L’opinione comune moderna, quando si parla di mercenari nel periodo medievale è rinascimentale, è usualmente molto negativa.
Il mercenario, nello stereotipo, è un personaggio avido di ricchezza, senza scrupoli, pronto a cambiare schieramento o a disertare al minimo segno che il suo “datore di lavoro” sarà perdente o non potrà pagarlo.

Per quanto questa visione abbia anche agganci molto forti con la realtà, questo è il lascito del pensiero di diversi umanisti – per citarne uno, Niccolò Machiavelli.
Anche se l’uso di moltissime truppe straniere presso i Romani – truppe stipendiate per servizi temporanei e non inquadrate nei ranghi dell’esercito – si può rintracciare già nei secoli precedenti (chiaramente anche in epoca repubblicana e alto imperiale), tra XIII e XV sec. l’impero romano fa un grandissimo uso di mercenari rispetto al passato.
Qual è l’opinione dei contemporanei rispetto a tale impiego su larga scala? Cosa ci dicono le fonti?
Le opinioni dei contemporanei divergono non poco, e principalmente si possono individuare due correnti: una a favore dei mercenari, o che ne considera l’uso almeno necessario, e un’altra che critica fortemente l’impiego di truppe stipendiate straniere.
Teodoro II Lascaris, imperatore di Nicea dal 1254 al 1258, è uno dei primi, nei suoi scritti, a porsi il problema.
Prima dell’ascesa al trono, considera l’impiego di mercenari un necessario mezzo per la difesa dell’impero, ma successivamente, in una lettera al suo maestro Niceforo Blemmide, si ritrova a preoccuparsi dell’alto costo di mantenimento di queste truppe – col passare del tempo, saranno poi introdotte apposite tasse per il sostentamento non solo delle truppe romane, ma anche dei soldati mercenari.
Teodoro II, che cerca di attuare politiche per l’arruolamento di più Romani, si chiede se in qualche modo potrebbe ridurre le dimensioni dell’esercito o la quantità di denaro necessaria per il mantenimento delle forze armate, ma vede in entrambe le decisioni un beneficio per i nemici dell’impero.
L’arruolamento di mercenari per Teodoro II è comunque inevitabile, considerando che nei suoi eserciti è presente una notevole percentuale di cavalieri latini.
[Leggi anche Gli ultimi eserciti romani (XIII-XV sec.). Dalla Quarta Crociata alla fine dell’impero]
Apertamente a favore dei mercenari, forse viste anche le sue esperienze positive in merito (e dovendo difendere, nei suoi scritti, il suo operato) è Giovanni Cantacuzeno, grande protagonista del XIV secolo e imperatore dal 1347 al 1354.

In particolare non solo ne apprezza la fedeltà – e ne dà prova con più esempi, particolarmente riferendosi a mercenari tedeschi -, ma ne accentua anche la mobilità, in molti casi la disciplina e il loro essere sempre già pronti all’azione, quando richiesto.
Di tutt’altro avviso invece sono altri intellettuali di questi ultimi due secoli.
In questo senso, l’autore del trattato del 1304 𝘗𝘦𝘳𝘪 𝘉𝘢𝘴𝘪𝘭𝘦𝘪𝘢𝘴 (“Sulla regalità”), Tommaso Magistro, è per esempio categoricamente contro l’uso di truppe mercenarie, insistendo, un po’ come il Machiavelli due secoli dopo, sulla necessità di formare eserciti e flotte con truppe romane.
Dello stesso avviso è l’intellettuale del XV secolo Pletone, che vorrebbe spingere gli ultimi Paleologi per una ideale divisione della società in Morea in cittadini contribuenti e in soldati nativi, il cui unico scopo sarebbe il mestiere militare – una divisione, all’epoca, inattuabile.
Niceforo Gregora e Giorgio Pachimere, due autori vissuti a cavallo tra XIII e XIV secolo, riconoscono la professionalità e l’abilità militare delle truppe mercenarie, ma in più occasioni sono piuttosto critici, anche se parlano di episodi specifici, più che esprimere un pensiero generale sul mercenariato.
Tuttavia Pachimere individua, per esempio, tra le cause della sconfitta del Bafeo nel 1302 contro gli Ottomani, il fatto che i soldati romani sono demotivati poiché armi e risorse sono state destinate principalmente al contingente di mercenari alani che prende parte allo scontro – contingente che, va ricordato, si sacrifica per coprire la ritirata del resto dell’esercito.
[Leggi La battaglia di Bafeo (1302). La prima vera battaglia tra Romani e Ottomani]
Entrambi gli autori sono poi critici verso i mercenari cretesi del ribelle Alessio Filatropeno, che lo abbandonano, e anzi lo catturano per consegnarlo ad Andronico II dietro dopo essere stati comprati.
Inoltre, le fonti sono estremamente critiche per quanto riguarda la Compagnia Catalana di Ruggero da Fiore, il cui arruolamento causa ben più danni che benefici all’impero – un impero che, se può reggere il sostentamento, tramite denaro o terra, di piccoli gruppi più o meno fissi di mercenari, non è in grado di gestire l’arruolamento di una grande compagnia come quella Catalana.
Infine, molto interessante è anche il giudizio di un romano che governa al di fuori dell’impero: Teodoro Paleologo, marchese del Monferrato dal 1306 al 1338.

Ritrovandosi a osservare la realtà della guerra in Italia, nei suoi scritti è assolutamente contrario all’uso dei mercenari (descritti come crudeli e interessati solo al profitto), arrivando anche a consigliare di evitare di reclutare mercenari che parlino una sola lingua e di non affidare loro terre.
Lo stesso Teodoro, tuttavia, esprime con amaro realismo che è impossibile difendere le proprie terre con il solo utilizzo delle proprie truppe e che, come aveva nei fatti concluso anche Teodoro II Lascaris, il reclutamento di truppe mercenarie è alla fine inevitabile.
Ne è riprova che il figlio e successore al marchesato, Giovanni II Paleologo, sarà uno dei primi a reclutare una delle più famose compagnie di ventura del medioevo, la Grande Compagnia o Compagnia Bianca, comandata dal condottiero John Hawkwood (anche noto col nome italianizzato di Giovanni Acuto)
Bibliografia essenziale
M.C. Bartusis 1997, The Late Byzantine Army. Arms and Society
S. Kyriakidis 2011, Warfare in Late Byzantium 1204-1453
