I menavlatoi. Le truppe romane anti-cavalleria del X-XII sec.

In praticamente ogni epoca della sua Storia, l’esercito romano ha espresso, dall’interno dei propri ranghi o richiamandole da ausiliari e alleati, truppe specializzate, con specifici compiti tattici.

Tra queste truppe specializzate, in epoca medievale si segnalano i 𝘮𝘦𝘯𝘢𝘷𝘭𝘢𝘵𝘰𝘪, truppe che non vengono esplicitamente citate nelle cronache ma che compaiono nei trattati militari del X e XI sec.

Queste truppe di fanteria prendono il nome dall’arma che impugnano, il 𝘮𝘦𝘯𝘢𝘷𝘭𝘪𝘰𝘯. Si tratta di una lancia più corta di quelle coeve, con una lunghezza variabile tra i 2,7 e i 3,6 metri, di cui 60 cm costituiti dalla punta in ferro.
Il 𝘮𝘦𝘯𝘢𝘷𝘭𝘪𝘰𝘯 è una lancia pensata per essere più pesante e robusta di quelle comuni: nei trattati è specificato di ricavare le aste direttamente dai tronchi interi di piccoli alberelli, preferibilmente querce e cornioli, piuttosto che da travetti lavorati (metodo normale per la costruzione delle aste).

Alcuni studiosi ipotizzano che l’antenato di quest’arma sia da rintracciare nel 𝘷𝘪𝘯𝘢𝘷𝘭𝘰𝘯 citato nel VI secolo da Giovanni Malala, anche se nella sua opera è un’arma portata da cavalieri – ergo forse indicando un’arma, all’epoca, diversa; un fenomeno normale anche con altre parole del gergo militare, che pur mantenendosi cambiano significato.
La parola 𝘮𝘦𝘯𝘢𝘷𝘭𝘪𝘰𝘯, attraverso forse la parola 𝘷𝘪𝘯𝘢𝘷𝘭𝘰𝘯, deriverebbe a sua volta dal latino 𝘷𝘦𝘯𝘢𝘣𝘶𝘭𝘶𝘮, che in origine indicava una sorta di “spiedo” da caccia, più corto di una lancia normale.

Illustrazione di Angus McBride

Al comando di ogni tassiarca o chiliarca, che comandava mille uomini, erano presenti solo un centinaio di 𝘮𝘦𝘯𝘢𝘷𝘭𝘢𝘵𝘰𝘪, che i trattatisti raccomandavano che fossero “forti e coraggiosi”.
Questi uomini, equipaggiati esattamente come gli altri fanti pesanti con l’eccezione del 𝘮𝘦𝘯𝘢𝘷𝘭𝘪𝘰𝘯 e di uno scudo di più modeste dimensioni, quasi certamente tondo e a tracolla (per permettere l’uso dell’arma a due mani), avevano il rischioso compito di schierarsi direttamente di fronte al resto della fanteria pesante, in caso di carica di cavalleria pesante avversaria.

Il perché è presto detto: una carica di cavalleria corazzata, secondo i trattatisti, poteva riuscire a spezzare le lance della comune fanteria, grazie alla resistenza delle armature e alle armi, rischiando di mettere in rotta la formazione.
L’uso dei 𝘮𝘦𝘯𝘢𝘷𝘭𝘢𝘵𝘰𝘪, con le loro massicce e pesanti lance, avrebbe impedito che ciò accadesse.

[Leggi anche Clave, mazze, lance pesanti. Le truppe anti-clibanario dell’impero romano]

Prima della battaglia i 𝘮𝘦𝘯𝘢𝘷𝘭𝘢𝘵𝘰𝘪 restavano dietro al resto dei loro commilitoni, e prendevano posizione solo in caso di necessità, passando tra i varchi delle colonne di uomini di fronte a loro.
Niceforo Foca e Niceforo Urano, due esperti comandanti, raccomandavano di schierarli come una vera e propria prima linea, vicini al resto della formazione – questo poiché molti comandanti evidentemente li usavano come una sorta di avanguardia, mettendoli in serio pericolo.

La funzione principale dei 𝘮𝘦𝘯𝘢𝘷𝘭𝘢𝘵𝘰𝘪 è sintetizzata molto efficacemente da Niceforo Urano:
“Questi uomini devono mantenere la propria posizione, coraggiosamente ricevere la carica dei catafratti e del resto dei nemici e respingerli.”

Se ad attaccare non erano truppe di cavalleria pesante, i 𝘮𝘦𝘯𝘢𝘷𝘭𝘢𝘵𝘰𝘪 comunque non restavano a guardare.
Insieme alle truppe leggere armate di giavellotto (𝘢𝘬𝘰𝘯𝘵𝘪𝘴𝘵𝘢𝘪), divisi in due gruppi, avevano il compito di attaccare il nemico ai fianchi, mentre questo era impegnato contro i fanti pesanti.

Altrimenti, se l’esercito era schierato in formazione quadrata, dal centro dello schieramento dovevano accorrere laddove ve ne fosse stato maggior bisogno.

[Leggi anche La fanteria romana in epoca altomedievale (IX-XII sec.)]

Letture consigliate (clicca i link qui sotto per acquistare la tua copia del libro)

E. McGeer 2008, Sowing the Dragon’s Teeth. Byzantine Warfare in the Tenth Century


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