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La seconda guerra punica, o guerra annibalica, è forse il conflitto più noto dell’intera Storia romana, nonché uno dei più appassionanti.
Tuttavia, l’attenzione di questo conflitto è, nella comune narrazione, centrata quasi unicamente sull’Italia e sulle quattro principali vittorie di Annibale (Ticino, Trebbia, Trasimeno, Canne); questo almeno fino all’entrata in scena di Publio Cornelio Scipione, poi detto l’Africano.
Tralasciando che anche le vicende sul suolo italico si svolsero naturalmente molto al di là delle quattro famose battaglie, si tende a dimenticare che contemporaneamente la guerra infuria anche nei territori dell’odierna Spagna.
In questo teatro, la guerra è il perfetto contraltare del conflitto in Italia. Laddove Annibale continua a collezionare vittorie su vittorie, in Iberia sono i Romani a essere continuamente vittoriosi, infliggendo ai Cartaginesi una sconfitta dopo l’altra.
Visto ciò che rappresenta l’Iberia per Cartagine, se i Romani avessero avuto difficoltà anche in terra spagnola sarebbe potuto cambiare l’intero corso della guerra.
I preparativi di Annibale per la difesa dell’Iberia
Nel 218 a.C., Annibale Barca è pronto a portare la guerra contro i Romani in Italia.
L’anno precedente, come è noto, il condottiero cartaginese ha conquistato e saccheggiato la città di Sagunto. Oltre a costituire un perfetto pretesto per scatenare il conflitto con la Repubblica – la città era alleata di Roma –, la presa di Sagunto apporta anche alcuni vantaggi collaterali, che Annibale ha probabilmente ben calcolato (così, almeno, si intuisce dalle parole di Polibio, una delle nostre fonti principali).
Non solo il ricchissimo bottino che il saccheggio della città ha fruttato, distribuito in gran parte alle truppe cartaginesi, ha permesso ad Annibale di rinforzare il vincolo di queste ultime nei suoi confronti, ma ha anche eliminato la più papabile base delle operazioni dei Romani a sud dell’Ebro (linea di confine dell’espansione cartaginese, come stabilito da un precedente trattato) per la futura guerra che sta per iniziare.
Tuttavia, Annibale probabilmente ha già immaginato che i Romani avrebbero comunque portato la guerra nella penisola iberica. Prima di partire per la campagna italica, il condottiero punico prende le dovute precauzioni per lasciare ben difese sia l’Africa che l’Iberia.
Il fatto che il fronte iberico della seconda guerra punica sia, nelle consuete narrazioni moderne degli eventi bellici, spesso trascurato, è dovuto anche al fatto che non viene mai abbastanza chiarita la fondamentale importanza strategica dell’Iberia in questo periodo.
Per Cartagine, ma particolarmente per i Barca, la penisola iberica rappresenta non solo un immenso bacino di reclutamento di truppe, reclutate tra popolazioni sottomesse e alleate, ma anche e soprattutto una immensa fonte di ricchezza, generata dalle miniere argentifere dell’attuale Sierra Morena. Grazie a questa ricchezza – la quale in parte serve a pagare ai Romani l’indennità della precedente guerra, in parte viene inviata come tributo a Cartagine, e in ultimo luogo serve a pagare il grande esercito barcide –, l’influenza dei Barca a Cartagine era diventata enorme.
Si può ben dire che l’Iberia cartaginese, con capitale la Qart-Hadasht/Carthago Nova di nuova fondazione punica, sia divenuta un dominio quasi autonomo sotto il controllo della famiglia Barca.

Per la difesa dei due territori, Annibale decide di inviare contingenti punici dall’Africa in Iberia, e contingenti iberici in Africa e a Cartagine – “obbligando le due province, con queste misure, a reciproca lealtà”, commenta Polibio.
Dopo aver mandato e fatto distribuire in Africa, per difenderla da possibili attacchi dalla Sicilia, una forza di Iberici di quasi 16.000 uomini, Annibale fa venire a difesa dell’Iberia barcide un poderoso contingente, composto sia da truppe africane che iberiche e mercenarie, così descritto da Polibio: “[…] come cavalleria, Libofenici e Libici nel numero di quattrocentocinquanta, trecento Ilergeti [una popolazione iberica] e ottocento Numidi […], e come fanteria undicimilaottocentocinquanta Libici, trecento Liguri, e cinquecento Balearici [i celebri frombolieri], così come ventuno elefanti.”
