Dopo la morte di Costantino II nel 340 a dividersi l’𝘪𝘮𝘱𝘦𝘳𝘪𝘶𝘮 sullo Stato romano sono rimasti due dei figli di Costantino: Costante, che governa sull’Occidente, e Costanzo II, in Oriente.
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Agli inizi del 350, tuttavia, la situazione cambia bruscamente.
Costante, un sovrano generalmente poco amato e che non ha più l’appoggio del suo esercito, viene destituito e giustiziato.
Il 18 gennaio 350 si è infatti autoproclamato Augusto, con l’appoggio di gran parte degli ufficiali e delle legioni dell’Occidente, il generale Magnenzio – un militare esperto dalla lunga e brillante carriera -, rompendo la continuità della dinastia di Costantino.
Nei mesi successivi Magnenzio, pur non dovendo fronteggiare Costanzo II poiché impegnato contro i Sasanidi, incontra però molto presto seri problemi.
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Non solo deve ottenere il controllo dell’Italia con la forza (eliminando l’unico suo oppositore, Nepoziano, un membro anch’egli della dinastia costantiniana), ma nell’avanzare verso il Danubio per prendere il controllo delle province illiriche, deve anche fare i conti con un altro usurpatore, elevato alla porpora dalle legioni pannoniche nella città di Mursa (presso il medio corso del Danubio): Vetranio.
Magnenzio a questo punto cerca un accomodamento sia con Vetranio che con Costanzo II.
Se con il primo ottiene un formale patto di alleanza, Costanzo II al contrario, che finalmente è stato raggiunto dalla notizia della morte di Costante, non intende trattare con l’usurpatore.
Firmata una pace con i Sasanidi, Costanzo II muove con il suo esercito dall’Oriente verso la frontiera danubiana.
A Eraclea Sintica, in Tracia, Costanzo è raggiunto da un’ambasceria congiunta di Magnenzio e Vetranio, che gli propongono un collegio imperiale a tre.
Costanzo rifiuta categoricamente l’offerta, ma non tratta i due usurpatori allo stesso modo.
Infatti, Costanzo II convince Vetranio e le sue truppe a passare dalla sua parte – e a Vetranio, da quanto ne sappiamo, sarà concesso di ritirarsi a vita privata in Bitinia senza conseguenze -, atto che viene formalizzato a Serdica alla fine del 350.
Nei primi mesi del 351, Costanzo II fa le sue mosse per intaccare il potere di Magnenzio.
Nomina suo cugino Gallo (uno dei pochi sfuggiti, insieme a Giuliano, alla purga degli eredi di Costantino) a Cesare, e quindi suo successore. Riesce poi a convincere gli Alamanni ad attaccare la frontiera renana, per impedire a eventuali rinforzi di raggiungere l’usurpatore, dopodiché invia un suo ambasciatore, Filippo, presso Magnenzio.
Il vero compito di Filippo, che fa all’usurpatore un’offerta volutamente inaccettabile (tenere il solo 𝘪𝘮𝘱𝘦𝘳𝘪𝘶𝘮 sulla Gallia), è constatare lo stato delle forze di Magnenzio e seminare il dubbio tra le stesse – cosa che, secondo il più tardo Zosimo, fa in un discorso con il quale taccia i soldati di ingratitudine verso la dinastia di Costantino.
In risposta, sempre secondo Zosimo, un’ambasceria di Magnenzio invita Costanzo II ad arrendersi e lasciargli il governo su tutto impero, ma l’imperatore avrebbe risposto che “desiderava solo che gli dèi e il fato vendicassero Costante, dicendo che avrebbe combattuto con il loro aiuto”.
Anche se riportata in una fonte tarda, la menzione degli “dèi”, anche se Costanzo II è un cristiano vicino all’arianesimo, non deve stupire. Siamo ancora in un momento di transizione nel quale l’imperatore, quale 𝘱𝘰𝘯𝘵𝘪𝘧𝘦𝘹 𝘮𝘢𝘹𝘪𝘮𝘶𝘴, è in realtà garante per tutte le religioni all’interno dell’impero (come era stato di fatto il padre Costantino).
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Compreso che da Costanzo II non ci sarà resa, Magnenzio finalmente muove verso est.
