2 agosto 216 a.C.
La battaglia di Canne, una delle peggiori disfatte della Storia romana, sta volgendo al termine.
Il console Varrone è scappato con una cinquantina di uomini, mentre Lucio Emilio Paolo giace sul campo di battaglia insieme ad almeno 40.000 uomini.
I sopravvissuti romani si rifugiano nel villaggio di Canne, senza difese, e soprattutto nei due accampamenti (settemila in quello minore, diecimila in quello maggiore).
L’esercito di Annibale, ancora esausto ed ebbro per il massacro, non si lancia immediatamente contro gli accampamenti, anche perché cala il buio. E’ una buona occasione, forse l’unica, per ricompattarsi e portarsi in salvo.
Senza validi comandanti, i legionari e i socii latini sopravvissuti tentano di organizzarsi. Dall’accampamento più grande vengono inviati dei messi a quello più piccolo: che i soldati in quest’ultimo passino al campo maggiore, così che tutti insieme si possa andare con passo spedito verso Canosa.
Le opinioni si dividono. Molti legionari non ne vogliono sapere, per non esporsi al pericolo, mentre ad altri, come riporta Livio, “non dispiaceva l’idea, quanto piuttosto mancava il coraggio.”
In mezzo al caos, si erge finalmente un tribuno militare, Publio Sempronio Tuditano, che rimprovera duramente i soldati:
“Preferite dunque essere presi prigionieri da un nemico avidissimo e crudelissimo […]? Non potete preferirlo, se è vero che siete concittadini del console Lucio Emilio, il quale ha preferito morire bene piuttosto che vivere vergognosamente, e dei tanti uomini valorosissimi ammucchiati intorno a lui!”
Sempronio propone un audace piano per passare attraverso le fila nemiche e congiungersi ai sopravvissuti dell’accampamento maggiore. Prima che sorga l’alba, stretti a cuneo, i legionari riusciranno ad attraversare la piana, dove i nemici sono sì presenti ma totalmente disordinati.
“Col ferro e con l’audacia ci si fa strada anche tra dense schiere nemiche. Stretti a cuneo, passeremo attraverso questa gente rilassata e scomposta come se nulla ci si opponesse. Venite dunque tutti con me, se volete salvare voi stessi e lo Stato!”
Dei settemila uomini, solo seicento decidono di seguire Tuditano – seicento uomini che, soli, devono difendere il loro nuovo comandante addirittura con le armi, poiché gli altri non hanno intenzione di lasciarlo fare.
Sguainata la spada, il tribuno esce dall’accampamento alla testa del cuneo e guida la sua schiera verso l’altro campo romano.
I temibili cavalieri numidi si stanno ancora aggirando sulla piana di Canne, e iniziano a bersagliare i soldati di Tuditano sul fianco destro.
Il tribuno fa così impugnare gli scudi dei legionari nella mano destra, così che possano difendersi nella loro folle corsa. Il piano riesce: non appena riunitisi al resto dei superstiti, Tuditano e i suoi si mettono infine in salvo a Canosa.
I poco più di seimila rimasti nell’accampamento vengono catturati – o meglio, si arrendono al nemico.
Quando un loro rappresentante, tempo dopo, si presenta in Senato per chiedere che vengano riscattati, un infuriato Tito Manlio Torquato (discendente del ben più famoso omonimo) si scaglia contro l’emissario, proprio ricordando l’eroico esempio di Tuditano:
“O che fosse qui presente anche soltanto P. Sempronio: se costoro l’avessero seguito come comandante, oggi sarebbero soldati in un accampamento romano, non prigionieri in potere dei nemici. […]
Per quasi una notte intera P. Sempronio Tuditano non cessò di incoraggiarli, di esortarli, a seguirlo come comandante fintantoché attorno all’accampamento pochi nemici, fintantoché quiete e silenzio ci fossero, fintantoché la notte potesse proteggere l’impresa […]
Non deste ascolto a P. Sempronio, che dava ordine di prendere le armi e di seguirlo; poco dopo deste ascolto ad Annibale, che dava ordine di lasciare in sua balìa l’accampamento e di consegnare le armi.”
In un frangente tragico e disperato come la Seconda Guerra Punica, la figura eroica di Sempronio Tuditano (se non è stata gonfiata da Tito Livio), esemplifica in pieno quale fosse l’attitudine e l’immagine ideale del soldato romano del III sec. a.C.

Fonti (clicca i link qui sotto per acquistare la tua copia del libro)
Tito Livio, Ab Urbe Condita