La battaglia del fiume Utus (447). La vittoria totale di Attila.

Attila.

Il solo nome evoca subito alla mente le immagini degli Unni che invadono le Gallie, le devastazioni, il confronto finale, quasi leggendario, con Ezio ai Campi Catalaunici.

La storia del Flagello di Dio e i suoi rapporti tutt’altro che amichevoli con i Romani inizia tuttavia da ben prima di tutto questo.

Nel 447, lo scenario descritto sopra rischiò di abbattersi sulla capitale dell’impero romano in Oriente.

In quell’anno, Attila annichilì e rase al suolo nuovamente intere città della pars Orientis, annientò due eserciti romani inviati ad affrontarlo e fu sul punto di saccheggiare Costantinopoli.

Il 447 fu l’anno dei più grandi successi militari di Attila.

439-442: inferno sui Balcani

Gli eventi del 447 furono il risultato di un’escalation iniziata diverso tempo prima, tra 439 e 442.

Nel 439-440, Unni e Romani erano in tregua, e non si era mai accesa una guerra tra le due parti.

Bleda e Attila, i due ambiziosi fratelli re degli Unni, nel 439 chiesero ai Romani tributi e condizioni di pace più pesanti rispetto agli anni precedenti.

Il tributo annuo che i Romani già versavano agli Unni, come gesto per mantenere i buoni rapporti, doveva venire raddoppiato da 350 a 700 libbre d’oro.
Inoltre, i mercati romani dovevano essere aperti anche ai commercianti unni, e il riscatto per liberare ogni eventuale prigioniero romano in mano agli Unni sarebbe passato da quattro a otto solidi.

Teodosio II, l’imperatore romano in Oriente, che forse non considerava gli Unni una minaccia immediata, accettò tutte le condizioni senza discutere.

Aveva troppo interesse a tenere il confine balcanico pacificato.

Era infatti in preparazione una enorme spedizione, congiuntamente con l’imperatore in Occidente, che avrebbe dovuto cancellare la minaccia dei Vandali e riconquistare l’Africa – un obiettivo perseguito senza successo nel V secolo per altri trent’anni, fino alla battaglia di Capo Bon del 468.
Per tale operazione, i Balcani sarebbero stati sguarniti di truppe.
L’imperatore fece finalmente salpare la spedizione contro i Vandali nel 441.

Quello stesso anno, dopo essersi fatti apertamente minacciosi, gli Unni attaccarono l’impero romano con pretesti ridicoli, e devastarono i Balcani e il confine danubiano.

La missione contro i Vandali fu annullata, e i Romani di entrambe le parti dell’impero richiamarono di tutta fretta gli eserciti in patria, per far fronte alla nuova minaccia.
Alcune voci sostengono che potrebbe essere stato lo stesso Genserico a incoraggiare gli Unni ad attaccare i territori imperiali. È tuttavia una voce che ha più l’aria del pettegolezzo.
Non vi è motivo per dubitare che Attila e Bleda avessero pianificato tutto sin dall’inizio, sfruttando il momento in cui Teodosio II avrebbe lasciato i Balcani sguarniti per attaccare e saccheggiare.

L’esercito d’Oriente, richiamato d’urgenza, non sarebbe rientrato in tempo per impedire che si scatenasse l’inferno.

Furono saccheggiate e distrutte numerose città, tra cui Margus e Viminacium.
Particolare impressione fece la distruzione di Naissus nel 442, conquistata (in modo del tutto inedito per delle popolazioni barbariche) con armi da assedio.

Dopo questo atto, considerato che l’esercito romano non era ancora rientrato, Teodosio II cercò la pace con i re unni.

Attila e Bleda imposero a Teodosio II condizioni ancora più pesanti delle precedenti, facendo salire il tributo annuo a 1400 libbre d’oro.
Teodosio II si trovò costretto ad accettare l’umiliante tributo, ma non era che una soluzione temporanea.
Divenne presto ben chiaro che l’imperatore non aveva alcuna intenzione di darla vinta così facilmente agli Unni.

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442-447: preparativi di guerra

Teodosio si sentiva in forze e ben preparato ad affrontare la minaccia degli Unni.

Già dal 443, l’imperatore non inviò più i tributi pattuiti l’anno prima con Attila e Bleda.

Inoltre, il 12 settembre dello stesso 443, Teodosio II emanò una legge per fortificare e rinforzare nuovamente il limes danubano. La legge così enuncia: “[…] che ogni dux [comandante di limitanei ] […] riporti il numero dei suoi soldati ai livelli precedenti […] e si occupi del loro addestramento quotidiano. Affidiamo dunque a tali duces la cura e la riparazione degli accampamenti fortificati e delle imbarcazioni di pattuglia sui fiumi.”

