L’ultima campagna romana in Italia (1155-1156). Manuele Comneno e la guerra in Puglia.

Durante la sua lunghissima Storia, l’impero romano perde in diversi momenti il controllo sull’Italia, culla stessa dello Stato romano e sede delle prime, importanti conquiste della sua Storia.

Dopo averla perduta con la fine dell’imperium in Occidente nel V secolo, e dopo la riconquista giustinianea con la guerra gotica del 535-553, l’Italia viene faticosamente difesa, ma persa pezzo per pezzo.

Mentre il vescovo di Roma acquisisce man mano sempre più autonomia e si stacca dalla sudditanza imperiale, nel 751 i Longobardi conquistano Ravenna, ponendo fine all’Esarcato e alla presenza romana in Italia settentrionale.
A sud, invece, la presenza imperiale riesce a perdurare più a lungo, per quanto con enormi sforzi, ma l’arrivo dei Normanni nell’XI secolo fa infine crollare anche il Catepanato: dopo aver perduto tutto il meridione della Penisola, nel 1071 viene conquistata anche l’ultima roccaforte romana rimasta, Bari.

L’Italia è definitivamente perduta. Ma è tutt’altro che dimenticata: ci vuole qualche decennio, ma quando la situazione imperiale sembra finalmente stabilizzata (il periodo a cavallo tra XI e XII secolo è terribilmente difficile per l’impero, attaccato su tutti i lati e con un esercito da ricostruire), il desiderio di riprendere possesso delle terre perdute si fa sempre più forte nella mente dell’imperatore Manuele Comneno.

Sovrano entusiasta ed energico, ed ereditando dal padre Giovanni II Comneno una situazione decisamente più stabile di quella del padre e del nonno, il grande Alessio Comneno, Manuele ha intenzione di restaurare la grandezza e la potenza dell’impero.
Per farlo, tra i suoi obiettivi vi è anche la conquista dell’Italia e l’annientamento del regno normanno di Sicilia.

Illustrazione di Omar Samy

L’Italia tra due imperi. I rapporti tra Manuele e gli imperatori tedeschi

I Normanni hanno già dato un pretesto sufficientemente grave a Manuele per lanciare una campagna in Italia.
Nel 1147, con una flotta al comando dell’ammiraglio di origine romano-siriana Giorgio di Antiochia, hanno preso Corfù, lasciandovi una guarnigione, ma soprattutto hanno saccheggiato Corinto e Tebe, i più importanti centri imperiali di produzione serica dell’impero.

Nel 1148 Manuele ottiene l’appoggio di Venezia e della sua flotta contro i Normanni, ma fino alla fine dell’anno l’imperatore è impegnato a respingere i Cumani che sono entrati in territorio romano, mentre a Venezia muore il doge e la flotta veneziana rimane danneggiata per una tempesta. Nel 1149, finalmente, Corfù è ripresa.

Non è però Venezia la maggior potenza straniera con la quale Manuele deve fare i conti: anche l’imperatore tedesco ha infatti forti interessi in Italia.

Questo però non è inizialmente fonte di alcun problema: Manuele e Corrado III Hohenstaufen sono infatti in ottimi rapporti sin dai tempi della Seconda Crociata (iniziata nel 1147).
In più, i due sono legati da un’alleanza matrimoniale (Manuele ha sposato Bertha di Sulzbach, cognata di Corrado, nel 1146), rinnovata in occasione dell’arrivo di Corrado a Tessalonica nel 1148, di ritorno dalla Palestina – qui la nipote di Manuele, Teodora, va in sposa a Enrico II d’Austria, fratello di Corrado.

Proprio durante l’incontro a Tessalonica, Manuele si accorda con Corrado per una campagna congiunta in Italia e la spartizione del regno normanno.
La campagna dovrebbe partire probabilmente nel 1150, ma Corrado è trattenuto dalla rivolta dei Bavaresi e Manuele da quella dei Serbi.

L’idea della campagna congiunta in Italia resta, ma nel 1152 Corrado III muore, dopo aver nominato suo successore il nipote Federico I, eletto quasi all’unanimità dai grandi del Sacro Romano Impero (dicitura che compare per la prima volta proprio durante il regno di Federico), universalmente conosciuto come Federico Barbarossa. Manuele inizia un fitto scambio diplomatico per tastare il terreno e capire se l’alleanza che aveva stretto con Corrado si possa rinnovare, ma ben presto capisce che la linea politica di Federico è molto diversa da quella dello zio.

