Recensione: “Il miglior nemico di Roma”, di Marco Cappelli

Titolo: “Il miglior nemico di Roma. Storia dei Goti: rivali e alleati dell’Impero.”

Autore: Marco Cappelli

Anno pubblicazione: 2022

Editore: Solferino

Era dalla lettura di Per un pugno di barbari (di cui trovate la mia recensione cliccando qui), ormai due anni fa, che attendevo con molta curiosità un secondo titolo da parte di Marco Cappelli – divulgatore che non ha bisogno di troppe presentazioni, grazie al meritato successo del suo podcast Storia d’Italia.

E in qualche modo, ero arrivato vicino a intuire l’argomento del nuovo titolo.

A settembre 2022 infatti, durante un evento presso il Museo archeologico di Classe, partecipammo insieme a un intervento di conferenza (al quale fu lui stesso a invitarmi a intervenire, cosa di cui lo ringrazio), e si parlò di Goti – nello specifico, di Ostrogoti.

Lì ebbi il sospetto che il suo prossimo lavoro sarebbe stato proprio sui Goti…ma, quando a novembre 2022 il libro è uscito, e quando finalmente a febbraio 2023 l’ho avuto tra le mani, non potevo immaginare né che “Il miglior nemico di Roma” avrebbe parlato di quelli che noi chiamiamo “Visigoti”, né soprattutto che si sarebbe rivelato una lettura così appassionante.

Perché il nuovo libro di Marco Cappelli è questo: una lettura appassionante e affascinante, un’epopea storica che è indissolubilmente legata al mondo romano e narrata in un modo tale che è impossibile staccarsi dalle sue pagine – l’ultimo terzo del volume, che nel complesso conta circa 470 pagine (note e bibliografia inclusi), l’ho letto praticamente in un solo giorno.

Di cosa parla, dunque, “Il miglior nemico di Roma“? E perché vale assolutamente la pena leggerlo (e, come sospetto farò, rileggerlo)?

Partiamo dagli argomenti e dalla struttura del volume.

La vicenda centrale raccontata nel libro è quella dell’epopea dei “più romani tra i barbari”, quelli che noi oggi conosciamo come Visigoti – ma che, come scoprirete leggendo il libro, hanno (come sempre!) una Storia molto più complicata e che parte, volendo semplificare in questa recensione, da quei Tervingi che si presentano, nel 376, al confine danubiano dell’impero romano per chiedere asilo.

La Storia però, parte da ben più lontano. La prima parte del libro infatti, “La civiltà dei Goti”, è forse una delle più affascinanti di tutto il libro (poiché le altre, lo vedremo, sono invece appassionanti quanto un romanzo).

Con la dovuta cautela, ma senza far mai mancare la sua voce o le sue personali conclusioni, Marco Cappelli traccia in modo eccellente l’evoluzione della civiltà dei Goti: dalle origini fino allo stanziamento nei territori delle moderne Ucraina, Romani e Moldavia (e spiegando alla perfezione l’identità di Tervingi, Greutungi e altri protagonisti storici di questo peculiare contesto storico), il passaggio dal paganesimo al cristianesimo e la straordinaria opera di Wulfila, il rapporto sia amichevole che conflittuale con l’impero romano nel corso del III e IV secolo, la promettente nascita di una civiltà e di una realtà proto-statale proprio ai confini danubiani dell’impero.

Un impero romano con il quale il legame era già davvero molto profondo e radicato, come scoprirete leggendo il libro. I Goti del periodo antecedente al 376 guardano davvero a Roma come a un modello, anche quando sono avversari.

Questa parte del libro, tolta la profondità, cura e chiarezza espositiva con cui l’autore affronta un argomento così complesso, l’ho apprezzata molto specie per via delle parole che vengono spese nel sintetizzare i fenomeni di etnogenesi, e di cosa quest’ultima significhi.
Nelle parole dell’autore: “L’etnogenesi è il modo in cui su fabbricano, si modificano, si fondono le identità etniche: questo può avvenire in moltissimi modi. […] L’identità etnica si può creare, modificare, estendere: è un abito che è possibile cucire su misura.”

Ero innamorato del libro già a questo punto, e siamo solo a pagina 28!

L’arrivo degli Unni e della Hunnensturm (la “tempesta unna”) nel 375, che costringe gran parte dei “Goti” (il virgolettato è necessario, e leggendo il libro capirete perfettamente il perché) a spostarsi verso sud, verso le frontiere dell’impero romano, ci getta all’improvviso, dal grande sguardo “a volo d’uccello” che stavamo avendo sulla civiltà dei Goti, negli eventi della “grande Storia” e ai suoi protagonisti – ovvero, alla seconda parte del libro, chiamata molto indicativamente “I barbari di Roma”.

Particolarmente da questo punto in poi del volume, chi ha amato, come il sottoscritto, “La caduta dell’impero romano” di Peter Heather non potrà fare a meno di amare anche “Il miglior nemico di Roma“.