La città di Siscia (oggi Sisak in Croazia) è presa al primo assalto e rasa al suolo. Magnenzio spera di ripetere il colpo con Sirmio, ma la popolazione e la guarnigione resistono tenacemente, costringendolo a ritirarsi su Mursa.
La città gli chiude le porte in faccia, costringendolo a un assedio. Costanzo II, saputo che il suo avversario è a Mursa, marcia verso la città.
Magnenzio cerca di sfruttare uno stadio fuori città per cogliere Costanzo II di sorpresa, facendovi nascondere delle unità dalla legione dei 𝘊𝘦𝘭𝘵𝘢𝘦 (un’unità che troviamo ancora nella 𝘕𝘰𝘵𝘪𝘵𝘪𝘢 𝘋𝘪𝘨𝘯𝘪𝘵𝘢𝘵𝘶𝘮). Ma i difensori di Mursa si accorgono dello stratagemma e riescono ad avvisare Costanzo, che riesce ad annientare la minaccia.
Finalmente, alla fine di settembre i due eserciti si schierano uno di fronte all’altro per affrontarsi in una battaglia campale.
Costanzo II coglie anche i probabili frutti degli sforzi di Filippo, quando poco prima dello scontro passa dalla sua parte il tribuno della 𝘴𝘤𝘩𝘰𝘭𝘢 𝘢𝘳𝘮𝘢𝘵𝘶𝘳𝘢𝘳𝘶𝘮 Claudio Silvano con tutto il suo reggimento di cavalleria pesante.
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Non conosciamo esattamente la consistenza delle due forze in campo, ma sappiamo senz’altro che l’esercito di Costanzo II, che comprende le sue truppe orientali (tra cui un importante corpo di arcieri a cavallo dall’Armenia), quelle illiriche di Vetranio e i soldati che hanno defezionato Magnenzio, è numericamente superiore – forse fino a 60.000 uomini.
Magnenzio può invece forse contare su 40.000 soldati, tra cui numerosi contingenti germanici di Franchi e Sassoni, comandati dal suo generale Romolo.
Le linee generali della battaglia ci sono note da una delle orazioni di Giuliano, il futuro imperatore, dalle quali conosciamo anche lo schieramento di Costanzo, il quale dispone la sua cavalleria pesante sui fianchi con il supporto degli arcieri (probabilmente gli arcieri a cavallo armeni), la sua fanteria pesante al centro anch’essa supportata, alle spalle, da arcieri e frombolieri.
La battaglia si scatena sul fianco sinistro dello schieramento di Costanzo, dove i catafratti e la cavalleria armena si abbattono contro gli ausiliari germanici di Magnenzio, per la maggior parte senza armature – ma che nonostante questo resistono caparbiamente.
Probabilmente c’è anche un tentativo di sfondamento al centro sempre da parte della cavalleria pesante, ma senza alcun esito.
Sia Zosimo che Giuliano descrivono il grande valore e coraggio di entrambi gli eserciti in campo.
Nel corso della battaglia, sappiamo da Zosimo che Romolo cade in combattimento, trafitto da una freccia scagliata da Menelao, comandante degli arcieri a cavallo armeni – a sua volta però, pare, ucciso proprio da Romolo, che lo riesce a raggiungere e colpire, prima di cadere.
Dopo ore di combattimento, lo scontro, che va avanti anche dopo il tramonto, è infine deciso da una manovra avvolgente della cavalleria di Costanzo sull’ala sinistra avversaria, con la quale i legionari al centro sono presi alle spalle.
L’esercito di Magnenzio viene messo in rotta, ma la guerra non è ancora finita – l’usurpatore sarà infine sconfitto nel 353.
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La battaglia di Mursa chiede un tributo di sangue estremamente alto per entrambi gli eserciti in campo.
Magnenzio perde ben due terzi delle sue truppe, ma Costanzo a sua volta deve contare come perduto quasi la metà del suo grande esercito.
Con probabilmente più di 50.000 morti in un solo giorno, la battaglia di Mursa è il più sanguinoso scontro mai combattuto tra due eserciti romani nel corso di una guerra civile.
Fonti principali
AA. VV., Panegirici Latini
Zosimo, Storia nuova
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