Anche se la più famosa, e definitiva, guerra tra Romani e Daci viene combattuta agli inizi del II sec. d.C., sotto il regno dell’imperatore Traiano, questo non fu l’unico conflitto che vede coinvolti i due popoli.
Anche se il progetto non si ha mai a realizzare, sappiamo dalle fonti che Giulio Cesare, prima di morire assassinato nel 44 a.C., ha pianificato l’inizio di una campagna contro i Daci.
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Abbiamo poi notizia di altri conflitti, su scala più o meno locale, e di isolati episodi bellici tra i due popoli – ne è un caso, del quale senz’altro parleremo ancora in futuro, della vittoriosa campagna di Marco Licinio Crasso, nipote dell’omonimo morto a Carre, del 29 a.C. contro Bastarni e Daci.

Poco meno di sessant’anni dopo si arriverà invece a una guerra aperta in piena regola, con le campagne condotte contro i Daci dall’imperatore Domiziano, figlio di Vespasiano e terzo, nonché ultimo, rappresentante della dinastia flavia.
Le ostilità si aprono tra la fine dell’85 e l’inizio dell’86.
I Daci, da poco ritrovata l’unità del loro regno e guidati inizialmente dal loro re Duras (Diurpaneo, in alcune fonti), hanno intenzione di scrollarsi di dosso la troppo ingombrante presenza del potente vicino romano oltre il Danubio.
I Daci decidono così di oltrepassare il Danubio, invadendo e saccheggiando il territorio della Mesia (la moderna Bulgaria).
L’attacco è un successo per i Daci, che annientano le forze romane della regione (esclusi i 𝘤𝘢𝘴𝘵𝘳𝘢 di Oescus e Novae), addirittura sconfiggendo in una battaglia campale il proconsole Gaio Oppio Sabino, che resta ucciso durante il combattimento.
La risposta di Domiziano non si fa attendere.
Sempre tra fine dell’85 e inizio dell’86, l’imperatore raduna una forza di varie vessillazioni e marcia verso la Mesia, accompagnato dai pretoriani e da Cornelio Fusco, il prefetto del pretorio.
Nelle nostre fonti principali, Svetonio e Cassio Dione, non abbiamo notizie molto dettagliate degli anni che seguono.
Almeno secondo questi due autori, dopo essere giunto in Mesia Domiziano non prende parte attiva alle operazioni, affidando le sue truppe proprio a Cornelio Fusco.
Da quanto è possibile ricostruire, incrociando i pochissimi dati a disposizione, nell’86 viene tentata una spedizione punitiva romana oltre il Danubio.
Tra 86 e 87, diviene re dei Daci, per abdicazione di Dura, colui che sarà il protagonista della guerra contro Traiano: l’ultimo sovrano dei Daci, Decebalo.

Forse inizialmente intimorito dalla potenza romana (dobbiamo immaginare che non possa radunare una forza altrettanto numerosa), Decebalo cerca di aprire trattative di pace, ma Domiziano risponde inviandogli contro Cornelio Fusco.
Decebalo risponde, seppur sempre per via diplomatica, per le rime: richiede nuovamente di suggellare una pace, ma a patto che ogni Romani gli paghi annualmente due oboli.
Non sappiamo poi nulla di certo sull’andamento del conflitto dell’86.
Sappiamo però che la guerra non termina, che presto Cornelio Fusco scompare dalle fonti (e il comando dell’esercito romano passa ad altri) e, sia nelle fonti già citate che nell'”Agricola” di Tacito, si parla di eserciti romani e uomini perduti in Dacia.
Ciò deve quasi sicuramente significare che la spedizione romana sia un totale fallimento, e che Cornelio Fusco deve essere probabilmente morto in battaglia.
Segue quindi un anno di tregua (almeno, questo è ciò che si riesce a evincere), durante il quale Domiziano fa i preparativi del caso per vendicare la sconfitta subìta.
Affidato il comando dell’esercito a Lucio Tettio Giuliano, quest’ultimo nell’88 avanza nuovamente in Dacia.

Secondo Dione, Giuliano pone grande cura e attenzione alle sue truppe, particolarmente al loro morale, come si evince da questo passo (LXVIII, 10, 1):
“[…] che i soldati scrivessero i loro nomi, così come quelli dei loro centurioni, sui propri scudi, in modo che quelli che avessero dovuto compiere un’azione particolarmente buona o vile potessero essere riconosciuti più facilmente.”
[Leggi anche Gli scudi dei Romani (VIII sec. a.C. – XV sec.)]
Questa volta, però, la campagna di Giuliano si conclude con miglior successo di quella del suo predecessore: abbiamo infatti notizia di una vittoria romana a Tapae, lo stesso luogo dove avverrà, quasi quindici anni dopo, una delle battaglie tra Traiano e Decebalo.
Non abbiamo però alcun dettaglio sulla battaglia.
Tutto ciò che sappiamo è che in molti cadono dalla parte dei Daci, e tra gli altri un certo Vezinas, secondo in comando di Decebalo. Quest’ultimo, presente sul campo di battaglia, non trovando una via di fuga si finge morto, riuscendo così a fuggire nottetempo.
I Romani avanzano verso la sua capitale, Sarmizegetusa Regia, ma giunti alla città si ritirano, credendo di trovare un altro esercito ad attenderli un esercito pronto a riceverli – forse segno, come sarà per le future campagne di Traiano, che lo scontro a Tapae, seppur vittorioso, sia stato molto duro.
Non vi è però nessun esercito dacico pronto. Si tratta infatti di uno stratagemma di Decebalo, che ha fatto abbattere diversi alberi e ha creato con i tronchi tagliati, di fatto, dei “manichini”, sui quali ha apposto delle armature per ingannare, da lontano, i Romani – se la Storia sia vera o meno non lo sappiamo, ma non dovrebbe sorprendere, poiché tali trucchi sono stati usati con successo ancora in conflitti recentissimi, come la Seconda Guerra Mondiale.

Domiziano, nonostante la vittoria a Tapae e la ritirata di Decebalo, non può sfruttare la vittoria.
Deve infatti affrontare due nuove minacce: il tentativo di usurpazione di Lucio Antonio Saturnino nella Germania Superiore, e la rivolta armata delle popolazioni al confine della Pannonia (Quadi, Marcomanni, Sarmati) che fino ad allora hanno riconosciuto l’autorità romana.
L’imperatore si trova così costretto, nell’89, a chiedere una pace a Decebalo, dopo che aveva così sdegnosamente rifiutato l’offerta di qualche anno prima.
La guerra si conclude di fatto con una sorta di “pareggio” tra Roma e la Dacia.
Fonti
Cassio Dione, Storia romana
Svetonio, Vite dei Cesari
Tacito, Agricola