Anche se rischierò di sintetizzare brutalmente, la seconda parte è la narrazione dettagliata della guerra gotica del 376-382: dall’attraversamento del Danubio e le angherie dei Romani a Marcianopoli, dalla battaglia dei Salici ad Adrianopoli, dall’ascesa di Teodosio (di cui nel libro viene fatto un ritratto con il quale mi ritrovo perfettamente) all’accordo che porterà i Goti a insediarsi all’interno dell’impero.

Leggendo, emerge chiaramente una questione della quale voglio parlare in futuro, poiché la stavo studiando proprio negli stessi giorni per la creazione di nuovi contenuti: la disfatta del 378 ad Adrianopoli segna molto meno lo spartiacque tra un prima e un dopo di quanto di solito ci raccontiamo.

Certo, è stato un evento traumatico. Ma i Romani si riorganizzano ben presto e riescono spesso a mettere in difficoltà e a vincere i Goti, oltre che a iniziare a usarli nei loro eserciti, anche già prima del 382. E a questa data, i Goti non sono ancora un’entità indipendente – anzi, l’autore ci ricorda bene come i Visigoti stabiliranno in definitiva un loro regno indipendente vero e proprio quasi un secolo dopo, nel 475.

Fino ad allora, ciò che emerge è che saranno sempre una parte, anche se non del tutto “integrante” (ci torniamo alla fine), del sistema militare e soprattutto politico romano – sia quando si cerca l’integrazione, che fino al sacco di Roma sarà ancora possibile e immaginabile, seppur con margini sempre più risicati, sia quando la si rifiuterà categoricamente.

La terza parte del libro, “Il sacco di Roma”, è dedicata proprio a questa delicata fase e, anche qui semplificando all’osso, alla vita del più famoso (seppur non sempre il più di successo) condottiero dei Goti: Alarico.
Questa parte del libro credo sia stata una delle più complesse da scrivere, non tanto per la mancanza di fonti (che certo, non sempre sono ricche) o di studi, quanto perché il gioco politico e spesso, allo stesso tempo, militare descritto qui è davvero complicato da mettere in una prosa chiara, comprensibile e senza far sprofondare il lettore nella confusione.

E Marco Cappelli ce l’ha fatta perfettamente.

In questa parte del libro emerge davvero come Goti e Romani siano sempre legati a doppio filo, intrecciati appunto in giochi e valzer politici che mostrano chiaramente come Alarico (e gli altri contingenti goti) sia legato all’impero, senza esserne davvero un corpo così estraneo, e come i Goti inizino davvero a capire di poter entrare a pieno titolo nelle “stanze dei bottoni” del potere imperiale.

Questa parte è la più lunga del libro, ed è seguita dalla quarta e ultima sezione, chiamata non casualmente “La terra promessa”: qui seguiamo le vicende – ingiustamente meno note – di Ataulfo, successore di Alarico, e dell’instaurazione dell’enclave di Goti in Aquitania, quella che darà infine origine al regno visigoto. Qui incontriamo personaggi veramente di rilievo per la Storia di Roma ma che spesso sono, come Ataulfo, ingiustamente inghiottiti da eventi e personaggi ben più noti – uno tra tutti, Flavio Costanzo.

La narrazione “completa” dell’epopea dei Goti si chiude con le vicende di Ataulfo, ma Marco Cappelli non ci abbandona qui. Infatti si spende anche nel raccontarci, seppure in sintesi, la storia dei re goti che succedono proprio ad Ataulfo, fino ad arrivare alla fine del VI secolo.

L’autore chiude il libro con diverse delle sue personali conclusioni, cercando di trarre le dovute conclusioni storiche e i possibili insegnamenti, centrati soprattutto sulle opportunità e allo stesso tempo sui pericoli dell’integrazione – un’integrazione che, come Marco Cappelli spiega benissimo, fu a lungo possibile, e avrebbe permesso ai Goti di diventare parte integrante della romanità; ma che, alla fine, non fu possibile raggiungere, perché gli ingranaggi di quel meccanismo che aveva fatto (e che continuerà) a fare la fortuna dell’impero romano, si bloccarono in modo tragicamente imprevisto.

Che altro dire di questo libro?

Per chi ha letto “Per un pugno di barbari“, non sarà una sorpresa trovare rimandi alla “cultura pop” che certamente aiutano il lettore nel comprendere al meglio ciò che sta venendo raccontato, rendendo la narrazione di temi ed eventi molto scorrevole e godibile. Rispetto al libro precedente, ho trovato questi riferimenti inseriti senz’altro meglio, e in modo meno distraente: qui sono stati integrati in modo veramente egregio nel testo.

Altra nota assolutamente meritoria è la folta presenza di citazioni prese direttamente dalle fonti antiche, che aiutano moltissimo nell’immersione e nel dare il senso di quello che lo storico e il divulgatore si trovano di fronte per i loro studi.

Infine, vera ciliegina sulla torta: le mappe. Le due che avete visto leggendo sono solo due delle dodici mappe (più un gustoso schema con l’alfabeto dei Goti), belle ed evocative, che troverete nel libro.

Il miglior nemico di Roma” è un grande titolo, che non può sicuramente mancare nella vostra libreria. Non posso che attendere, con ansia e impazienza, il futuro libro di Marco Cappelli.

Nel frattempo, credo proprio che rileggerò la sua meravigliosa, e appassionante, Storia dei Goti.

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