Nonostante nel corso degli anni siano usciti ormai innumerevoli studi sull’anno 476, questo famosissimo anno non solo della Storia romana, ma della Storia in genere, ancora oggi soffre di narrazioni ormai fossilizzate e stereotipate.
Narrazioni che vanno dal crollo apocalittico, fino a quello della “caduta senza rumore”, espressione resa celebre dal grande storico italiano Arnaldo Momigliano.
Ora, tuttavia entrambe queste narrazioni, prese così come sono, non tengono spesso in conto delle contingenze storiche, delle dinamiche tra i protagonisti e degli eventi che davvero accadono in questo anno così importante della Storia romana.
Proviamo quindi a tracciare precisamente cosa succede per davvero negli anni tra il 476 e il 480, e cerchiamo di capire cosa abbia davvero significato, anche per i contemporanei, l’anno 476 d.C.
Una necessaria premessa: per capire appieno le dinamiche degli avvenimenti di cui parleremo in questo articolo, è necessario aver ben presente la differenza tra impero, inteso come Stato, e imperium, e di conseguenza il fatto che era possibile dividere il potere imperiale senza separare lo Stato.
C’erano più imperatori colleghi, che si spartivano l’imperium, ma l’impero era uno e uno solo.
Rimando ad alcuni approfondimenti sul tema, che consiglio di leggere prima di proseguire con la lettura:
Impero e imperium. Una necessaria distinzione.
Occidente e Oriente. Una lunga storia di suddivisione del potere
L’ascesa al trono di Romolo Augusto
Per prima cosa, stabiliamo subito cosa non succede nel 476: non viene deposto l’ultimo imperatore romano in Occidente.
Infatti, il giovane Romolo Augusto, che viene messo sul trono imperiale dal padre Flavio Oreste, è a tutti gli effetti un usurpatore – mai riconosciuto dall’imperatore in Oriente dell’epoca, ovvero Zenone.
L’ultimo a detenere, almeno nel nome, l’imperium sull’Occidente è infatti Giulio Nepote, che aveva avuto la benedizione di Zenone e del suo predecessore, Leone II, per diventare imperatore in Occidente.
Giulio Nepote arriva nel 474 in Italia con un esercito, per deporre il precedente imperatore “fantoccio”, Glicerio, messo sul trono dal magister militum et patricius germanico di turno (Gundobado, nipote del celebre Ricimero).
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Nel 475, Giulio Nepote assegna il comando delle truppe in Gallia meridionale al suo magister militum praesentalis, Flavio Oreste.
Un personaggio davvero molto particolare: è stato segretario di Attila e al suo servizio fino al 452, dopodiché, pur non emergendo più molto nelle fonti, Oreste di fatto assiste e “sopravvive” a tutti quei grandi eventi storici che avevano caratterizzato la seconda metà del V secolo fino a quel momento – la battaglia di Capo Bon del 468, la battaglia di Arelate del 471, il sacco di Roma e l’uccisione dell’imperatore Antemio da parte di Ricimero nel 472.
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Insomma, Flavio Oreste ha visto passare davanti ai suoi occhi moltissimi eventi, e sa che ora può essere anche il suo momento per fare la sua mossa e puntare direttamente al vertice del potere – poiché ha ambizioni ben più alte che non fare il magister militum praesentalis di Giulio Nepote.

Così, Oreste raduna le sue truppe, tra le quali un grande contingente di foederati (o forse meglio “mercenari” in questo caso) di varia provenienza, in particolare Eruli, Sciri e Rugi, e nell’agosto del 475 si dirige su Roma, costringendo Giulio Nepote a fuggire a Ravenna prima e, a settembre, in Dalmazia, a Salona.
Qui, Nepote resterà imperatore de iure fino alla sua morte nel 480, come vedremo più avanti.