A parte questo considerevole esercito di poco più di 14.000 uomini, che si va ad aggiungere alle forze già presenti sul suolo iberico e a quelle che vi lascia prelevandole dal suo stesso esercito, Annibale si premura di lasciare a difesa dell’Iberia anche un buon numero di navi da guerra. Non è improbabile, infatti, che i Romani tentino di prevalere con lo stesso mezzo che aveva consentito loro di vincere la prima guerra punica, ovvero la flotta.
La flotta che Annibale lascia a difesa delle coste iberiche è consistente, anche se non poteva certo rivaleggiare con quella romana del periodo: cinquanta quinqueremi, due tetraremi e cinque triremi, delle quali però solamente le triremi e trentacinque delle quinqueremi erano pienamente operative e dotate di sufficiente equipaggio.
Il comando delle difese dell’Iberia barcide viene lasciato da Annibale nelle mani del fratello Asdrubale, personaggio energico e buon comandante militare.
I preparativi romani e l’invio di Gneo Scipione in Spagna
Già da prima della caduta di Sagunto, i Romani si stanno preparando all’ormai inevitabile conflitto.
Tuttavia, i loro preparativi sono influenzati dall’opinione diffusa – sulla quale concordano tutte le fonti – che la guerra si sarebbe svolta sicuramente in Spagna e in Africa, mentre il pensiero che Annibale potrebbe portare la guerra in Italia nemmeno sfiora i Romani.
Come sintetizza Polibio: “[I Romani] Non pensarono mai, tuttavia, che la guerra si sarebbe svolta in Italia, ma supponevano che avrebbero combattuto in Iberia, con Sagunto come base.”
Nemmeno quando Sagunto viene conquistata, i Romani danno segno di immaginare le reali intenzioni del condottiero cartaginese.
L’esercito romano viene intanto diviso più o meno equamente tra i due consoli per il 218 a.C., Publio Cornelio Scipione, padre del futuro Africano, e Tiberio Sempronio Longo. Al comando di ciascuno dei consoli vengono poste due legioni romane (in questo periodo, ogni legione è grossomodo equivalente a 5000 fanti e 300 cavalieri) e contingenti poderosi di socii italici (14.000 fanti e 1600 cavalieri a Tiberio Sempronio, 10.000 fanti e 1000 cavalieri a Scipione) mentre la maggior parte della flotta – ben centosessanta quinqueremi, a fronte delle sessanta navi di Scipione – viene assegnata a Tiberio Sempronio.
Mentre Sempronio viene mandato in Sicilia per iniziare le operazioni contro i Cartaginesi in Africa, Scipione, che è stato assegnato a combattere i Cartaginesi in Spagna, veleggia verso la foce del Rodano, lungo il corso del quale conta di intercettare Annibale (pur non credendo ancora che porterà la guerra in Italia, ha avuto notizia che il condottiero punico ha già passato i Pirenei).
Come ben noto, Annibale è in grado attraversare il Rodano, di aggirare Scipione e di seminarlo, potendo proseguire la sua marcia verso le Alpi e lasciando il nemico romano, beffato, alle spalle, con un vantaggio di tre giorni di cammino.
Publio Cornelio Scipione, finalmente comprendendo il piano di Annibale, si affretta a reimbarcarsi per rientrare in Italia e combattere Annibale nella pianura padana con le forze là presenti – a tal scopo venne richiamato anche Sempronio dalla Sicilia.
Publio Scipione, che salpa per l’Italia con pochissime delle forze che erano state a lui assegnate (le fonti purtroppo non ci dicono quante), delega quindi il fratello Gneo Scipione, suo legato, perché mandi avanti il piano originario di portare la guerra ai Cartaginesi in Iberia.
Così, mentre in Italia stanno per svolgersi le famose battaglie del Ticino e del Trebbia, Gneo Cornelio Scipione salpa dalla foce del Rodano e si dirige verso la penisola iberica.