Se infatti Corrado III non ha mai reclamato il titolo imperiale e si è sempre fregiato, come sua massima carica, di quello di Rex Romanorum, Federico I ha ben altre aspirazioni, puntando a un potere propriamente imperiale e universale, per cui apertamente in conflitto con il legittimo titolo di imperatore romano di Manuele e con l’esistenza stessa dell’impero di Costantinopoli. Questo, naturalmente, si ripercuote anche sulle pretese dell’impero romano in Italia.

L’impero romano e l’impero germanico (poi Sacro Romano Impero) al 1190, anno della morte di Federico Barbarossa e dieci anni dopo la morte di Manuele Comneno

Secondo lo storico Giovanni Cinnamo, segretario di Manuele Comneno e per cui fonte più vicina ai fatti, ci sono due ambascerie, e forse in un primo momento Federico intende rispettare i precedenti patti di Corrado con l’imperatore: nel 1153, sarebbe infatti il Barbarossa a chiedere la mano di Maria, figlia del sebastokrator Isacco, fratello di Manuele, inviando emissari e promettendo di rispettare gli accordi per la campagna congiunta.
Quando però gli inviati di Manuele raggiungono Federico per ufficializzare l’alleanza nel 1155 si rendono conto che la situazione è cambiata.

Manuele fa così un ultimo tentativo, inviando a Federico nello stesso anno un gruppo selezionato di aristocratici, tra cui il sebastos – rango onorifico ottenuto solo da aristocratici di famiglie molto vicine all’imperatore – Giovanni Ducas, con una cospicua somma di denaro per sostenere il viaggio e altri bisogni.
Accompagna l’ambasceria anche l’anziano barone normanno Alessandro di Conversano, ex conte di Gravina esiliato dal regno di Sicilia da Ruggero II d’Altavilla nel 1135 (se si tratta dello stesso personaggio, ormai ha superato gli ottant’anni), che dopo aver trovato rifugio alla corte di Costantinopoli è diventato uno dei più fidati emissari dei Comneni.

Gli ordini di Manuele sono chiari: se Federico si trova in Italia, l’ambasceria dovrà raggiungerlo e trattare. Se sarà più lontano, sarà inviato in Italia il sebastos Michele Paleologo, che attende sull’altra sponda dell’Adriatico, con ulteriori fondi per sostenere la missione diplomatica.
E se Federico rifiuterà di rispettare i patti, allora i Romani reclameranno per sé l’Italia con le loro sole forze.

Trovato Federico ad Ancona (il re germanico sta risalendo la Penisola dopo l’investitura imperiale a Roma), Ducas e Alessandro di Conversano non ottengono nulla. Manuele dovrà prepararsi alla campagna per conto proprio.
Ma i due emissari non saranno lasciati totalmente a mani vuote: durante il loro viaggio di ritorno, fanno un incontro inaspettato con un potenziale, improbabile alleato.

Roberto di Bassavilla, ribelle normanno

Più o meno negli stessi giorni in cui Federico riceve l’ambasceria di Manuele, l’imperatore germanico incontra anche gli emissari di Roberto II di Bassavilla, conte di Conversano e Loritello. Anche se nelle fonti non è specificato, è possibile che Roberto ricopra lo stesso titolo del quale era insignito Giorgio d’Antiochia fino alla sua morte nel 1152: amir amiratorum (“emiro degli emiri”, riprendendo una titolatura araba), che nel regno normanno di Sicilia equivale a una sorta di primo ministro.
Forse avendo questa carica, ed essendo quindi il secondo uomo più potente del regno, Roberto II ha il controllo pressoché totale dei domini continentali del regno di Sicilia.

Alla morte di Ruggero II d’Altavilla nel 1154, tuttavia, Guglielmo il Malo, nuovo re, affida il governo delle province italiane e il titolo di amir amiratorum a Maio di Bari, relegando Roberto di Bassavilla in secondo piano. Non potendo accettare un simile affronto, Roberto pianifica la ribellione, ma ha bisogno di alleati: per questo, sapendo delle aspirazioni del Barbarossa nel meridione, ha inviato i suoi emissari presso l’imperatore germanico.

