La seconda guerra punica in Spagna (2). Dalla battaglia del fiume Ebro alla rivolta dei Turdetani (217 a.C. – 216 a.C.)

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Nel 217 a.C., mentre in Italia Annibale sconfiggeva i Romani sul Trasimeno e affrontava i primi contrattacchi di Quinto Fabio Massimo in Italia meridionale, sul fronte iberico del conflitto le cose non andavano invece troppo bene per i Cartaginesi.

Dopo i successi romani dell’anno precedente, Asdrubale Barca si preparava a iniziare l’estate del 217 a.C. aprendo le ostilità contro Gneo Scipione, che dalla base di Tarraco controllava tutta la fascia costiera iberica a nord del fiume Ebro. Proprio sul fiume, che ora segnava il confine tra i due avversari, il condottiero cartaginese contava di fermare il legato romano.

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La battaglia del fiume Ebro

Dopo aver lasciato ai Romani da risolvere le rivolte da lui causate tra gli Iberici a nord dell’Ebro, Asdrubale non era rimasto inoperoso durante l’inverno.

Nella base di Qart-Hadasht / Carthago Nova, Asdrubale era riuscito ad armare, in aggiunta alle trenta-quaranta navi da guerra che Annibale gli aveva lasciato a disposizione prima di partire per l’Italia, altre dieci quinquiremi – i vascelli che nel 218 a.C. Annibale aveva affidato al fratello ammontavano a quasi sessanta, ma delle quali soltanto trentacinque quinquiremi e cinque triremi a pieno organico e operative.

Affidate quaranta navi a un comandante di nome Imilcone secondo Livio, Amilcare per Polibio, Asdrubale chiamò a raccolta le sue truppe dai quartieri invernali e si mise in marcia verso nord, con l’intenzione di attestarsi sull’Ebro. L’esercito fu fatto marciare lungo la costa, parallelamente alla flotta: con l’utilizzo combinato delle due forze, Asdrubale contava di bloccare Gneo Scipione sia per terra che per mare.

Inizialmente, Gneo Scipione voleva raccogliere la sfida del comandante punico affrontandolo sia in uno scontro navale che campale, ma poi decise più saggiamente di agire in modo diverso: il legato non era infatti sicuro di vincere uno scontro terrestre contro l’esercito punico, che forse era numericamente superiore al suo, nonostante i Romani potessero probabilmente mettere in campo quasi 20.000 uomini.

Gneo Scipione armò trentacinque delle sue navi (il fratello, l’anno precedente, gliene doveva aver lasciate quasi sessanta) e vi mise a bordo diversi soldati scelti. In due giorni, salpando da Tarraco, la flotta romana giunse nelle vicinanze della foce dell’Ebro. Due navi dei fedeli alleati massilioti furono inviate avanti in esplorazione, e quando tornarono indietro riferirono che la flotta cartaginese era all’ancora proprio alla foce del fiume, mentre l’esercito era accampato sulla riva.

Non volendo perdere l’occasione di un attacco a sopresa, i Romani fecero immediatamente vela contro la flotta punica.

Asdrubale, tuttavia, era già stato avvisato dell’imminente arrivo del nemico dalle sue sentinelle (secondo Livio, il nemico era stato avvistato grazie a delle torri di avvistamente poste lungo la costa), e fece così schierare l’esercito sulla riva, mentre marinai ed equipaggi si imbarcavano sulle navi.

Il resoconto di Livio è quello di un’assoluta confusione e trambusto nel campo cartaginese, condizioni che porteranno poi all’esito finale della battaglia navale. Molto più equilibrato e asciutto, forse più affidabile in questo contesto, il racconto di Polibio: “Essendo i Romani a portata di mano, [Asdrubale] diede il segnale per la battaglia, avendo deciso per un’azione navale. Andati incontro al nemico, i Cartaginesi gli contesero la vittoria brevemente e poi iniziarono a cedere. Poiché la copertura delle truppe sulla spiaggia non li beneficiò tanto per la sicurezza che ispirava, tanto quanto li danneggiò assicurando loro una ritirata facile e sicura.”

La flotta cartaginese tornò a riva, dopo aver perso due vascelli con tutti i remi e gli equipaggi durante lo scontro, nonché i soldati imbarcati su altri quattro; i Punici sbarcarono frettolosamente, cercando rifugio tra le truppe schierate sulla spiaggia. I Romani avanzarono e furono in grado di catturare ben venticinque dei quaranta vascelli avversari, assestando un colpo durissimo alle difese cartaginesi.

moneta
Rovescio di una moneta databile intorno al 211 a.C., che mostra la prua di una nave da guerra romana, con il relativo rostro. (fonte https://www.cointalk.com/threads/ancients-the-evolution-of-roman-coinage-aes-grave.251602/, immagine modificata).

