Anche se ormai trovo questo mito condiviso sempre meno spesso, a volte ancora mi capita di leggere che la fanteria pesante romana tardo antica sarebbe stata meno corazzata di quella che l’ha preceduta (e con questa nozione ne vengono sempre immagini di decadenza, lassismo etc.).
Da dove deriva quest’immagine?
Il “colpevole” è un celebre passo di Vegezio (Epitoma Rei Militaris I, 20), che recita così:

“Infatti benché le armi della cavalleria [si intendono anche gli armamenti difensivi] siano progredite sull’esempio di Goti, Alani e Unni, è ben noto che i fanti siano senza armatura [𝘱𝘦𝘥𝘪𝘵𝘦𝘴 𝘤𝘰𝘯𝘴𝘵𝘢𝘵 𝘦𝘴𝘴𝘦 𝘯𝘶𝘥𝘢𝘵𝘰𝘴].”
Nello stesso capitolo della sua opera, Vegezio si spende nel descrivere come la fanteria romana si sarebbe sempre equipaggiata di elmi e armature fino a Graziano, ma che dopo di lui la situazione sarebbe andata degradandosi in una maniera tale da far abbandonare prima l’armatura (𝘤𝘢𝘵𝘢𝘧𝘳𝘢𝘤𝘵𝘢), e poi addirittura l’elmo (𝘨𝘢𝘭𝘦𝘢).
A sostegno della sua tesi e lamentela verso l’interlocutore (ovvero l’imperatore al quale è dedicata l’opera), Vegezio porta in ballo molto chiaramente la battaglia di Adrianopoli del 378, pur senza nominarla direttamente, e ascrive alla mancanza di armature ed elmi la disfatta e le enormi perdite romane.
Ora, questo famoso passo, se non può essere preso semplicemente per quello che è e applicato in toto all’esercito romano, non può nemmeno però essere semplicemente etichettato come fantasia di Vegezio.
Ne va capito il contesto, e va analizzato il perché Vegezio scrive quanto scrive.
Secondo lo studioso Maurizio Colombo, l’opera di Vegezio può essere datata al regno di Teodosio II, destinatario dell’opera, e datata tra 425 e 435.
Nella narrazione di Adrianopoli, si notano in Vegezio alcuni calchi presi dall’opera di Orosio, 𝘏𝘪𝘴𝘵𝘰𝘳𝘪𝘢𝘦 𝘢𝘥𝘷𝘦𝘳𝘴𝘶𝘴 𝘱𝘢𝘨𝘢𝘯𝘰𝘴, che sappiamo essere stata conclusa nel 418.
Sia l’accenno a Graziano che la battaglia di Adrianopoli ci dicono anche che Vegezio sta attribuendo il presunto abbandono di elmi e armature da parte della fanteria romana alla politica di Teodosio, collega di Graziano dopo Adrianopoli.
Ora, sappiamo bene in realtà da un autore molto più attendibile e vicino ai fatti, Ammiano Marcellino, che la battaglia di Adrianopoli si risolve in un disastro per ben altri motivi tattici: lo scoordinamento generale delle forze romane (arse dalla sete e dal sole di agosto), che attaccano senza un piano, l’attacco totalmente totalmente a sorpresa della cavalleria dei Goti, con conseguente accerchiamento della fanteria imperiale e impossibilità addirittura nell’imbracciare le armi.
In tutto questo, l’ultima cosa che si può affermare è che i soldati romani partecipanti a quella battaglia siano privi di elmi e armature, ampiamente descritti da Ammiano.
E del resto, l’uso di elmi e armature da parte della fanteria pesante romana nella tarda antichità è bene attestato in tutte le fonti disponibili (archeologiche, scritte, iconografiche), e questo dal IV al VII secolo, tanto per l’Occidente quanto per l’Oriente.
Vegezio allora si è davvero inventato tutto?
Nonostante le fonti sembrino stabilire il contrario, sembra improbabile che non abbia avuto almeno un aggancio con la realtà – altrimenti, come avrebbe avuto speranza di essere ascoltato, nella sua lamentela, da Teodosio II?