La missione non ha fortuna, ma gli inviati di Bassavilla incontrano Alessandro di Conversano e Ducas, sulla via del ritorno. Gli emissari normanni parlano a lungo con Alessandro, che intuisce le potenzialità di quel fortunato incontro.
“Cari amici”, dice loro secondo Cinnamo, “qui vicino c’è qualcuno che garantirà il successo della vostra ambasceria. […] L’imperatore dei Romani”.

Lettere vengono subito inviate tanto a Roberto di Bassavilla che a Michele Paleologo. Il conte di Conversano chiede di incontrare i Romani a Pescara, e il Paleologo non perde tempo: con dieci navi (e certamente con un esercito, anche se non sappiamo quanto numeroso) salpa immediatamente alla volta di Pescara, e lungo la rotta si ferma a prendere possesso di Vieste, che si è consegnata all’imperatore.
Bassavilla, venutolo a sapere, decide allora che sarà più appropriato incontrarsi proprio a Vieste, così Michele Paleologo torna indietro.

Così, dopo aver preso accordi e fatto i dovuti giuramenti, ha finalmente inizio la campagna per la riconquista dell’Italia del sud.

I primi successi del 1155

Siglati gli accordi, la campagna si mette subito in moto. Abbiamo una narrazione molto dettagliata dei fatti sempre da Giovanni Cinnamo, grazie al quale possiamo seguire la campagna.

Giovanni Ducas, con i soldi che aveva già a disposizione per la missione diplomatica, assolda mercenari dalla Marca di Ancona (come per il resto degli eventi, non conosciamo quasi mai i numeri degli eserciti in campo) e marcia verso sud.
Conquista una città fortificata della quale Cinnamo non fa il nome, sconfiggendo la guarnigione comandata da un certo Prunzos e mettendo a ferro e fuoco la parte bassa dell’insediamento, costringendo così i difensori e i cittadini a uscire dalla cittadella e arrendersi, acclamando l’imperatore come loro signore.

In seguito, la città di San Flaviano – forse nei pressi dell’attuale Giulianova in Abruzzo – si arrende spontaneamente all’esercito di Ducas. Il generale tratta con rispetto gli abitanti della città e prosegue la marcia senza incontrare resistenza, e quando entra in Puglia riceve solo una lettera da Roberto di Bassavilla, che gli chiede di mantenere lo stesso comportamento rispettoso nelle sue terre, che ora sono soggette all’impero.

Nel frattempo, Michele Paleologo e i suoi uomini, ai quali si aggrega anche Alessandro da Conversano, da Vieste si spostano (quasi certamente via mare) verso Trani. Consapevole però che perderebbe troppi uomini e tempo per conquistarla, essendo ben difesa, decide di muoversi verso Bari. La mossa è apparentemente insensata, poiché Bari è anche maggiormente fortificata di Trani, ma quest’ultima non può essere conquistata senza che prima cada Bari.
In più, conquistare la vecchia capitale del Catepanato sarebbe un formidabile colpo per il prestigio e la fortuna dell’impresa.

Tuttavia, si tratta di un compito arduo. “Mura imponenti la circondavano [Bari], e c’era un esercito di barbari, molti dei quali in armi sulle mura; il resto, una folla innumerevole, si riversò fuori dai cancelli e si precipitò contro di lui, fanti e cavalieri con le loro armi.”
In più, una tempesta rischia di far affondare le navi. Il giorno dopo, portate fuori pericolo le navi, tenta un attacco ma viene respinto. Tenta di convincere i baresi a parole, e in un primo momento questi aprono le porte e lasciano libero l’accesso al porto. Ma Michele sospetta giustamente una trappola: come fa avvicinare una nave al porto, i nemici si ripresentano sulle mura.

Alla fine è Alessandro da Conversano a salvare la situazione. Salito su una nave, secondo Cinnamo si avvicina alla città e mostra una borsa carica d’oro agli abitanti della città, dicendo loro: “Chiunque desideri ricchezze e libertà, che venga avanti per goderne subito”.
Che sia avvenuto in questo modo o che si tratti di una semplificazione di Cinnamo per raccontare un tentativo di corruzione, la popolazione di Bari si spacca in due: parte si proclama fedele all’imperatore, mentre il resto si rifugia nelle due cittadelle della città, di cui una ospita la basilica di San Nicola.
Michele Paleologo, che non ha intenzione di sprecare soldati per un assalto, escogita uno stratagemma per conquistare quest’ultima, inviando degli uomini travestiti da monaci, con armi nascoste, e riuscendo a far aprire le porte. La seconda cittadella invece si arrende spontaneamente, quando infine giunge anche un forte esercito guidato da Bassavilla in persona.