Altri successi romani del 217 a.C.: il resoconto di Tito Livio

Secondo Livio, dopo la vittoria alla foce dell’Ebro Gneo Scipione non si limitò a tornare indietro, ma approfittò del trionfo per altre azioni a danno dei Cartaginesi, essendo ormai i Romani “padroni dell’intero mare su quella costa, grazie a una piccola battaglia”. I Romani saccheggiarono Honosca (una città non meglio identificata tra Tarraco e  Qart-Hadasht / Carthago Nova), devastarono il territorio fino sotto le mura di Nuova Cartagine e depredarono le riserve di stoppa per calafataggio presenti a Longuntica, dando alla fiamme quanto non riuscirono a prendere. Non ancora soddisfatti, i Romani rivolsero le loro attenzioni contro Ebusus (l’odierna Ibiza), prima mettendone sotto assedio la città per due giorni e poi, non riuscendo a vincerne le difese, si diedero a devastare il territorio circostante, saccheggiando e dando alle fiamme diversi villaggi. Ambasciatori balearici furono costretti ad andare da Gneo Scipione a implorare per la pace.

Soddisfatto dei risultati ottenuti, Scipione rientrò a Tarraco, dove ricevette ambasciatori di una gran quantità di nazioni iberiche, decise a passare dalla parte dei Romani (le popolazioni già soggette e che avevano dato ostaggi a Gneo Scipione ammontavano, dalle parole di Livio, già a oltre centoventi).

I Romani, fiduciosi dopo le prime vittorie estive, sempre secondo Livio sarebbero avanzati addirittura fino al passo di Castulo, mentre Asdrubale si ritirava a ovest, fino alla Lusitania.

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Questi ultimi dati forniti da Livio non sembrano essere particolarmente affidabili. Sempre che Livio non si riferisca a un’altra località, Castulo è infatti nell’attuale provincia di Jaén, vicino all’alto corso del Guadalquivir e molto più a sud del fiume Ebro. Dato che cozza fortemente con quanto riporta Polibio che, in riferimento a quando i fratelli Scipioni, riuniti, portarono la guerra a sud dell’Ebro, enfatizza proprio il fatto che i Romani mai avessero osato spingersi ad attraversare il fiume. È assai più probabile pensare che Asdrubale avesse semplicemente indietreggiato non molto più a meridione dell’Ebro.

Dovunque si fosse effettivamente ritirato, il comandante cartaginese fu ben presto costretto a tornare presso l’Ebro per difendere i suoi alleati iberici. Alcune popolazioni iberiche alleate di Cartagine a sud del fiume, aizzate da Mandonio e Andobale, precedente re degli Ilergeti – quest’ultimo era stato catturato dai Romani nel 218 a.C. dopo la vittoria a Cissa –, non appena i Romani furono tornati indietro si diedero a razziare i territori degli alleati di Gneo Scipione.

Quest’ultimo, secondo Livio, si limitò a inviare un tribuno con delle truppe ausiliarie a sedare i disordini, sconfiggendo facilmente i più disorganizzati iberici.

Asdrubale si accampò nel territorio degli Ilercavoni, subito a sud dell’Ebro, mentre i Romani sarebbero stati accampati in un luogo non meglio identificato chiamato da Livio “Nova Classis” (letteralmente “Nuova flotta”). Non si arrivò a battaglia tra i Cartaginesi e i Romani poiché, in favore di questi ultimi, intervennero i Celtiberi, che avevano inviato ambasciatori e ostaggi presso Scipione. I Celtiberi, secondo Livio “presero le armi e invasero la provincia dei Cartaginesi con un potente esercito; presero d’assalto tre città; dopodiché, si scontrarono egregiamente con Asdrubale stesso in due battaglie, [nelle quali] furono uccisi quindicimila nemici e ne furono catturati quattromila con un gran numero di stendardi”.

Nessuno degli eventi narrati da Livio dopo la battaglia del fiume Ebro e qui riportati è raccontato da Polibio, il che può in parte spingere a dubitare della loro veridicità, o quanto meno della loro precisione.

Che avesse dovuto subire ulteriori sconfitte, o che avesse dovuto scontare solo la pesante batosta presso la foce dell’Ebro, la situazione di Asdrubale stava comunque per farsi ancora più difficile: il Senato stava infatti per inviare Publio Cornelio Scipione, padre del futuro Africano, a dare manforte al fratello.