I primi successi di Gneo Scipione e la battaglia di Cissa
Lo storico Appiano, riguardo al primo periodo di guerra in Iberia, afferma caustico che “Gneo non fece nulla degno di menzione in Spagna, prima che suo fratello vi tornasse [sic]”, ma le altre fonti raccontano una storia del tutto diversa.
Gneo Scipione, infatti, ha un incarico ben più difficile e delicato di quanto le parole di Appiano lascino intendere. Infrangendo il trattato dell’Ebro e avanzando verso la Gallia, Annibale ha occupato e fatto passare dalla sua parte tutta la fascia costiera tra il fiume e i Pirenei, prima occupata da alleati di Roma, quindi di fatto tagliando fuori i Romani da ogni loro possibile base di appoggio, e ne aveva ha la difesa ad Annone. Il compito di Gneo Scipione è quello di ricreare questa base di appoggio, e da lì muovere guerra ai Cartaginesi.
Il legato dal Rodano si dirige a Emporion (in latino Emporiae), colonia greca schieratasi con i Romani, e da questa base inizia le operazioni.
Per prima cosa, con una serie di sbarchi si assicura tutta la costa e i punti di sbarco da Emporion all’Ebro. Mentre gli insediamenti che oppongono resistenza sono tutti presi con la forza, alle città che si sottomettono spontaneamente viene assicurata protezione.
Dopo aver conquistato la costa, Gneo Scipione muove finalmente verso l’interno del territorio, avendo potuto aggiungere al suo esercito un numeroso contingente di Iberici alleati. Le fonti tacciono sui numeri di questi alleati, ma sappiamo che in gran parte passano dalla parte di Scipione, almeno stando a quanto riporta Livio, poiché si è creato un’ottima fama con la sua clemenza verso chi non si oppone ai Romani.
Nell’entroterra, Gneo Scipione va avanti con l’opera di conquista e sottomissione degli insediamenti iberici, esattamente come aveva fatto per la fascia costiera.
Fino a quel momento, i Cartaginesi rimangono stranamente fermi, e le fonti non ci illuminano sul perché Annone si muova così tardivamente per contrastare i Romani. È assai probabile che Annone sia restio a muoversi perché in forte inferiorità numerica; sappiamo infatti che Annibale, traendoli direttamente dal suo esercito, gli ha lasciato il comando di diecimila fanti e mille cavalieri, che sono probabilmente meno della metà degli uomini di Gneo Scipione. È possibile, dunque, che Annone in un primo tempo abbia optato per un atteggiamento attendista, forse aspettando i rinforzi di Asdrubale, ancora a sud dell’Ebro.
Quali che siano i motivi, Annone alla fine si decide a muovere le sue truppe, “prima che ogni cosa gli fosse sottratta”, come scrive Livio. Il comandante punico va direttamente incontro a Gneo Scipione – non sappiamo partendo da quale base – si accampa di fronte al legato, in un luogo chiamato Cissa, la cui precisa locazione non è nota (gli storici propendono per l’identificazione con l’odierna Tarragona o con una qualche località a essa vicina).
Gneo Scipione coglie l’occasione per combattere un avversario solo, invece che le forze unite di Annone e Asdrubale, e accetta battaglia. Secondo Livio, non ‘fu è uno scontro particolarmente difficoltoso per i Romani (come è del resto facile da immaginare, vista la grande disparità di forze in campo). I Cartaginesi, al contrario lasciano sul campo 6000 caduti e 2000 prigionieri, tra questi ultimi Annone, parecchi ufficiali punici e Andobale – o Indibile, per alcune fonti –, il principale leader iberico della Spagna centrale e alleato dei Cartaginesi.
I Romani danno anche l’assalto al vicino insediamento di Scissis; se il saccheggio di quest’ultimo non frutta nulla, quello dell’accampamento nemico al contrario è di ben altro tenore, tanto che “arricchì i soldati”, secondo Livio.
Il contrattacco di Asdrubale
Non è chiaro dalle fonti se Asdrubale venga a sapere del disastro di Annone prima di decidere di passare l’Ebro o dopo, poiché su questo Polibio e Livio sono discordanti. Secondo il primo, Asdrubale ha notizia della disfatta e passa il fiume con il suo esercito, mentre a detta del secondo sarebbe stato già in marcia per scontrarsi con i Romani quando, saputo della sconfitta a Cissa, decide di deviare verso la costa.

