Belisario è sicuramente uno dei più grandi comandanti della Storia romana (e non solo).
Questo non soltanto alla luce delle sue vittorie, spesso spettacolari e ottenute con poche risorse e uomini, ma anche perché spesso dimostra un acume tattico e un vero e proprio genio davvero fuori dal comune.

Ne è un caso eclatante, seppur poco noto, l’assedio di Palermo del 535.
Da poco conclusa la campagna contro i Vandali nel 534 e ottenuto l’onore di un trionfo, nonché il consolato, Belisario è richiamato all’azione da Giustiniano dopo pochi mesi: è arrivato il momento, e il pretesto giusto, per finalmente iniziare l’attacco al regno degli Ostrogoti (parleremo approfonditamente del 𝘤𝘢𝘴𝘶𝘴 𝘣𝘦𝘭𝘭𝘪 in un futuro articolo).
Così, mentre il generale Mundo attaccherà da nord-est, avanzando via terra dalla Dalmazia, Belisario condurrà il suo attacco da sud, facendo vela con una flotta e un esercito di appena 10.000 uomini verso la Sicilia – ma fingendo e annunciando, dietro indicazione di Giustiniano, di voler sbarcare a Cartagine.
Per facilitare le operazioni, Giustiniano nel frattempo porta dalla sua parte (almeno apparentemente) anche i Franchi, donando loro un’ingente somma di denaro e accompagnando il dono con una lettera, nella quale rivendica il possesso imperiale della Penisola e la comunanza religiosa tra Romani e Franchi, in contrasto con la fede ariana dei Goti.
Belisario intanto sbarca in Sicilia, a Catania, e sottomette gran parte dell’isola, compresa l’importante città di Siracusa, senza colpo ferire.
Questo, almeno, finché Belisario non giunge sotto le mura di Palermo.
La guarnigione gota di Palermo, città che evidentemente è fortificata meglio degli altri insediamenti siciliani, non intende arrendersi, e intima a Belisario di andarsene.
Belisario si rende ben presto conto che Palermo è impossibile da prendere via terra. In più, un assedio gli porterebbe via troppo tempo, e un assalto gli costerebbe centinaia di uomini che non può permettersi di perdere.
Il generale opta così per una tattica alternativa: colpirà sì con il suo esercito terrestre…ma dal mare.
“[…] ordinò che la flotta entrasse nel porto, il quale si estendeva fino alle mura. Poiché quello si trovava fuori della cinta ed era deserto.”, nelle parole di Procopio di Cesarea.
Gli alberi delle navi di Belisario sono più alti delle mura di Palermo, per cui il generale ordina che tutte le scialuppe disponibili siano elevate in cima agli alberi…cariche di arcieri.
I soldati di Belisario, ora in posizione sopraelevata, possono bersagliare i Goti di guardia sulle mura.
Questi ultimi, terrorizzati e presi totalmente alla sprovvista da questo mossa, si arrendono e cedono Palermo. Con questo geniale colpo di mano, la Sicilia è ora di nuovo riconquistata totalmente.
Belisario può concludere la prima tappa della guerra in trionfo: l’ultimo giorno del suo consolato entra a Siracusa (una coincidenza, ci dice Procopio di Cesarea), “acclamato dall’esercito e gettando a tutti monete d’oro”.

Belisario si prepara così a svernare a Siracusa, da dove ripartirà l’anno successivo: dapprima per una fulminea tappa a Cartagine, per affrontare la rivolta di Stotzas tra marzo e aprile, e da lì, tornato in Sicilia, farà poi vela per l’Italia, per cominciare la riconquista della Penisola.
[Leggi anche La rivolta di Stotzas (536-537). Guerra civile nell’Africa giustinianea]
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Bibliografia
Procopio di Cesarea, 𝘎𝘶𝘦𝘳𝘳𝘦
G. Ravegnani 2009, Soldati e guerre a Bisanzio. Il secolo di Giustiniano