Infine, i ranghi dell’esercito furono consolidati con il reclutamento di un gran numero di Isauri.

I Romani erano ormai preparati ad affrontare gli Unni, se si fossero ripresentati oltre il Danubio.
Teodosio II dovette sentirsi fiducioso e in una posizione di forza.

La spedizione degli Unni del 443: un falso storico.
Ancora oggi si pensa che, tra le devastazioni del 441-442 e la campagna del 447, gli Unni abbiano operato un’ulteriore devastazione nel 443. Tuttavia, questa radicata convinzione (già smontata sin dagli anni ’40 dallo storico Otto J. Maenchen-Helfen) è dovuta a un’errata lettura delle fonti, molto scarne e spesso confusionarie. In particolare quella di Teofane Confessore, che scrisse una cronaca nell’VIII sec. Lo storico antico accorpa nello stesso anno (449-50) tutto ciò che riguarda gli Unni, anche se sta trattando di eventi che hanno tutti luogo negli anni ’40 del V secolo. Alla luce delle fonti disponibili, diventa quindi estremamente chiaro che tra 442 e 447 non vi furono altre spedizioni militari degli Unni in territorio imperiale.

Nello stesso periodo in cui Teodosio II rafforzava l’esercito e i confini, gli Unni avevano ben altri problemi ai quali pensare.

Attila aveva assassinato il fratello Bleda, divenendo l’unico sovrano degli Unni. Non conosciamo la data dell’evento, ma non è improbabile che sia avvenuto proprio nel 443.

Essendo Attila probabilmente troppo impegnato a consolidare il suo potere per pensare a una nuova campagna militare, probabilmente fu proprio in questo momento che Teodosio decise di non pagare più il tributo, e di rafforzarsi in previsione di un attacco.

Cosa che, finalmente, avvenne nel 447.

Attila inviò delegati a Costantinopoli, lamentandosi del mancato pagamento del tributo ed esigendo il pagamento degli arretrati, pari a 6000 libbre d’oro.

I Romani risposero che erano pronti a parlare, ma null’altro.

Era la guerra.

Attila probabilmente decise di muoversi anche venendo a sapere del disastro che aveva colpito Costantinopoli all’inizio dell’anno.

La città più inespugnabile del mondo, infatti, era ora una facile preda.

La battaglia del fiume Utus

Il 27 gennaio, alle due del mattino, un tremendo terremoto si era abbattuto su Costantinopoli.

Tutto il distretto nei pressi del Corno d’Oro era un cumulo di macerie, ma ancora più importante, le inespugnabili mura terrestri erano parzialmente crollate.

Un’occasione troppo ghiotta per Attila. Il re degli Unni stava probabilmente già per lanciare la sua campagna, ma è probabile che la notizia del crollo delle mura di Costantinopoli abbia influito sul percorso che avrebbe intrapreso.

L’attacco di Attila del 447 mostrò come la sensazione di forza e preparazione di Teodosio II fossero state una mera illusione.

I preparativi e gli ordini ai duces confinari non servirono a nulla contro l’esercito di Attila. Le fortificazioni del limes non ressero al suo passaggio, e anche la grande fortezza di Ratiaria crollò in poco tempo.

Attila proseguì a nord del massiccio dell’Emo, lungo il corso del Danubio, raggiungendo il fiume Utus (l’attuale Vid). Lì, finalmente trovò un esercito romano ad attenderlo.

Arnegisclo, magister militum per Thracias, forse di origine gota, aveva radunato tutte le forze disponibili sul territorio e si era mosso da Marcianopoli per affrontare l’invasione.

Di questa battaglia sappiamo pochissimo, o per la precisione quasi nulla.

Dell’esercito di Attila non sappiamo davvero niente. Possiamo supporre che sia stato un esercito composito, radunato tra i popoli soggetti al Flagello di Dio (Unni, Sciri, Eruli, Ostrogoti, Gepidi, etc.). Tuttavia, stimare l’entità delle sue forze è veramente impossibile.

Questo anche a causa del fatto che per l’unica altra grande battaglia descritta nelle fonti che ha visto Attila protagonista, quella dei Campi Catalaunici, le fonti descrivono cifre esagerate, o molto generiche. Purtroppo generico è anche l’accenno di Prisco, la nostra fonte principale sugli Unni del V sec., che più tardi riferirà che l’esercito di Attila si contava in decine di migliaia di uomini.
Una stima cauta, basata sulle ipotesi di alcuni storici relativamente all’esercito unno ai Campi Catalaunici, è di una forza di 30.000-40.000 uomini.