Anche se Oreste ha preso finalmente il potere, fa passare da settembre fino addirittura a fine ottobre del 475, prima di mettere sul trono e cercare di ufficializzare la posizione del giovane figlio, Romolo (passato alla Storia col diminutivo di “Romolo Augustolo”) – e sarà infatti solo a fine ottobre che si farà nominare dal figlio come patricius, la carica all’epoca più ambita dai grandi “signori della guerra” del periodo che militano nell’esercito romano e che davvero tirano le fila del potere, almeno in Occidente.
Come mai Oreste attende quasi due mesi? E come mai in questi due mesi Zenone, imperatore in Oriente e maggior sostenitore di Nepote, apparentemente non fa nulla per aiutare il suo collega?
La risposta è semplice: Zenone, in quel momento, non è sul trono.
Anzi, ha perso la sua posizione, similmente a Nepote, ed è impegnato in una dura guerra civile per riconquistare il suo seggio a Costantinopoli.
Silenzio da Oriente. La guerra civile tra Zenone e Basilisco
Nei cruciali mesi del “colpo di Stato” di Flavio Oreste, a Oriente si sta consumando la guerra tra Zenone, che sta appunto cercando di riprendere il suo trono, e l’usurpatore Basilisco – il disastroso comandante della flotta romana a Capo Bon nel 468 e, almeno nelle fonti più tardi, principale responsabile della disfatta.
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Zenone è stato spodestato dal suo trono prima ancora del collega in Occidente, nel gennaio del 475, venendo costretto a fuggire da Costantinopoli.
Ora, se la situazione in Oriente fosse normale, è chiaro che Zenone avrebbe tutto l’interesse a intervenire per aiutare il collega in difficoltà, e noi probabilmente assisteremmo a un intervento, militare o di altra natura, contro Oreste.
Tuttavia, sia Zenone che Basilisco sono evidentemente impegnati in questioni ben più pressanti. E questo è il motivo principale per cui, in quei mesi cruciali, non assistiamo né a interventi da Costantinopoli (che negli anni precedenti non sono usualmente mai mancati), né alla ratifica o al rifiuto di Romolo Augusto da parte dell’imperatore in Oriente.

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L’attesa di tale ratifica o rifiuto è del resto il motivo dell’attesa di quasi due mesi di Oreste.
Così Oreste alla fine, pur non avendo l’appoggio da parte dell’imperatore a Costantinopoli, decide di procedere ugualmente.
Tuttavia, il mancato appoggio della corte romana orientale è il problema meno grave che Oreste si trova ad affrontare.
AD 476. Odoacre e la rivolta dei foederati contro Oreste
Uno dei primi veri problemi che Oreste deve gestire è infatti il suo contingente di foederati germanici (gli stessi che lo hanno aiutato a spodestare Nepote).
Ormai da qualche anno, questi guerrieri sono guidati da un personaggio che sta per diventare molto celebre: Odoacre.
Odoacre è del resto già da tempo un protagonista piuttosto attivo della Storia romana di questi anni.
Fino al 470 forse lo troviamo in Gallia (le fonti purtroppo non sono chiarissime), mentre siamo piuttosto sicuro che nel 472 sia con Ricimero quando questi sconfigge e giustizia Procopio Antemio a Roma.
Anzi: è anche possibile che Odoacre fosse prima dalla parte di Antemio e che abbia poi cambiato sponda, quando le cose si mettevano forse troppo male.
Odoacre e i suoi uomini sono da almeno tre anni tra Gallia meridionale e Italia, al servizio imperiale. Alcuni di questi guerrieri lo sono probabilmente da ancora più tempo, avendo già fatto parte dell’esercito di Ricimero prima, e di Gundobado poi, e questi uomini sono quasi certamente desiderosi di avere finalmente stabilità per loro stessi e, presumibilmente, per le loro famiglie.
Odoacre e i suoi uomini, probabilmente tra primavera ed estate del 476, richiedono quindi a Oreste terre in Italia nelle quali stabilirsi, in cambio del loro servizio e, soprattutto, dell’aiuto che gli hanno dato nel salire al potere.