L’aggancio, infatti, sembra esistere.
Ma va drasticamente ridimensionato, e messo nel suo contesto.
Dopo Adrianopoli, come abbiamo avuto modo di accennare in precedenti post e articoli, Teodosio ha due grandi problemi: oltre a mettere in piedi una forza che sia a diretta disposizione dell’imperatore, deve anche ricostruire un esercito valido per la Tracia, per contrastare i Goti che ancora imperversano, e farvi fronte con delle casse non esattamente in condizioni rosee.
Pur bandendo una grande leva tra i Romani e facendo muovere truppe da province lontane come l’Egitto, Teodosio, da buon imperatore romano, non ha il minimo dubbio che un ottimo modo per integrare i suoi ranghi sia anche reclutare…proprio i Goti (il discorso delle politiche teodosiane verso i Goti sarebbe lungo e complesso, e lo affronteremo in futuro).
Molti guerrieri goti colgono l’occasione ed entrano nel suo esercito, così come molti altri verranno inquadrati dopo la stipula del patto di 𝘧𝘰𝘦𝘥𝘶𝘴 del 382.
L’ingresso piuttosto massiccio di tutte queste nuove forze, in gran parte evidentemente fanteria, è testimoniato dalla creazione di ben dodici 𝘢𝘶𝘹𝘪𝘭𝘪𝘢 𝘱𝘢𝘭𝘢𝘵𝘪𝘯𝘢 senz’altro da identificare con reclute gote (a cui vanno ad aggiungersi altre tre 𝘢𝘶𝘹𝘪𝘭𝘪𝘢 𝘱𝘢𝘭𝘢𝘵𝘪𝘯𝘢, provenienti da altri bacini di reclutamento).
A fronte di questa massiccia entrata di Goti nell’esercito, in particolare nel nuovo esercito campale 𝘱𝘳𝘢𝘦𝘴𝘦𝘯𝘵𝘢𝘭𝘪𝘴, a Teodosio si può ascrivere la creazione di una sola 𝘭𝘦𝘨𝘪𝘰 𝘱𝘢𝘭𝘢𝘵𝘪𝘯𝘢.
A questo si vanno ad aggiungere circa una decina di reggimenti di cavalleria e l’aumento dell’aliquota di cavalieri negli eserciti provinciali, ma ne parleremo in futuro.
Torniamo alle nostre 𝘢𝘶𝘹𝘪𝘭𝘪𝘢 𝘱𝘢𝘭𝘢𝘵𝘪𝘯𝘢.
Queste truppe vanno armate direttamente dallo Stato, con una conseguente forte spesa per il loro equipaggiamento.
Non è improbabile che, per facilitare l’armamento di queste nuove truppe e ridurre drasticamente la spesa, Teodosio abbia deciso di non rifornirle delle usuali armature – mentre possiamo concludere che gli elmi siano invece, come sempre, ben indossati anche da questi nuovi soldati.
A questo, potremmo aggiungere un ulteriore dettaglio.
Vegezio ci parla, in modo drammatico, di 𝘯𝘦𝘨𝘭𝘦𝘨𝘦𝘯𝘵𝘪𝘢 e 𝘥𝘦𝘴𝘪𝘥𝘪𝘢, ovvero negligenza e pigrizia – in una parola sola, di poca disciplina.
Ora, questo dettaglio torna molto bene con l’atteggiamento di molte nuove reclute gote nei ranghi romani, come dimostra l’episodio di Philadelphia (Asia Minore) del 380, nel quale un reparto di Goti indisciplinati deve vedersela con dei ben più ordinati e ligi “colleghi”, soldati romani dall’Egitto.
Non stupirebbe quindi che, se già non hanno intenzione di ascoltare i propri nuovi ufficiali, i soldati Goti delle 𝘢𝘶𝘹𝘪𝘭𝘪𝘢 abbiano cercato (magari almeno inizialmente) di evitare gli addestramenti e le armature della fanteria regolare – armature che, del resto, Teodosio avrebbe progettato di non dare loro per motivi di spesa.

In definitiva: chi sono quindi i 𝘱𝘦𝘥𝘪𝘵𝘦𝘴 𝘯𝘶𝘥𝘢𝘵𝘪 di Vegezio?
Quasi certamente, si tratta delle reclute gote integrate nei ranghi delle 𝘢𝘶𝘹𝘪𝘭𝘪𝘢 𝘱𝘢𝘭𝘢𝘵𝘪𝘯𝘢 dell’esercito 𝘱𝘳𝘢𝘦𝘴𝘦𝘯𝘵𝘢𝘭𝘪𝘴 orientale, che vengono comunque definite “senza armatura” con un grande grado di esagerazione retorica e drammaticità da parte di Vegezio.
Ma di sicuro non si tratta senz’altro dell’interezza della fanteria romana tardo antica (per non parlare dell’esercito romano in toto), alla quale, fonti alla mano, non si possono di certo applicare le impietose parole di Vegezio.
[Leggi anche I Goti di Teodosio. Il “sepolcreto delle milizie” di Concordia Sagittaria.]
Fonti
Ammiano Marcellino, Storie
Vegezio, Epitoma Rei Militaris
G. Cascarino 2016, L’esercito romano. Armamento e organizzazione. Vol. III
M. Colombo 2012, La datazione dell”Epitoma rei militaris’ e la genesi dell’esercito tardo romano: la politica militare di Teodosio I, Veg. R. Mil. 1.20.2-5 e Teodosio II“, in “Ancient Society”, 42, pp. 255-292.

Articolo molto interessante che cerca di fare luce su una questione controversa dovuta a scarse fonti e poche scoperte archeologiche in merito.
Floriano Cosmi
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