Dopo 85 anni di dominazione normanna, Bari è finalmente riconquistata.

Michele Paleologo torna quindi verso Trani, che si consegna senza combattere, così come Giovinazzo.
Nelle vicinanze, ad Andria, il barone normanno Riccardo prima tenta di impedire a Giovinazzo e Trani di sottomettersi ai Romani con le minacce, ma fallendo chiama a raccolta altri conti nelle vicinanze e mette insieme un esercito di “duemila cavalieri e una folla estremamente numerosa di fanti”.

A Trani, Michele Paleologo deve aver lasciato solo una piccola forza, che si affretta a contattare Giovanni Ducas, il quale nel mentre ha presso possesso di Ruvo di Puglia, sottomessasi spontaneamente.
Ducas avanza così su Barletta, presso la quale sono accampati trecento cavalieri e una forza di fanti di Riccardo di Andria. I Normanni escono allo scoperto e lo attaccano, ma Ducas schiera i suoi uomini e carica il nemico, disperdendolo e perdendo un solo uomo nello scontro.

Riccardo, ora a rischio di essere preso in mezzo tra il Paleologo e Ducas, si ritira velocemente verso Andria. Giovanni Ducas, accompagnato da Bassavilla, lo insegue e la battaglia campale che ne segue vede i Romani in forte inferiorità numerica – almeno per i cavalieri, 600 cavalieri imperiali contro 1800 guerrieri montati normanni, che continuano a essere gli unici di cui Cinnamo ci dà i numeri. Anche delle masse di fanteria ci viene solo detto che quella normanna sovrasta quella imperiale.

La battaglia che ne segue, anche se molto difficile per i Romani, è infine vinta dalle forze imperiali, e anche Riccardo di Andria resta ucciso. La città si arrende così alle forze imperiali, che tornano verso Bari “con trofei di vittoria”.

Mappa delle prime città conquistate del 1155

Le conquiste di Giovanni Ducas e la prima crisi con Roberto di Bassavilla (1155)

Iniziata sotto i migliori auspici, la campagna continua. Dopo aver riorganizzato le forze a Bari, viene deciso che Michele Paleologo resterà nella città con parte delle truppe, dirigendo le operazioni e decidendo dove inviare le forze di volta in volta, mentre il compito di razziare e sottomettere il territorio circostante ricadrà sulle spalle di Giovanni Ducas.

Dopo aver fallito la conquista di un castello ben difeso del quale non viene detto il nome, Ducas decide di attaccare a sorpresa la città di Monopoli.
Casualmente, proprio da Monopoli è già partito un esercito per affrontare le forze imperiali. Le avanguardie dei due eserciti, che si incontrano senza preavviso, ingaggiano una scaramuccia, mentre i cavalieri della retroguardia di Monopoli fuggono verso la città. Dopo un ulteriore scontro in campo aperto vinto, che raggiunge addirittura le porte della città, e la razzia del territorio di Monopoli, le forze di Ducas rientrano a Bari.

Inaspettatamente, a Bari giungono degli emissari dal papa, annunciando che questi ha radunato una considerevole forza ed è pronto a scendere in guerra a fianco dei Romani. Questo non deve sorprendere, poiché i Normanni sono sempre stati un vicino molto scomodo per il vescovo di Roma, e certamente poterli sostituire con l’impero sarebbe ben più vantaggioso.
Di questo esercito promesso dal papa, tuttavia, non vi è mai più traccia in Cinnamo.

