nuovi magistri militum, esperimenti e la particolare situazione italiana
Una necessaria premessa, prima di proseguire.
In questi ultimi due capitoli farò riferimento anche ai nomi greci con i quali è conosciuto il rango di magister militum, ovvero strategòs e stratelàtes – entrambi traducibili come “comandante di eserciti” (proprio alla stregua del nome latino) o “generale” -, ma va tenuto a mente che non si tratta di un’innovazione del nuovo periodo.
Tali denominazioni, vista la natura almeno bilingue dell’impero romano, erano senz’altro noti anche nei periodi che abbiamo trattato fino ad adesso.
Per tutto il periodo che va dalla fine del V secolo alla fine del regno di Giustiniano (565), la struttura dell’esercito orientale e dei suoi magistri militum rimane pressoché invariata rispetto a quanto predisposto da Teodosio entro il 395.
Le poche modifiche introdotte, a volte tra l’altro momentanee, si innestano direttamente sul sistema teodosiano.
Sappiamo infatti che almeno per qualche tempo dovrebbe esistere un terzo magister militum praesentalis, attestato per il 536, e che tra il 540 e il 542 si assiste alla coesistenza di due magistri militum per Orientem.
Se questa “moltiplicazione” di cariche già esistenti forse è temporanea, è invece definitiva e di grande importanza la nascita di un nuovo magister militum per Armeniam nel 526, a difesa di un settore che fino a quel momento è stato gestito da duces e comites.
Si assiste inoltre anche a una certa svalutazione del rango di magister militum, in quanto in età giustinianea non mancano infatti i magistri militum vacantes (così come i duces vacantes): persone, per la precisione col rango onorifico di viri illustres, con la carica di magister militum, ma senza nessuna effettiva giurisdizione o al comando al massimo di qualche centinaio di uomini.
A tutte queste figure si aggiungono inoltre i nuovi comandanti delle province occidentali riconquistate, ovvero il magister militum Africae e, anche se attestato con certezza solo nel 589, il magister militum Spaniae.
Curiosamente, non sembra invece mai attestata la figura di un magister militum Italiae, come ci si aspetterebbe dopo la riconquista della penisola.
Sappiamo però della creazione, forse ad hoc da parte di Giustiniano, dell’ufficiale noto come strategòs autokrator – ruolo ricoperto, in particolare proprio durante le varie fasi della guerra in Italia, da Belisario, Germano (che morirà però prima di mettere piede nella penisola) e infine da Narsete.
[Leggi anche L’imperatore che non fu. Germano, cugino di Giustiniano]
Questa particolare tipologia di strategòs/magister militum, che di fatto è un generale con un potere assoluto (anzi, sappiamo che ha da Giustiniano l’autorizzazione scritta ad agire per conto dell’imperatore come gli sembra più opportuno), non trova un suo vero corrispettivo in latino.
Con la riconquista finale dell’Italia, Narsete governa da Ravenna proprio come strategòs autokrator, tuttavia senza avere pienamente su di sé la delega dei poteri civili: sappiamo infatti che è affiancato da un prefetto del pretorio.
Tuttavia, l’idea di riunire di nuovo il potere civile e militare non è peregrina, e proprio in età giustinianea si assiste a nuove e particolari sperimentazioni in tal senso – per esempio, le Lunghe Mura sono amministrate da un praetor Thraciae, che assomma su di sì i poteri di un magister militum praesentalis e quelli di un vicarius.
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Il primo magister militum a cui è concesso di riunire su di sé i poteri civili e militari è il magister militum Africae.
Ben presto, dagli anni ’80 del VI secolo, sotto l’imperatore Maurizio Tiberio, in Occidente sono posti al comando di Italia e Africa due patricii (il titolo è ancora importantissimo, anche se ha perso parte del suo valore), che sono a noi meglio noti come esarchi (sing. esarco o esarca), in latino exarchus e in greco éxarchos.
La carica non è esattamente accostabile a quella di un magister militum, anche se condivide molti dei tratti dello strategòs autokrator e in più ha una maggiore libertà (anche se forse non assoluta, almeno non all’inizio) in termini di poteri civili che può esercitare.
In più, va notato come exarchus sia un termine generico per definire un comandante militare, ed è usato per la prima volta nella corrispondenza di papa Gregorio Magno, in particolare riferendosi al comandante in Africa.
