La sera del 2 agosto 216 a.C., sulla piana dell’Ofanto si è appena consumata una delle più sanguinose disfatte dell’esercito romano: la battaglia di Canne – scontro che non ha bisogno di presentazioni.
Al di là della disfatta, tuttavia, spesso dimentichiamo che molti Romani e loro alleati sono sopravvissuti allo scontro, riuscendo a mettersi in salvo quando è iniziata la rotta e la fuga.
Cosa ne è di loro?

Il primo di cui più o meno tutti sappiamo è il console Varrone, che con una cinquantina di cavalieri, dopo che “o a caso o deliberatamente non si era frammischiato a nessuna schiera di fuggitivi”, trova scampo a Venosa.
Anche se già presso i Romani non avrà grande fama (soprattutto a causa di Tito Livio), il fatto che non venga in realtà redarguito per quanto accaduto non deve stupire.
Da una parte, come dimostrano altri incarichi nel corso della sua carriera, deve essere stato un personaggio molto meno negativo di come lo dipinge Livio – e in futuro probabilmente ci torneremo.
Dall’altra, dobbiamo considerare che, subito dopo Canne, a Roma si crede che siano morti entrambi i consoli (una tragedia immane per lo Stato): sapere che invece dalla battaglia almeno uno dei due sia sopravvissuto, è un sollievo.
Ma a parte Varrone, cosa ne è degli altri soldati romani e degli alleati?
Prima della battaglia con Annibale, i Romani si sono suddivisi in due accampamenti, visti i loro grandi numeri: un accampamento maggiore e uno minore, più vicino al campo di battaglia.
I soldati sopravvissuti si rifugiano in massa nei due campi, in particolare molte migliaia in quello maggiore. I soldati presenti in quest’ultimo riescono a mandare a dire a quelli del campo minore di raggiungerli, fintanto che la notte e i festeggiamenti distraggono i nemici, così che assieme possano poi marciare insieme verso Canosa.
Tuttavia, dal campo più piccolo solo seicento uomini coraggiosi, guidati dal valoroso Sempronio Tuditano, si dirigono verso il campo maggiore, bersagliati dai giavellotti delle squadre di cavalieri numidi.
[Leggi anche Eroi romani. Sempronio Tuditano, eroe di Canne]
Sappiamo da Livio che al campo maggiore giunge anche “un’altra grande schiera”, e che insieme i soldati si mettono poi in marcia verso Canosa – probabilmente col favore delle tenebre.
Livio ci ci dice che si tratta di quattromila fanti e duecento cavalieri, “alcuni in colonna di marcia, altri sbandatisi qua e là per i campi, cosa che non era meno sicura”.

I soldati raggiungono Canosa, dove vengono accolti dagli abitanti tra le mura e nelle loro case: “ricevettero soccorsi in frumento, in vesti, anche nel necessario per il viaggio.”
Si distingue in particolare per la sua generosità una certa Busa, una facoltosa donna apula di nobili natali, alla quale alla fine del conflitto il Senato tributerà grandi onori.
A Canosa si trovano anche quattro tribuni militari, che stanno decidendo sul da farsi, tra cui il figlio del celebre Quinto Fabio Massimo “Temporeggiatore”, e un giovanissimo Publio Cornelio Scipione – il futuro Africano -, al quale è conferito il comando generale.
Secondo la narrazione di Livio, mentre alcuni giovani aristocratici si disperano per la situazione, e addirittura uno di loro propone di abbandonare l’Italia per mettersi al servizio di qualche re straniero, Publio Scipione riporta tutti alla ragione e, sguainata la spada, fa un terribile giuramento a Giove Ottimo Massimo:
“Sulla mia coscienza (così gli dèi mi proteggano), così come io non abbandonerò lo Stato del popolo romano e non permetterò che lo abbandoni un altro cittadino romano; se scientemente manco al giuramento, allora, Giove Ottimo Massimo, possa tu dare la morte più orribile a me, alla mia casa, alla mia famiglia e a ciò che possiedo.
Pretendo che […] giuriate secondo questa formula: chi non giurerà, sappia che questa spada è stata sguainata contro di lui!”
Mentre avviene questo terribile giuramento, a Venosa, dove ha trovato rifugio Varrone, giungono altri 4500 uomini, fuggiti da Canne sparpagliandosi per i campi.
Gli abitanti di Venosa non vogliono essere da meno di Canosa e di Busa, e anzi fanno letteralmente a gara: “diedero a ciascun cavaliere una toga e una tunica e venticinque quadrigati [monete d’argento] a testa e ai fanti dieci quadrigati per ciascuno e armi a coloro a cui mancavano, e si adempì ad ogni altra forma di ospitalità pubblica e privata, e ci si adoperò affinché il popolo di Venosa non fosse superato in attenzioni dalla donna di Canosa.”
Busa stessa, del resto, è ormai in difficoltà, poiché altri superstiti si sono radunati a Canosa, portando il totale dei soldati lì presenti a 10.000 uomini.
Venuto a sapere che Varrone è a Venosa con gli altri soldati, invia subito messaggeri perché informino il console.
Varrone non perde tempo e porta i suoi uomini a Canosa, “e già c’era una qualche apparenza di esercito consolare, e parevano essere in grado di difendersi dal nemico per lo meno con le mura anche se non con le armi”.
Questi sopravvissuti saranno bollati come infami e costretti a restare in armi, pur col divieto di calcare il suolo italico: saranno in breve tempo assegnati al teatro siciliano. Troveranno il riscatto anni solo quattordici anni dopo Canne, sulla pianura di Zama, guidati da Publio Cornelio Scipione. Saranno ricordati dalla Storia come le “legioni cannensi”.
Abbiamo parlato di chi è riuscito infine a mettersi in salvo da Canne…ma, oltre a circa 4000 prigionieri fatti da Annibale, non tutti i soldati hanno abbandonato il campo maggiore, la notte dopo la battaglia.

Vi restano infatti i feriti e coloro che non ne sono sentita di affrontare la fuga, proprio come la maggioranza dei soldati del campo minore.
Il giorno dopo la battaglia, a pomeriggio inoltrato, i sopravvissuti di entrambi i campi si trovano ancora lì, in attesa degli eventi.
Annibale assedia il campo minore e ottiene ben presto (secondo Livio, prima di quanto lui stesso si aspettasse) la resa di entrambi i contingenti, pattuendo di lasciar andare i soldati per un riscatto di “trecento quadrigati a testa per ogni Romano, duecento a testa per ogni alleato, cento a testa per ogni schiavo.”
Questi sopravvissuti, dei quali noi moderni forse possiamo maggiormente comprendere la reazione molto umana, e che saranno poi lasciati andare solo con una tunica indosso, saranno segnati col marchio dell’infamia dai loro stessi connazionali, forse specie dopo l’eroico gesto di Sempronio Tuditano e a seguito del terribile giuramento di Scipione.
[Leggi anche Volones. Gli schiavi-soldato di Roma]
Fonti
Tito Livio, Ab Urbe Condita
G. Melappioni 2023, Le legioni cannensi. L’incredibile storia dei legionari sopravvissuti alla battaglia di Canne
