Quando pensiamo agli eserciti imperiali romani tra il IX e l’XI secolo, senz’altro la figura più iconica alla quale pensiamo – affiancata alla guardia variaga – è il catafratto.
Questa tipologia di cavaliere pesante non è forse la più rappresentativa degli eserciti imperiali del periodo, ma senz’altro è quella che, con cavallo e cavaliere totalmente ricoperti dall’armatura, colpisce di più l’immaginario.

Del resto non colpisce solo il nostro, ma anche quello degli avversari orientali dei Romani in quei secoli, gli Arabi.
Nel poema composto da al-Mutannabi del 954 la vittoria di Sayf al-Dawla nella battaglia di Hadat, gli Arabi sono meravigliati dalla vista di cavalieri che “avanzavano su cavalli che sembravano non avere gambe [per via dell’armatura]” e “i cui copricapi e vestiti erano in ferro come loro spade.”
Questi catafratti (𝘬𝘢𝘵𝘳𝘢𝘱𝘩𝘳𝘢𝘬𝘵𝘰𝘪) del IX-XI secolo corrisponderebbero quindi a quelli che, nella tarda antichità, sarebbero stati classificati da noi come 𝘤𝘭𝘪𝘣𝘢𝘯𝘢𝘳𝘪𝘪.
Anche un altro nome rende perfettamente l’idea dell’aspetto di questi soldati: 𝘱𝘢𝘯𝘴𝘪́𝘥𝘦𝘳𝘰𝘪 𝘪𝘱𝘱𝘰́𝘵𝘢𝘪, “cavalieri totalmente [ricoperti] di ferro”.
I catafratti, nel tra IX e XI secolo, sono di gran lunga le truppe meglio armate degli eserciti imperiali.
Non solo la maggior parte dei 𝘵𝘢𝘨𝘮𝘢𝘵𝘢 imperiali sono formati da cavalieri pesanti di questo tipo, ma anche la punta di diamante degli eserciti provinciali è costituita da catafratti – si parla però di una percentuale che probabilmente va intorno al 5% del totale.
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Nel manuale militare di Niceforo II Foca oggi noto come 𝘗𝘳𝘢𝘦𝘤𝘦𝘱𝘵𝘢 𝘮𝘪𝘭𝘪𝘵𝘢𝘳𝘪𝘢, la formazione ideale di catafratti è infatti composta da soli 504 uomini, di cui ben 150 arcieri a cavallo. Una versione più piccola è invece costituita da 384 uomini, di cui 80 arcieri.
Inoltre, viene realisticamente posto il problema di una possibile carenza di tali cavalieri, per la quale Niceforo Foca consiglia di rimpolpare i ranghi della formazione con regolare cavalleria pesante (con i cavalli senza armatura e con un equipaggiamento militare del soldato meno imponente).
I manuali militari del X secolo (in particolare quello già menzionato di Niceforo Foca e nel lavoro di Niceforo Urano) ci forniscono delle descrizioni molto accurate di questi “carri armati” degli eserciti romani del periodo.
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Ogni cavaliere deve avere un 𝘬𝘭𝘪𝘣𝘢𝘯𝘪𝘰𝘯, ovvero una corazza lamellare o a scaglie, dotata di maniche fino al gomito. Sopra al 𝘬𝘭𝘪𝘣𝘢𝘯𝘪𝘰𝘯 dovrebbe essere indossata una protezione imbottita aggiuntiva, chiamata 𝘦𝘱𝘪𝘭𝘰𝘳𝘪𝘬𝘪𝘰𝘯.
Dal gomito in giù, l’avambraccio è a sua volta protetto da bracciali imbottiti, in cotone o seta grezza, ricoperti da uno strato di cotta di maglia (𝘻𝘢𝘣𝘢).
Indossano inoltre schinieri, e le cosce sono protette dai 𝘬𝘳𝘦𝘮𝘢𝘴𝘮𝘢𝘵𝘢, realizzati, almeno per la parte tessile, proprio come l’𝘦𝘱𝘪𝘭𝘰𝘳𝘪𝘬𝘪𝘰𝘯 e le protezioni per le braccia – non è chiaro se si tratti di una sorta di “gonna” imbottita, di pterugi, o se fossero previste più varianti.
Il pezzo più impressionante è senz’altro l’elmo.
Di metallo spesso e pesante, presenta una protezione integrale per il volto e il resto della testa in ben due o tre strati in cotta di maglia, che lascino a vista solamente gli occhi.
Le armi del catafratto sono la lancia, una spada dritta a doppio taglio, una sciabola e una mazza – oltre naturalmente a uno scudo.
Anche il cavallo è completamente ricoperto dall’armatura.
Secondo i manuali militari, i “robusti cavalli” dei catafratti devono avere un’armatura in feltro, in cuoio bollito o in spessa pelle di bufalo (in questi ultimi due casi si intende quasi certamente un’armatura lamellare o a scaglie) che arrivi fino alle ginocchia, non lasciando nulla in vista se non gli occhi e le narici dell’animale.

L’armatura del cavallo deve avere uno spacco anteriore e lasciare uno spazio sui fianchi, per permettere i movimenti della cavalcatura.
Anche se nei trattati curiosamente non compare, dalle descrizioni di altre fonti, come accennato, sappiamo che l’armatura dei cavalli poteva essere anche realizzata in ferro.
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Bibliografia essenziale
A. Negin, R. D’Amato 2020, Roman Heavy Cavalry (2). AD 500-1450
Dawson T. 1998, Kremasmata, Kabadion, Klibanion: Some aspects of middle Byzantine military equipment reconsidered, in BMGS 22, pp. 38-50
E. McGeer 2008, Sowing the Dragon’s Teeth. Byzantine Warfare in the Tenth Century

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