Possiamo invece farci almeno un’idea approssimativa della grandezza dell’esercito di Arnegisclo.
Stando alla Notitia Dignitatum, sul piano teorico il magister militum per Thracias aveva sotto il suo comando 21 legiones palatinae, ognuna a livello altrettanto teorico composta da 1000-1500 uomini.
Se diamo per buono che Arnegisclo abbia radunato tutte le forze a sua disposizione (escludendo i limitanei, che spesso venivano accorpati agli eserciti campali), avremmo un totale teorico che varia tra i 21.000-31.500 uomini.

Come erano armati gli eserciti romani di questo periodo? Leggi anche Il legionario tardo antico (IV-V sec.). Un’introduzione all’armamento. per saperne di più.

Questi numeri teorici non ci aiutano purtroppo a saperne di più sullo svolgimento dello scontro, ma danno un’idea molto precisa del disastro al quale i Romani andarono incontro.

L’esercito di Arnegisclo combatté molto coraggiosamente, ma venne completamente annientato.

In modo molto scarno, così riporta l’episodio il Comes Marcellino:
“Il magister militiae Arnegisclo in Dacia Ripense, presso il fiume Utus, combattendo coraggiosamente e uccidendo moltissimi nemici, è ucciso da re Attila.”

Una frase che lascia spazio alle interpretazioni. Il Comes Marcellino sembra lasciare intendere che la battaglia, per quanto risoltasi in una disfatta per i Romani, sia stata molto difficile e sanguinosa anche per l’esercito di Attila.

Eppure, se anche subì davvero perdite ingenti, il re degli Unni non si fermò all’Utus. Dopo il trionfo su Arnegisclo, Attila proseguì nel suo cammino in Tracia, alla volta di Costantinopoli.

La vittoria gli apriva la strada a un’immensa preda.

Ma era già troppo tardi.

Ben prima che Attila potesse raggiungere Costantinopoli, le mura erano state completamente ricostruite.
Il prefetto Costantino, con l’aiuto congiunto delle fazioni dell’ippodromo degli Azzurri e dei Verdi (solitamente in conflitto tra loro), era stato in grado di far ricostruire le mura crollate già per il mese di marzo.

Costantinopoli era salva.

La campagna di Attila contro l’impero romano non era però ancora finita.

Un altro esercito era pronto ad affrontarlo, e la Tracia offriva ancora un immenso bottino da depredare.

La battaglia di Sestus e la devastazione della Tracia

Attila a quel punto proseguì verso sud, in direzione della penisola del Chersoneso.

Le fonti non sono chiare a riguardo, ma molti storici concordano che vi fu una seconda battaglia campale tra Attila e i Romani.

Ad affrontare il re degli Unni, almeno uno dei due eserciti praesentalis (i.e., in presenza dell’imperatore) dell’imperatore in Oriente. Si trattava di eserciti di élite, in quell’anno probabilmente comandati dal celebre Aspar e da Areobindo.

Entrambi gli eserciti praesentalis potevano ammontare a un totale teorico di 24.000-36.000 soldati. Considerati i tempi ristretti e il fatto che gli eserciti romani stazionavano rispettivamente sulle opposte sponde del Bosforo, è assai probabile che uno solo dei due corpi si scontrò con Attila.

Lo scontro si svolse presso Sestus, nella penisola del Chersoneso.

Attila, pur forse in inferiorità numerica dopo la battaglia dell’Utus e combattendo contro truppe preparate, sbaragliò anche il secondo esercito romano.

La vittoria del re degli Unni era totale. La Tracia, messa a ferro e fuoco, era ai suoi piedi.

L’esercito degli Unni si spezzò in tre tronconi, uno dei quali arrivò a saccheggiare la Grecia fino alle Termopili.

Ci dà un’idea della devastazione perpetrata dagli Unni un eloquente passo di un santo quasi contemporaneo agli eventi, Sant’Ipazio: “Il popolo barbarico degli Unni […] divenne così forte da catturare più di cento città, quasi mettendo Costantinopoli in pericolo […] Devastarono così tanto la Tracia che non sorgerà mai più a essere ciò che era prima.”

Se alcuni dettagli sono esagerati (un centinaio di città è eccessivo), è però vero che moltissimi insediamenti della Tracia dovettero attendere quasi cento anni e le ricostruzioni di Giustiniano per risorgere o per essere rifondati.

Quasi nessuna città della Tracia aveva attraversato indenne la tempesta portata da Attila – si sarebbero salvate solo Adrianopoli e pochissime altre città.
Persino l’archeologia testimonia bene il passaggio del Flagello di Dio: moltissimi insediamenti presentano massicci strati di distruzione violenta negli strati datati agli anni ’40 del V secolo.

La campagna di Attila aveva totalmente cambiato il rapporto di forze esistente tra il re degli Unni e l’imperatore in Oriente.

La guerra era iniziata con Teodosio II sicuro della sua potenza, di poter respingere qualsiasi attacco unno, e trattando Attila come un qualsiasi re barbarico di rango inferiore.