Del resto, era stato lo stesso Oreste a promettere loro tali terre, a titolo di hospitalitas.
Tuttavia, pensando forse di liquidare la questione più facilmente, semplicemente sembra che rifiuti di concedere a Odoacre e i suoi quanto pattuito.
Il patricius non si rende però conto di non essere davvero nella posizione di poter operare una mossa del genere senza conseguenze.
I foederati di Odoacre, viste negate le terre promesse, si rivoltano, costringendo Oreste a trincerarsi a Ticinum (l’odierna Pavia), nella quale spera di poter resistere al riparo delle sue mura.
Inizia così un assedio del quale non abbiamo purtroppo i dettagli – sfortunatamente per noi, una costante delle fonti di questo periodo.

Sappiamo solo che l’assedio di Ticinum si risolve infine con la vittoria di Odoacre.
Oreste è catturato, portato a Piacenza e viene giustiziato a fine agosto del 476. Ironicamente, esattamente un anno dopo la sua rivolta contro Giulio Nepote.
La guerra, tuttavia, non è ancora finita.
Il fratello di Oreste, Paolo, è ancora in armi presso Classe, il porto di Ravenna.
Odoacre marcia contro di lui con le sue forze, sconfiggendo e uccidendo Paolo in battaglia, presso una non meglio identificata località chiamata semplicemente Pineta da una delle nostre fonti, l’Anonimo Valesiano.
Vinto anche questo ultimo scontro, Odoacre entra, infine, a Ravenna.
Il potere è effettivamente, ora, nelle sue mani.
4 settembre 476. La deposizione di Romolo Augusto
Tuttavia, invece di diventare l’ennesimo magister militum et patricius dell’imperatore fantoccio di turno (cosa che ormai sarebbe stata totalmente normale e in suo potere ottenere), fa una cosa che prima di lui nessuno aveva osato fare.
Il 4 settembre del 476, Odoacre entra a Ravenna, e decide di deporre Romolo Augusto.
Questo forse anche perché, a seguito della vittoria su Paolo, Odoacre è stato proclamato rex dai suoi uomini.
Come è noto, Romolo Augusto viene risparmiato da Odoacre. L’Anonimo Valesiano ci dice che Odoacre risparmia la vita al giovane imperatore “avendo pietà della sua giovane età” – Romolo all’epoca ha appena quattordici anni.
Il deposto imperatore viene poi mandato a vivere in Campania, in esilio dorato, con una rendita, insieme ai suoi parenti. Dalle fonti sappiamo che, quasi certamente, Romolo è vivo, e la sua pensione confermata, ancora sotto il regno di Teoderico, decenni dopo.
Una volta preso il potere a Ravenna, Odoacre invia a Zenone le insegne imperiali occidentali, richiedendo per se stesso solo il titolo di patricius.
Infatti, proprio a settembre Zenone rientra finalmente a Costantinopoli da vincitore della guerra civile contro Basilisco e riprende la porpora che gli era stata sottratta – e che manterrà infine fino alla morte, nel 491.
Metaforicamente parlando, Zenone non fa insomma in tempo a sedersi di nuovo sul trono imperiale, che riceve l’ambasceria del Senato romano inviatagli da Odoacre con le insegne imperiali occidentali, insieme alla formale sottomissione e alla richiesta, come accennato, del titolo di patricius.
Ora, di questo famoso gesto della riconsegna delle insegne imperiali a Zenone bisogna comprendere molto bene il vero significato, specialmente politico.
Si tratta infatti di qualcosa di molto più complesso di quello che spesso continuiamo ancora a raccontarci.

Zenone, Odoacre, Giulio Nepote. Un delicato gioco di potere.
Con la riconsegna delle insegne imperiali occidentali a Zenone, Odoacre non riconosce certo la fine di uno Stato – l’impero romano naturalmente non è finito, e la distinzione tra due entità separate Occidente-Oriente è tutta nostra, e questo Odoacre, uomo del suo tempo, naturalmente lo sa benissimo.