Gli ostaggi di Sagunto

Il Senato romano, incoraggiato dai successi di Gneo Scipione ma allo stesso tempo preoccupato che i Cartaginesi potessero comunque prendere il controllo della penisola iberica per poi inviare rinforzi ad Annibale, finalmente decise di inviare Publio Cornelio Scipione a riprendere il posto che originariamente gli era stato assegnato nel 218 a.C.

Al comando di una flotta e di un esercito – Polibio menziona venti navi, mentre Tito Livio parla di trenta navi e ottomila uomini –, Publio Scipione sbarcò a Tarraco, unì le forze a quelle di Gneo Scipione e prese il comando delle operazioni.

Con l’arrivo del nuovo comandante, i Romani passarono decisamente all’offensiva, e compirono il passo decisivo di portare la guerra a sud del fiume Ebro. Così Polibio: “[…] i Romani, che non avevano mai osato attraversare l’Ebro, ma si erano accontentati dell’amicizia e alleanza dei popoli sulla riva settentrionale del fiume, ora lo attraversavano, e per la prima volta si azzardavano a mirare ad acquisire il dominio dell’altra parte […]”.

Non contrastati dai Cartaginesi – secondo Livio, ancora impegnati a combattere i Celtiberi –, i Romani puntarono su Sagunto, la città la cui conquista da parte dei Punici era stata la scintilla che aveva portato allo scoppio dell’intera guerra. L’esercito degli Scipioni, supportato dalla flotta che lo seguiva lungo la costa, si accampò in un luogo sicuro a cinque miglia dalla città, vicino a un tempo dedicato ad Afrodite. Il comando cartaginese era in mano a Bostar, che era stato inviato da Asdrubale per bloccare i Romani se avessero attraversato l’Ebro. Bostar si era invece ritirato e si era accampato con il suo esercito tra Sagunto e la costa, forse per prevenire almeno un intervento romano proveniente dal mare.

Sagunto era un luogo di particolare rilevanza per lo svolgersi della guerra in Spagna: lì infatti, sotto custodia, erano tenuti come ostaggi i figli dei maggiori capi dei popoli iberici sottomessi a Cartagine, che in buona parte, almeno secondo Livio, sarebbero stati invece ben disposti a un’alleanza con i Romani. Non è chiaro se i Romani sapessero o meno della presenza di questi importanti ostaggi, ma è assai probabile che ne fossero informati: liberarli avrebbe loro garantito un enorme vantaggio nella prosecuzione della guerra.

La fortuna assistette i Romani in questo difficile frangente, grazie ad un nobile iberico di nome Abilyx, o Abelux nei testi latini. Abelux, che notoriamente era fedele ai Cartaginesi, decise di cambiare schieramento nel vedere che lo svolgimento della guerra in Spagna stava volgendo a favore dei Romani, e pensando che sarebbe potuto diventare molto influente presso di loro.

Il nobile iberico elaborò così un piano per consegnare i nobili ostaggi iberici ai Romani. Abelux si presentò direttamente da Bostar, convincendolo che non era più conveniente governare gli Iberici con la paura, e che rilasciare gli ostaggi rimandandoli presso le loro famiglie avrebbe invece assicurato l’amicizia e l’alleanza dei popoli di Spagna.

Una volta riuscito a convincere il generale punico, Abelux quella stessa notte si presentò al campo romano e, incontrati alcuni alleati iberici al servizio dei Romani, si fece scortare da Publio Cornelio Scipione, al quale presentò il suo piano di consegnare a lui gli ostaggi perché fossero poi rimandati a casa: a quel punto i popoli iberici si sarebbero schierati in massa con i Romani. Scipione accettò più che volentieri la proposta.

Abelux così organizzò in accordo con Bostar la fuoriuscita dei giovani ostaggi da Saguntum nel bel mezzo della notte, come per mantenere segreta la faccenda, e poi consegnò gli ostaggi a Scipione. Quest’ultimo ricoprì di onori Abelux e lo incaricò di occuparsi del rimpatrio degli ostaggi, per propagandare la magnanimità e la benevolenza dei Romani.

Non sappiamo che fine fece Bostar, se non che fu giudicato ingenuo come un bambino e che la sua vita fu in pericolo a causa della sua incauta decisione.

Per Tito Livio, gran parte dei popoli iberici si stava preparando a rivoltarsi contro i Cartaginesi, ma l’arrivo dell’inverno costrinse tutti a fermare le operazioni belliche.

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La rivolta dei Turdetani

Quando le operazioni militari ripresero, nella primavera del 216 a.C., Asdrubale si sentiva in evidente difficoltà nel proseguire la guerra come avrebbe voluto.