Altrimenti, la carica che noi chiamiamo “esarco” è più usualmente definita come patricius (patricius Italiae, patricius Africae, quest’ultimo ancora magister militum Africae), o a volte, in Italia, come princeps militiae (che forse non casualmente ricorda proprio magister militum).
Inoltre, nelle fonti solo molto raramente, e specie in periodi molto tardi, i territori loro assegnati sono noti come “esarcati” – termine col quale modernamente invece li definiamo noi.
In Italia, poi, nel periodo esarcale, a partire già dalla fine del VI secolo, notiamo anche un altro fenomeno curioso, al quale non sembra di poter trovare un effettivo corrispettivo in altre zone dell’impero (almeno da quanto ho potuto ricercare fino ad adesso), ovvero la proliferazione di magistri militum/strategoi/stratelatai regionali, che si occupano di circoscrizioni molto piccole, specie se comparate a quelle, per esempio, di un magister militum per Orientem, o anche solo di un magister militum Africae o Spaniae.
In buona parte dei casi a noi noti, questi magistri militum sono, come i vacantes di epoca Giustinianea, dei viri illustres.
Lo stato di guerra pressoché permanente in Italia con i Longobardi, che la fa diventare quasi totalmente una zona di confine, avrebbe fatto supporre l’istituzione piuttosto di vari duces (che pure esistono) al comando del patricius con sede a Ravenna.
Tuttavia, forse questa fitta presenza di magistri militum a capo di piccole regioni, ergo di piccoli distaccamenti, potrebbe far supporre sia la già vista svalutazione della carica, sia forse la volontà di dare maggiori poteri a questi, di fatto, comandanti di frontiera – anche se stabilire in cosa il loro compito e i loro poteri differiscano davvero da quello di un dux, purtroppo, è estremamente complicato.
Dai magistri militum ai temi. L’ultima trasformazione
Le trasformazioni e le sperimentazioni alle quali abbiamo assistito tra periodo giustinianeo e la prima parte del VII secolo, in particolare quelle relative all’unione del potere civile e militare, troveranno infine il loro completamento con la seconda metà del VII secolo, dopo lo scossone dell’invasione araba e la drastica necessità di riformare l’apparato militare.
Il sistema tardo antico che ha funzionato fino ad adesso non è più sostenibile per l’impero, specie dopo la perdita della Siria nel 636, e con una spaventosa penuria di uomini che va fatta già risalire all’ultima, titanica e devastante guerra romano-persiana del 602-628.
[Leggi anche Recensione: “The War of the Three Gods”, di Peter Crawford]
A partire probabilmente da Costante II, si cerca di far fronte alla situazione straordinaria di pericolo con l’introduzione di un nuovo sistema militare, che pur innestandosi sul preesistente sistema tardo antico, di fatto, lo stravolge.
È la nascita del sistema tematico, che ho brevemente trattato in un precedente articolo breve.
[Leggi anche I themata. Eserciti e province imperiali nel Medioevo (VII-XI sec.)]
Per sintetizzare: inizialmente sviluppato solo in Anatolia (ci metterà infatti molto tempo a essere applicato a tutto il territorio imperiale), il sistema dei themata prevede l’istituzione di nuovi distretti militari, comandati da uno strategòs (l’ex magister militum), con pieni poteri civili e militari.
Questi distretti prendono il nome proprio dal rispettivo esercito tardo antico di pertinenza – e non è infatti un caso che thema, che solo in seguito andrà a definire una regione militare, in realtà in prima istanza voglia dire proprio “esercito”.
Infatti, tre dei primi quattro temi istituiti indicano proprio questa diretta derivazione dagli eserciti provinciali e dai rispettivi magistri militum:
-il thema Opsikion, da obsequium, ovvero “seguito armato”, e che deriva direttamente, anche nelle funzioni, dall’esercito di almeno uno dei due magistri militum praesentales;
-il thema Anatolikon, letteralmente “dell’Oriente”, che ricalca il poco che rimaneva dell’antica area di giurisdizione del magister militum per Orientem;
-il thema Armeniakon, nello stesso territorio che era stato in precedenza comandato dal magister militum per Armeniam.
Anche se con la seconda metà del VII secolo la figura del magister militum propriamente detto inizia velocemente a sparire, insomma, questa importante carica militare nata dopo un periodo di crisi, il III sec., lascia almeno un’importante impronta nell’apparato militare del quale è stato un elemento chiave per circa trecento anni.
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