Nel frattempo, Ducas e Michele Paleologo si preparano ad attaccare e conquistare Monopoli, che chiede una tregua di un mese, e Bassavilla, sotto attacco da parte di un barone fedele a Guglielmo il Malo che mette sotto assedio Andria, chiede aiuto ai due generali romani, che però lo ignorano.
Si degnano di rispondere solo a una seconda lettera, con parole che probabilmente lasciano Roberto di Bassavilla gelato: non sono venuti per combattere per lui, ma per riprendere l’Italia per conto dell’imperatore, con il suo aiuto.
Inoltre, i due sebastoi non si fidano di Roberto, che è sospettato di averli voluti tradire a favore di Riccardo di Andria. Per cui lo legano a loro con ulteriori giuramenti, ma continuando a non fidarsi.

Comunque i due generali alla fine mandano rinforzi a Roberto di Bassavilla presso Bitetto. Inoltre l’imperatore Manuele, visto il successo iniziale della campagna, manda in Italia una forza di Romani, Alani e cavalieri latini mercenari al comando di Giovanni Angelo.
Alla notizia, il barone normanno che sta assediando Andria (non ne conosciamo il nome) abbandona l’assedio e si dirige su Molfetta, ancora nelle mani di Guglielmo.

I Romani decidono poi di conquistare il castello di Bosco, soggetto a Riccardo di Andria finché era in vita – non mi è stato purtroppo possibile identificare il luogo; potrebbe trattarsi della stessa Molfetta, chiamata in altro modo da Giovanni Cinnamo per un errore nelle sue fonti, ma è difficile da stabilire.

Bosco, comunque sia, è estremamente difficile da conquistare e ben fortificata. Una sortita proprio all’inizio dell’assedio viene respinta, mentre un tentativo di dare alle fiamme i cancelli della fortezza fallisce miseramente.
Inoltre, un nuovo esercito di baroni normanni fedeli a Guglielmo si è radunato e, in maggioranza numerica, attacca le forze di Giovanni Ducas. Dopo un aspro combattimento che dura fino a mezzogiorno, i Romani riescono però ad avere la meglio, mettendo in fuga i Normanni e uccidendo almeno trecento dei loro cavalieri.
Anche Bosco non resiste molto e viene conquistata, insieme a tutte le sue vettovaglie.

Dopo essere tornato a Bari come di consueto, Ducas decide di dirigersi in profondità nel territorio nemico, conquistando Montepeloso (oggi Irsina), Gravina e sottomettendo gli abitati circostanti.
Le forze di Guglielmo non riescono mai a giungere a uno scontro decisivo con i Romani, dei quali inizia a spargersi la nomea di invincibilità.

Anche se la campagna sta procedendo a gonfie vele, una notizia terribile si abbatte sulle forze imperiali: Michele Paleologo, preso da una malattia e febbricitante, muore improvvisamente a Bari.
Il peso della guerra e delle decisioni strategiche passa ora nelle mani di Giovanni Ducas.

Giovanni Ducas al comando (1155)

Il primo compito che Giovanni Ducas si assume è quello di ricucire i rapporti con Roberto di Bassavilla, avendo bisogno delle sue forze.
Non fidandosi di lui, Michele Paleologo gli aveva negato un ingente prestito di 10.000 nomismata, concedendogli però in cambio di poterne avere subito 4000 come dono ma di dimenticarsi del resto – risposta che provoca l’allontanamento di Roberto. Al contrario, Giovanni Ducas decide di concedere il prestito a Bassavilla, riconciliandosi con lui e ottenendo il suo rientro tra le fila romane.

Il prossimo nemico da combattere è un tale Flameng, signore di Polymilion (probabilmente l’attuale Palagiano). Inizialmente, all’approssimarsi delle forze imperiali, Flameng si ritira su Taranto, molto meglio difendibile e fortificata.
I Romani conquistano sia Polymilion che la vicina Mottola, sconfiggono in campo aperto Flameng, uscito ad affrontarli, e prendono possesso di Massafra.
I cittadini di Taranto, infuriati con Flameng, lo costringono a uscire di nuovo allo scoperto per affrontare Giovanni Ducas, ma alla vista dell’esercito imperiale batte in ritirata.

I tarantini non hanno tuttavia nulla da temere, poiché Ducas considera le mura di Taranto troppo difficili da prendere. Per cui, con cinque giorni di marcia, decide di invece di tornare verso Monopoli, questa volta per conquistarla. Richiama anche la flotta da Bari, così che possa costantemente rifornirlo di viveri.