Mentre i due Scipioni si dividevano il comando, Publio sull’esercito e Gneo sulla flotta, Asdrubale, che non si fidava particolarmente della forza del suo esercito, si teneva a distanza ed evitava lo scontro diretto con i Romani, preferendo fortificare le sue posizioni, attendendo da Cartagine i rinforzi che aveva domandato più volte. Finalmente, quando dall’Africa gli furono inviati in rinforzo 4000 fanti e 1000 cavalieri, Asdrubale si mosse più vicino ai Romani, ordinando alla flotta di proteggere le isole e le coste. Tuttavia, un ammutinamento imprevisto gli impedì di combattere gli Scipioni.

Alla testa della flotta punica vi erano infatti ancora quei comandanti che avevano preso parte, l’anno prima, alla battaglia del fiume Ebro, e che “per la loro codardia” in quello scontro, visto che avevano abbandonato le navi, erano stati “gravemente rimproverati” (dovevano aver probabilmente subito qualche tipo di punizione).

Non più legati alla causa punica, in comandanti della flotta cartaginese si ammutinarono e indussero alla rivolta i Turdetani – che Livio chiama “Tartessi” –, signori della parte meridionale della penisola iberica e una delle più influenti nazioni della Spagna, per quanto sottomessi ai Cartaginesi.

Asdrubale fu così costretto a far deviare le sue truppe per affrontare i Turdetani, marciando contro Chalbus, uno dei loro capi. Questi aveva appena preso una città (Livio non riferisce di che città si tratti) e si era accampato di fronte alle mura.

I primi attacchi di Asdrubale, condotti da schermagliatori Numidi sia a piedi che a cavallo, non ebbero altro effetto se non quello di far compattare i Turdetani. Asdrubale decise così di ritirarsi su una posizione sopraelevata e la fortificò, inviando a più riprese contingenti di schermagliatori ad attaccare i Turdetani, i quali però, secondo Livio, si rivelarono combattenti migliori dei Numidi.

Non riuscendo a far smuovere i Cartaginesi dalla loro posizione difensiva, Chalbus assaltò e prese la città di Ascua, dove Asdrubale aveva ammassato le sue provviste, e divenne di fatto padrone del territorio. Questo successo, però, diede troppa sicurezza ai Turdetani, che abbassarono la guardia.

Asdrubale approfittò della situazione e ordinò l’attacco alla forze disperse dei Turdetani. Dopo una prima fase di assoluta confusione, i Turdetani riuscirono a chiudersi in un quadrato difensivo, ma così facendo offrirono solo l’occasione ad Asdrubale per circondarli. In una scena che ricorda fortemente Canne, Livio descrive il quadrato turdetano che lentamente si stringe, sempre di più, finché non risultò impossibile persino muovere le armi.

I Cartaginesi massacrarono gran parte dei loro nemici, dei quali solo pochi riuscirono a rifugiarsi tra i boschi e le colline. Il giorno seguente, i Turdetani finalmente si arresero.

I problemi per Asdrubale, però, erano tutt’altro che finiti. Appena sedata la rivolta, gli giunse un dispaccio da Cartagine che gli intimava di recarsi a combattere in Italia il più in fretta possibile. Non è chiaramente specificato da Livio, ma è piuttosto evidente che tale ordine fosse giunto a seguito della notizia della strabiliante vittoria di Annibale a Canne, nell’agosto di quello stesso anno.

Gli ordini del dispaccio per Asdrubale divennero presto noti: gli Iberici erano pronti a rivoltarsi non appena il comandante punico se ne fosse andato.

Secondo Livio, Asdrubale inviò una replica a Cartagine, dove forse non si aveva una reale percezione di come stessero andando le cose in Spagna.

Così Livio, dando voce ad Asdrubale: “Asdrubale inviò subito un messaggio a Cartagine, sottolineando quale danno avesse causato la sola voce della sua partenza; se davvero si fosse messo in marcia, la Spagna sarebbe finita in mano ai Romani, prima che avesse attraversato l’Ebro. Andò avanti dicendo che non aveva né una forza né un comandante da lasciare al suo posto, e che i generali romani erano uomini ai quali aveva trovato difficile opporsi, anche quando le sue forze erano pari alle loro. Se erano dunque così ansiosi di mantenere la Spagna, che mandassero un successore con un valido esercito, e che se anche tutto fosse proceduto bene, tuttavia non avrebbe trovato una provincia tranquilla.”

Prima di poter pensare di muoversi a supporto del fratello, Asdrubale avrebbe dovuto attendere l’anno successivo.

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Mappa della situazione approssimativa alla fine del 216 a.C. Indicati in nero più scuro, luoghi ed eventi principali narrati in questo capitolo

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Bibliografia

Polibio, Storie

Tito Livio, Storie

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