Il rapporto di forze era ora completamente rovesciato.

Era Attila, ora, a poter porre ogni condizione che avesse voluto all’imperatore romano.

La vittoria di Attila era totale.

La campagna di Attila del 447.

Condizioni di pace: un’arma a doppio taglio

Con la Tracia ridotta a un cumulo di cenere e due eserciti campali distrutti, Teodosio II si trovò costretto a chiedere la pace.

Le condizioni imposte da Attila furono durissime.

Le 6000 libbre d’oro di arretrato sarebbero dovute essere pagate in toto, mentre il tributo annuale regolare sarebbe salito fino a 2100 libbre d’oro. Il prezzo per riscattare i prigionieri romani saliva ancora, da otto a dodici solidi.

Per riuscire a far fronte all’enorme spesa, anche i membri del Senato dovettero contribuire, versando una somma fissata in base al loro rango, e i privilegi fiscali furono annullati.

Attila impose inoltre che venisse evacuata un’enorme area a sud del Danubio, tanto ampia da nord a sud che ci volevano cinque giorni di viaggio per percorrerla.

Una terra di nessuno, che il re degli Unni voleva come vero e proprio territorio cuscinetto.

Attila imponeva di fatto il suo dominio e la sua supremazia su Teodosio II. Tanto che, nel 449, quando si venne a sapere che qualcuno ancora coltivava nella terra di nessuno, l’imperatore si affrettò a inviare ossequiosi ambasciatori ad Attila.

Nessuno voleva dare al Flagello di Dio un nuovo pretesto per attaccare.

Tuttavia, tale pretesto giunse a breve.

Nel luglio del 450, alla morte di Teodosio II, salì al trono imperiale in Oriente Marciano.

Il primo atto del governo di Marciano fu smettere di pagare il tributo annuale ad Attila (nonché mettere a morte il ministro che aveva accettato tale condizione).
Sarebbe stato il pretesto perfetto per devastare di nuovo la Tracia. Tuttavia, Attila non tornò a sud del Danubio.

Le condizioni di Attila si erano rivelate un’arma a doppio taglio.

La Tracia e i Balcani erano devastati in un modo tale che ci sarebbero voluti quasi cent’anni per risorgere, e non allo stesso livello che aveva Attila trovato al suo passaggio.
La terra di nessuno da lui stesso imposta, larga decine di chilometri, non aveva più nulla da offrire a nessuno.
Costantinopoli sarebbe stata impossibile da prendere con un assalto.

Con la campagna del 447, pur ottenendo la vittoria totale sui Romani, Attila aveva in definitiva perso ogni leva per imporre il suo volere sull’imperatore in Oriente – fatto salvo, finché Teodosio II fu vivo, il terrore nei suoi confronti.

L’impero e il regno di Attila si reggevano sul terrore e sul bottino. Al re degli Unni non rimase altra scelta che destinare altrove le sue rapaci attenzioni. Nel 451 attaccò la Gallia, e nel 452 invase l’Italia.

cascarino

Bibliografia essenziale

Fonti primarie

Chronicon Paschale

Comes Marcellino

Teofane Confessore

Studi moderni

G. Cascarino 2009, L’esercito romano. Armamento e organizzazione. Vol. III

P. Heather 2008, La caduta dell’impero romano. Una nuova Storia.

M. Rouche 2010, Attila


5 thoughts on “La battaglia del fiume Utus (447). La vittoria totale di Attila.

  1. Un articolo molto completo sulla rivalità tra Attila e Costantinopoli e su tutte le battaglie che ci sono state e perché sono avvenute. Attila sembrava veramente inarrestabile ed è normale che il suo nome facesse tremare l’impero. C’è anche da dire che ormai l’impero romano non riusciva più a gestire al meglio i propri territori e che le guerre con altre popolazioni abbiano avuto un certo effetto.

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    1. Grazie!
      Il V secolo è effettivamente un’epoca di profonda crisi, ma i Romani continuano ad avere grande consapevolezza (o a farsi illusioni, a secondo dei punti di vista) della loro forza: i preparativi e le decisioni di Teodosio II prima del 447 penso ne siano l’esempio più eclatante.
      In effetti, batoste e devastazioni come quelle causate da Attila, l’impero ne ebbe ben poche. Fu davvero un nemico terribile.

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      1. Io penso che in realtà l’impero romano avesse ancora una certa forza, ma si era circondata di troppi problemi sia esterni che interni a cui non sono riusciti a trovare una soluzione. Basti pensare all’instabilità politica del secolo precedente.

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  2. Il più grande condottiero mai esistito sulla terra.bhe pochi sanno che parte del suo popolo aveva distrutto la Persia,india del nord,il medio oriente e l’Egitto.nessuno come Attila! L’unico uomo che è riuscito a conquistare il mondo intero.

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