L’assalto alla città è però ben più duro del previsto, e i Romani vengono respinti più volte. Gli abitanti di Monopoli mandano messaggi a Flameng chiedendogli aiuto, e questi promette di arrivare con i rinforzi. Ma dopo sette giorni, di Flameng non c’è ancora alcuna traccia, per cui Monopoli accetta di arrendersi e di far lasciare una guarnigione al suo interno.

A questa notizia (riferitagli da quella parte di cittadinanza che non è d’accordo con la resa), Flameng si decide finalmente ad agire, mandando un centinaio di cavalieri che si intrufolano in città da una postierla e promettendo di arrivare in un secondo momento.
Ducas, che considera la resa un inganno, si prepara a prendere Monopoli con la forza, ma gli abitanti di Monopoli si rendono conto che il centinaio di cavalieri di Flameng non sarebbe sufficiente a difenderli, e così si arrendono definitivamente.

Flameng stesso è sulla strada per Monopoli, ma vedendo gli stendardi sulle mura di Monopoli gira il cavallo e fugge con i suoi. Inseguito dalla cavalleria imperiale, per poco non è catturato.

Nonostante in continui successi, Giovanni Ducas è comunque un generale prudente e sa benissimo che è solo questione di tempo prima che Guglielmo il Malo raduni un esercito per condurlo in Puglia. Dopo la conquista di Monopoli, invia così una lettera all’imperatore Manuele, chiedendogli una grande flotta e un esercito numeroso per proseguire la guerra.

L’assedio di Brindisi e l’arrivo di Guglielmo il Malo (1156)

Anche se non è chiaro, forse Giovanni Ducas passa la stagione invernale a Monopoli, invece di rientrare a Bari, per riprendere le operazioni nella primavera del 1156. Da qui, sottomette senza combattere Ostuni e si dirige verso l’importante città fortificata di Brindisi.

Le forze imperiali raggiungono Brindisi il 14 aprile, il giorno prima della Pasqua. Infatti per almeno due giorni non attaccano, limitandosi a scacciare le incursioni che i brindisini, avendo preso la loro inazione per paura, fanno contro di loro.

Dopo aver celebrato la festività, i Romani bersagliano Brindisi con le macchine da assedio. Non riuscendo a scalfire le mura, iniziano a tirare all’interno della cinta muraria, danneggiando le case e uccidendo alcuni civili.
La tattica del terrore funziona: la guarnigione, immaginando che la popolazione sia pronta ad aprire le porte per far cessare il tiro delle macchine, si rifugiano di tutta fretta nella cittadella, meglio difendibile, per proseguire la lotta. La cittadinanza apre le porte a Ducas, che prende possesso della città bassa e divide l’esercito in due – una parte resta in città per portare avanti l’assedio, l’altra razzierà le campagne circostanti.

Le città pugliesi sotto il controllo imperiale nominate da Cinnamo, all’inizio dell’assedio di Brindisi (Pasqua 1156). Sono segnalate anche le posizioni di Brindisi e Taranto, in mano normanna.

Dopo cinque giorni dall’ingresso a Brindisi, un disertore porta ai Romani la notizia che da tempo aspettavano, ma che speravano di non ricevere: Guglielmo il Malo si sta avvicinando con un grande esercito e una flotta.

Giovanni Ducas si prepara alla battaglia imminente, affidando a Giovanni Angelo e Robero di Bassavilla l’esercito di terra e prendendo personalmente il comando della piccola flotta a sua disposizione, di appena quattordici navi – i vascelli di Guglielmo, giunti in anticipo rispetto all’esercito, sono almeno venti, poiché devono entrare nella stretta insenatura del porto di Brindisi “a gruppi di dieci”.

Tuttavia, Ducas tiene alto il morale dei suoi uomini, inventando di aver ricevuto una lettera che avvisa l’arrivo di rinforzi entro mezzogiorno, e ingaggia battaglia con la flotta normanna. Il successo è totale: bersagliato da ogni parte e probabilmente impossibilitato a manovrare, il nemico si ritira, perdendo quattro navi catturate dai Romani (si sono incagliate sulla riva) e molti uomini (Cinnamo parla di più di duemila uomini, ma sembra una cifra esagerata).

Ringalluzziti dalla vittoria, i Romani procedono a minare le mura della cittadella di Brindisi, per mettere finalmente fine all’assedio: parte delle fortificazioni crolla, portando con sé diversi difensori normanni, ma la guarnigione riesce ancora a resistere.