A prescindere da quale fonte abbia ragione, Asdrubale probabilmente si rende perfettamente conto che è ormai troppo tardi sia per aiutare Annone che, forse, per ottenere una vittoria da solo.
Tuttavia, vi è ancora modo di sferrare qualche stoccata ai Romani, pur senza scontrarsi direttamente con l’esercito di Gneo Scipione.
Asdrubale viene a sapere che gli equipaggi e i soldati a guardia della flotta romana, attraccata nei pressi di Tarraco (Tarragona), sicuri del successo di Gneo Scipione , si sono incautamente sparsi per il territorio.
Il comandante cartaginese raccoglie 8000 fanti e 1000 cavalieri dal suo esercito (al contrario di Polibio, Livio sostiene che questa fosse l’intera sua forza in quel momento) e li manda sul territorio a cercare i Romani. Questi, presi completamente alla sprovvista, sono uccisi in gran numero, i restanti costretti a fuggire verso la navi per rifugiarvisi.
Conclusa l’azione, Asdrubale si ritira velocemente a sud dell’Ebro, prima che Gneo Scipione possa piombargli addosso.
Il legato dal canto suo, saputo del colpo di mano di Asdrubale, torna velocemente verso la costa. Dopo aver dispensato punizioni per quanto accaduto, Gneo Scipione si imbarca per tornare con le sue truppe a svernare a Emporion.
Asdrubale, però, non ha ancora finito con Scipione.
Il comandante punico torna di nuovo a nord dell’Ebro, incita alla rivolta gli Ilergeti, una popolazione che aveva dato ostaggi a Scipione, e devasta i territori degli Iberici alleati dei Romani.
Gneo Scipione, costretto a intervenire, abbandona Emporion per affrontare Asdrubale e gli Ilergeti rivoltosi, ma il fratello di Annibale è già ritornato per la seconda volta a sud dell’Ebro, dove si occupa di fortificare e far presidiare i luoghi più importanti, preparandosi a svernare a Qart-Hadasht/Carthago Nova.
Il legato, al contrario, prima di poter finalmente far riposare le truppe nei quartieri invernali, ha ancora da risolvere le grane lasciategli da Asdrubale.
Gli Ilergeti, andato via Asdrubale, sono ricacciati dai Romani nella loro capitale, Athanagia, che si arrende dopo un assedio di pochi giorni. Gli Ilergeti sono costretti a dare a Gneo Scipione più ostaggi di prima, e per di più anche a versargli un tributo in denaro.
Il comandante romano decide di occuparsi anche degli Ausetani, una popolazione iberica alleata di Cartagine. Posta sotto assedio la loro città, della quale non viene riportato il nome da Livio, Gneo Scipione sconfigge in un’imboscata una larga forza di Lacetani, alleati degli Ausetani e ai quali stanno portando soccorso, lasciandone sul campo, secondo Livio, 12.000 e costringendo i restanti alla fuga.
L’assedio agli Ausetani continua anche con l’arrivo di un duro inverno, che si mostra più inclemente con gli assedianti che con gli assediati. Per trenta giorni i Romani rimangono sotto la neve, che “scarsamente era meno profonda di quattro piedi [ca. 120 cm]; e aveva coperto a tal punto i ripari e le vigne [tettoie mobili utilizzate dai Romani durante gli assedi] dei Romani, che da sola serviva come difesa quando il fuoco veniva frequentemente scagliato su di loro dal nemico.”
Quando infine il leader degli Ausetani, Amusito, fugge presso Asdrubale, Gneo Scipione offre la resa agli assediati, con la condizione che gli versino venti talenti in argento (corrispondenti all’incirca a 600 kg del prezioso metallo).
Finalmente terminate le operazioni, Scipione conduce l’esercito ai quartieri invernali, cambiandone però la sede da Emporion alla più vicina Tarraco. Qui distribuisce equamente il bottino con i soldati, rendendoli ancora più ben disposti nei suoi confronti e pronti ad affrontare le battaglie che li attendono al termine della stagione invernale.
Finito l’inverno, i Romani, ora che si sono assicurati le posizioni a nord del fiume, sono pronti a portare la guerra a sud dell’Ebro.

Bibliografia
Appiano di Alessandria, Guerre in Iberia
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