Quello che Odoacre riconosce (o meglio, vorrebbe venisse riconosciuto) è che il potere imperiale, l’imperium, di quello stesso Stato, ovvero l’impero romano (che nei loro occhi comprende ancora anche l’Italia), è ora riunito nelle mani di una persona sola, ovvero Zenone.
E sappiamo bene, come lo sanno allora, come la riunione dell’imperium di tutto l’impero in capo a un solo individuo, non sia certo una novità o qualcosa di così sconvolgente.
In tutto questo, Odoacre certo non ignora l’esistenza, la carica e il ruolo di Giulio Nepote in Dalmazia.
Anzi, operando il gesto della riconsegna delle insegne imperiali a Zenone, e non a Nepote, il messaggio politico è chiarissimo: Odoacre punta a non riconoscere Nepote come imperatore suo superiore.
Pur sottomettendosi formalmente all’impero romano, Odoacre vuole evidentemente governare in autonomia, senza una presenza vicina e ingombrante come quella di un imperatore.
Preferisce governare di facciata come patricius di Zenone, lontano a Costantinopoli, ma di fatto come rex, come lo hanno acclamato i suoi uomini.
Anche Zenone è ben conscio dell’esistenza di Giulio Nepote, collega da lui riconosciuto, e si limita a dare a Odoacre la risposta per lui più ovvia: non può essere lui a fare Odoacre patricius in Occidente poiché c’è già un imperatore collega (quindi con potere anche sull’Italia) al quale sottoporre tale richiesta.
Secondo alcune delle nostre fonti, proprio nello stesso periodo anche Giulio Nepote invia un’ambasceria a Zenone, chiedendo che gli sia riconosciuto il potere imperiale e il governo sull’Italia.
Ora, Zenone si trova in una posizione difficilissima.
Infatti chiaramente accetta la richiesta, ma è ben consapevole che la situazione non è che di facciata.
Il potere effettivo è, naturalmente, nelle mani di Odoacre.
Vedete bene quindi come il 476 non è il crollo di uno Stato (anche se la fine dell’imperium si è fatta sentire anche a livello molto pratico e materiale, come ha dimostrato l’archeologia), ma è un delicato gioco di equilibrio di poteri, stranamente uscito dagli schemi usuali che si erano visti fino a quel momento a partire circa dalla metà del V secolo.
Odoacre, come visto, non volendo essere il solito magister militum et patricius germanico il cui potere è sostenuto dalla presenza dell’imperatore occidentale di turno, tenta di disfarsi e staccarsi da eschemi, quelli che avevano seguito personaggi come Ricimero e Gundobado, in tutti i modi.
Per comprendere ancora meglio le dinamiche del 476, possiamo infine guardare a quello che succede pochi anni dopo, ovvero il 480.

AD 480. La mancata spedizione di Giulio Nepote.
Con la rottura dello schema menzionato prima, la situazione in Occidente, nel 480, è ormai un minimo stabilizzata – e, vale la pena ricordarlo, con l’ascesa al potere di Odoacre si assisterà per la prima volta da molto tempo a ben tredici anni senza conflitti o guerre in Italia (fino all’entrata in scena di Teoderico).
Odoacre, forse anche per non attirarsi le eventuali ire di Zenone – che certo, è lontano, ma potrebbe raggiungere l’Italia quando vuole -, in questi anni non mette mai fuori gioco Giulio Nepote.
Quest’ultimo, al contrario, proprio nel 480 sta organizzando una spedizione militare per poter finalmente riportare le insegne imperiali in Italia e riprendere il potere effettivo che gli era stato tolto ormai cinque anni prima.
Anche in questo caso, Zenone certamente appoggerebbe o almeno approverebbe l’impresa, ma è impegnato a combattere un altro tentativo di usurpazione, quello di Flavio Marciano (un figlio di Procopio Antemio), e a fronteggiare i sempre ostili Ostrogoti di Teoderico Strabone.