Nel frattempo, Manuele Comneno non ha dimenticato la lettera di Giovanni Ducas di qualche mese prima: l’imperatore invia il megas doux e cugino Alessio Comneno con una flotta e un esercito verso l’Italia, ordinandogli però di raccogliere più soldati, prima di salpare per l’Italia.
Ma disobbedendo agli ordini, anche se per motivi non molto chiari (Cinnamo e Niceta Coniata non danno risposte convincenti in merito), Alessio fa semplicemente vela per Brindisi, portando con sé forze insufficienti.

La sfortuna però deve ancora smettere di girare: infatti i mercenari dalla Marca di Ancona reclutati l’anno prima se ne vanno, dopo aver preteso e non ottenuto un raddoppio della paga. Anche Roberto di Bassavilla, si allontana, con la scusa di cercare rinforzi: non è chiaro se volontariamente o se solo a causa di un ritardo, ma in ogni caso non farà più ritorno.
Con tutte queste defezioni, anche un numero consistente di Normanni che combatte al soldo imperiale lascia l’esercito, andando a congiungersi con le forze di Guglielmo.

La maggior parte di ciò che resta delle forze romane decide di non rifugiarsi a Bari, dichiarando che ritirarsi e abbandonare quanto conquistato fino a quel momento sarebbe “pura codardia”. Viene così tentato un nuovo attacco alla cittadella di Brindisi, che però fallisce: anche se le forze imperiali riescono a respingere i difensori al di là della breccia, parte delle mura, nuovamente danneggiate dalle macchine, crolla loro addosso.

Quando la guarnigione di Brindisi sta finalmente per arrendersi a Giovanni Ducas, il 28 maggio l’esercito di Guglielmo compare all’orizzonte, con un esercito molto superiore a quello imperiale.
I Romani non rifiutano lo scontro ma, anche se combattono coraggiosamente, sono troppo pochi per avere speranze di vincere. L’esercito imperiale, dopo una dura battaglia alla fine è soverchiato dai numeri avversari e batte in ritirata, ritrovandosi però intrappolato tra le mura di Brindisi, mentre Ducas e Alessio Comneno vengono fatti prigionieri.

In un solo giorno, va perduto tutto ciò che era stato conquistato in un anno di battaglie e assedi vittoriosi. Perduto l’esercito che avrebbe dovuto difendere le recenti conquiste, presto le città della Puglia tornano in mano a Guglielmo.

L’ultimo tentativo (1157) e la fine della guerra (1158)

Nonostante la sconfitta, per la quale Manuele va su tutte le furie, l’imperatore decide di tentare un’ultima carta, mandando il suo generale di origine turca Alessio Axouchos ad Ancona, città fedele all’impero, con una grande somma di denaro per raccogliere un esercito e tentare di nuovo la conquista dell’Italia.

Questa volta però è chiaro come l’obiettivo sia parzialmente diverso.
Giovanni Cinnamo menziona il fatto che due alleati in Italia di Manuele, Costantino Ottone e Andrea, conte di Rupe Canina, vanno ad assoldare uomini addirittura nei dintorni di Roma, e che l’esercito di Axouchos avrebbe sottomesso “trecento città” per l’impero romano (nominate in una lista che al tempo di Cinnamo si può ancora vedere, sul palazzo delle Blacherne, e che lui stesso considera gonfiata), non però in Puglia ma nell’Italia del centro-sud: l’unica città che lo storico cita, infatti, è San Germano, la moderna Cassino.

Manuele, oltre che tentare di riprendere la Puglia, ha forse anche intenzione di intimorire il papa, che ora si è messo apertamente contro l’impero e si è riavvicinato al regno di Sicilia, firmando il Trattato di Benevento. Ai sudditi che si sono avvicinati alla causa imperiale, il papa commina l’interdizione, dicendo loro che “non c’era niente in comune tra la nuova Roma e la vecchia, visto che erano state anticamente separate.”

Nonostante questi successi, nel 1158 viene siglata una pace tra Manuele e Guglielmo, ma le dinamiche non sono molto chiare.

