“Dopo la funesta battaglia, la notte avvolse di tenebra la terra. Alcuni dei superstiti si dirigevano a destra, altri a sinistra, oppure dove la paura li trascinava, in cerca ciascuno di quanti stavano loro veramente a cuore […]
Si udivano, tuttavia, sebbene in lontananza, le miserevoli urla di quanti erano stati abbandonati, i singhiozzi dei morenti e i lamenti dolorosi dei feriti”.
Con queste parole, Ammiano Marcellino descrive la notte tra il 9 e il 10 agosto, dopo la terribile disfatta ad Adrianopoli del 378.
I Goti intendono approfittare immediatamente della insperata vittoria appena ottenuta, e decidono di puntare alla città di Adrianopoli, lontana meno di venti chilometri. Prigionieri e disertori romani informano Fritigerno, capo dei Goti, che lì sono custoditi il tesoro imperiale e le insegne dell’imperatore Valente, morto sul campo.
Oltre alle possibilità di saccheggio, la città potrebbe finalmente fornire ai Goti una solida base nella quale stabilirsi. Senza perdere tempo, Fritigerno guida i suoi uomini verso Adrianopoli, raggiungendola già nella tarda mattinata del giorno successivo alla battaglia.

I Goti non possono tuttavia sperare di prendere la città con un assalto diretto. Già due anni prima i Goti hanno tentato l’impresa, ma non era stato possibile, per via delle scarse doti e conoscenze in campo poliorcetico, prendere la città.
Secondo Ammiano Marcellino, Fritigerno in quell’occasione si sarebbe ritirato, coniando la famosa espressione di “non fare guerra alle mura” – una realtà che sarà pressoché una costante nell’arte della guerra dei Goti, e che ben si adatta anche a quanto sta per accadere ad Adrianopoli nel 378.
Parte dell’esercito di Valente (quella preposta ai bagagli e alla logistica) e alcuni dei sopravvissuti alla battaglia sono ancora accampati fuori dalle mura della città – non c’è stato il tempo, o la volontà, di farli entrare.
Quando l’esercito dei Goti appare, sono proprio questi uomini a dover sostenere il primo assalto, sostenuti almeno dal tiro di arcieri e macchine dalle mura.
Il combattimento tra Goti e Romani dura molte ore. Un gruppo di ben trecento soldati diserta in massa e si dirige presso i Goti, solo per essere massacrati da questi ultimi – esperienza che induce chiunque altro a evitare mosse del genere.
Solo un violento temporale nel primo pomeriggio frena finalmente la battaglia.
Lo scontro non ha piegato i Romani, che decidono di ignorare completamente anche la richiesta di resa fatta arrivare tramite un messaggero.

I difensori procedono anzi a rafforzare la loro posizione, bloccando le porte con grandi macigni, rinforzando i punti deboli delle mura, sistemando macchine da lancio e raccogliendo più acqua possibile – la sete, il giorno prima, ha ucciso non pochi soldati, e molti l’avevano patita anche il 9 agosto, sotto il torrido sole del campo di battaglia.
L’11 agosto, Fritigerno tenta uno stratagemma, inviando in città un gruppo di 𝘤𝘢𝘯𝘥𝘪𝘥𝘢𝘵𝘪 (le guardie più fidate dell’imperatore), che a quanto pare, vista la mala parata il 9 agosto, avevano deciso di disertare.
La storia ha dell’incredibile (e dobbiamo ricordare che i 𝘤𝘢𝘯𝘥𝘪𝘥𝘢𝘵𝘪 erano veramente in un numero limitato), ma le circostanze della guerra spesso spingono anche a questi avvenimenti.
[Leggi anche Le guardie imperiali della tarda antichità. Protectores, scholae, candidati, excubitores]
Non è nemmeno da escludere che si trattasse di soldati romani disertori travestiti da 𝘤𝘢𝘯𝘥𝘪𝘥𝘢𝘵𝘪 – essendo Valente morto sul campo, l’eventualità che sia stato possibile recuperare gli abiti di queste guardie non è del tutto peregrina -, o che si tratti di veri 𝘤𝘢𝘯𝘥𝘪𝘥𝘢𝘵𝘪 costretti a questo compito per salvare la vita.
Sia come sia, si tratta in realtà di una trappola: infatti, una volta entrati, spacciatisi per fuggitivi, i 𝘤𝘢𝘯𝘥𝘪𝘥𝘢𝘵𝘪 traditori dovrebbero appiccare degli incendi, per distrarre i difensori e dare così modo ai guerrieri di Fritigerno di entrare indisturbati.
Il piano, tuttavia, fallisce: i Romani mangiano la foglia e uccidono i 𝘤𝘢𝘯𝘥𝘪𝘥𝘢𝘵𝘪, decapitandoli come traditori.
Fritigerno tenta così un assalto a sorpresa notturno, ma i Romani sono ben vigili e svegli. Scagliano dardi e frecce sui Goti, e quando sorge il sole iniziano a bersagliarli anche con le macchine.

I Goti, infine, si perdono d’animo e lasciano perdere, abbandonando l’assedio dopo molte perdite.
La città di Adrianopoli è salva – e dopo il disastro del 9 agosto, saranno proprio le città, imprendibili, a costituire letteralmente i bastioni della resistenza romana ai Goti in Tracia, prima dell’arrivo, nel 379, del nuovo imperatore in Oriente: Teodosio.
[Leggi anche Difesa a tre livelli. La riforma militare di Teodosio.]
Fonti
Ammiano Marcellino, Res Gestae
A. Barbero 2005, 9 agosto 378. Il giorno dei barbari
M. Cappelli 2022, Il miglior nemico di Roma
P. Heather 2008, La caduta dell’impero romano. Una nuova storia

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