Questo Teoderico non va ovviamente confuso con il suo giovane omonimo e futuro re d’Italia, Teoderico l’Amalo, che in quegli anni sta combattendo per Zenone.
Anzi, pare proprio che il giovane Teoderico l’Amalo si offra per mettersi al servizio e al seguito di Giulio Nepote in vista della ormai imminente campagna in Italia.
Insomma, se anche la spedizione di Nepote partisse, Zenone avrebbe nuovamente altre grane più pressanti e vicine alle quali pensare.
Particolarmente i conflitti con gli Ostrogoti, con Teoderico Strabone prima e Teoderico l’Amalo poi, occuperanno Zenone addirittura fino al 490. Basti ricordare che nel 486 Teoderico l’Amalo, i cui rapporti con Zenone si sono intanto gravemente guastati, arriva addirittura ad assediare Costantinopoli.
Tuttavia, la campagna di Nepote in Italia non si concretizzerà mai.
L’ultimo imperatore in Occidente infatti, nel 480, finisce assassinato – e qualcuno ha voluto vedere in questa congiura la longa manus di Odoacre, ma la verità è che è impossibile stabilirlo.
Alla morte di Nepote, Odoacre occupa la Dalmazia e continua a governare de iure come sottoposto di Zenone, di fatto come rex indipendente.
E Zenone, che ha continuamente problemi da risolvere a Oriente, non può quindi fare altro che riconoscere Odoacre come suo rappresentane imperiale in Italia.
Questo lo vediamo bene sempre nello stesso 480, in occasione di una particolare ambasceria che raggiunge Zenone addirittura…dalla Gallia.

L’ambasceria dei Romani di Gallia
Nel 480 infatti, alla notizia della morte di Nepote, i Romani della Gallia sono preoccupati.
Si tratta di quei Romani che abitano in quello che è noto ai Franchi come il regnum romanorum di Siagrio, oggi meglio noto appunto come “dominio di Siagrio” o “dominio di Soissons”.
Leggi anche Il Regnum Romanorum di Soissons (461-486). Gli ultimi Romani in Gallia
Questi Romani di Gallia si sentivano, almeno formalmente, rappresentati da Giulio Nepote, mentre si ribellano all’idea di doversi sottomettere a Odoacre – al quale, per inciso, dei territori al di là delle Alpi non è probabilmente mai importato nulla.
Nel 480, sia questi “Galli d’Occidente” (come li chiama una delle nostre fonti di lingua greca, Candido) che Odoacre inviano ambascerie a Zenone, per dirimere la questione.
Zenone, appunto per il fatto di dover riconoscere Odoacre come suo formale rappresentante in Occidente, o almeno in Italia e Dalmazia, non può fare altro che dare ragione a quest’ultimo e riconoscerne l’autorità.
E questa ultima risposta di Zenone, che a noi forse può sembrare strana ma che, a ben guardare, è perfettamente in linea con la situazione reale, indica molto bene quali siano i veri rapporti di forza e di potere subito dopo il 476 e almeno fino al 480.
Cosa ne pensavano le fonti dell’epoca e di poco posteriori del fatidico anno 476?
Ne ho parlato in questo breve video:
Bibliografia essenziale
G. Cascarino 2012, “L’esercito romano. Armamento e organizzazione. Vol IV.”
A. Frediani 2010, L’ultima battaglia dell’impero romano
P. Heather 2008, La caduta dell’impero romano. Una nuova Storia.
A. Kaldellis 2023, The New Roman Empire. A History of Byzantium
P. MacGeorge 2003, Late Roman Warlords
G. Ravegnani 2018, I Bizantini in Italia
W. Treadgold 1997, A History of the Byzantine State and Society
B. Ward-Perkins 2010, La caduta di Roma e la fine della civiltà

3 thoughts on “476 d.C. Cosa è successo davvero?”