Secondo Cinnamo, sono gli ufficiali romani ancora in prigionia presso i Normanni la causa, essendosi impegnati in condizioni che non è in loro potere promettere, e con le quali Manuele non è assolutamente d’accordo – ma che non ci vengono descritte per nulla.
Manuele avrebbe quindi prima scritto una lettera ai suoi ufficiali, rimproverandoli molto pesantemente, e quindi una a Guglielmo stesso, dicendogli che gli accordi che senz’altro ha estorto ai suoi ufficiali non sono validi e che continuerà a portare guerra fintanto che il Sud Italia e la Sicilia non saranno di nuovo in mani imperiali.

Guglielmo fa recapitare una lunga lettera in risposta a Manuele: da una parte certo molto ossequiosa, ma dall’altra dicendo all’imperatore che ha già acquisito abbastanza gloria e che la punizione inflitta ai Normanni per il sacco di Corinto e Tebe del 1147 è già stata sufficientemente grande. Chiede quindi che sia l’imperatore a mettere fine alla guerra con un trattato, riflettendo se il conflitto che si appresta a continuare, avendo appunto già ottenuto ampia soddisfazione per le vicende del 1147, abbia senso di essere combattuto, specie considerando le “leggi umane” e la scia di sangue che si porterebbe dietro.
Dopo aver riletto molte volte la lettera, Manuele Comneno avrebbe accettato, ritirando le sue forze dall’Italia e facendo addirittura di Guglielmo il suo alleato nella Penisola.

Ora, la ricostruzione di Cinnamo lascia molto a desiderare.
Visto il grande desiderio di Manuele di ristabilire una presenza imperiale in Italia, e considerato che apparentemente nel 1157 sta ottenendo nuove vittorie, è abbastanza improbabile pensare che l’imperatore abbia abbandonato la guerra solo a causa delle esortazioni di Guglielmo.

Cinnamo, segretario dell’imperatore e quindi personaggio a lui molto vicino, sta probabilmente cercando di mascherare un altro tipo di accordo o di eventi, allo stesso tempo salvando le apparenze su quanto accaduto in realtà.

Illustrazione di Christa Hook

Niceta Coniata, l’altro grande storico di questo periodo, fornisce del resto una ricostruzione dei fatti parzialmente diversa, ma che forse contiene maggiori dosi di verità.

Dopo la disfatta di Brindisi, Manuele prima di tutto tenta di mandare una nuova spedizione militare direttamente in Puglia al comando di Costantino Angelo, ma questi viene catturato in mare e imprigionato.

A seguito di questo colpo, Manuele si renderebbe conto che la guerra sta costando troppo e ha già prosciugato troppe risorse.
Per cui Alessio Axouchos è inviato in Italia, ma con una doppia missione: raccogliere truppe (Coniata non parla di conquiste), ma allo stesso tempo cercare un negoziato con re Guglielmo.
Così, mentre Axouchos recluta un grande esercito, un’ambasceria siciliana lo raggiunge ad Ancona, dove nel frattempo ha accolto anche emissari di Federico Barbarossa, con i quali (almeno apparentemente) intende provare ad accordarsi per tentare una campagna contro i Normanni. Alessio, per evitare situazioni imbarazzanti, ordina di ricevere l’ambasceria in segreto.

E segretamente viene anche siglato l’accordo di pace, che viene prontamente spedito a Costantinopoli.
Vedendo la situazione, è possibile ipotizzare che Manuele abbia effettivamente cercato l’accordo per terminare la guerra, ma cercando di farlo da una posizione di forza almeno apparente (il nuovo esercito di Axouchos in Italia e la minaccia di una campagna congiunta con l’impero germanico), salvando così almeno la faccia.

Difficile trovare una spiegazione che concili perfettamente le due versioni riportate da Cinnamo e Coniata.

Quanto è certo è che, dopo la pace del 1158, nessun altro imperatore romano tenterà mai più una campagna per la riconquista dell’Italia.

Dopo il tentativo fallito di Manuele Comneno, nonostante gli iniziali successi, l’Italia sarà per sempre separata dall’impero romano e definitivamente perduta.

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Fonti

Giovanni Cinnamo, Gesta di Giovanni e Manuele Comneno

Niceta Coniata, Storia

Studi moderni

Norwich J. 1971, I normanni del Sud

Ravegnani G. 2018, I bizantini in Italia

Treadgold W. 1997, A History of Byzantine State and Society


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