Quando si parla della conquista araba dell’Egitto romano, di solito questa viene derubricata e narrata come un affare veloce e indolore per gli Arabi, una semplice resa da parte imperiale.
In realtà, per quanto costellata di vittorie per gli Arabi, la conquista dell’Egitto è tutt’altro che una passeggiata, tanto da impegnarli in una campagna di due anni, dal 639 al 641 – e questo nonostante le innumerevoli mancanze dei comandi romani.
E proprio a proposito di queste mancanze, oggi ci concentreremo sull’amaro atto finale della campagna araba: la caduta, o meglio la consegna e resa, di Alessandria d’Egitto – amaro perché, da un punto di vista strettamente strategico e militare, è certamente uno degli atti meno sensati ed evitabili della guerra del 639-641.
Il 9 aprile 641, dopo sette mesi di assedio, il comandante delle truppe arabe Amr ibn al-As conquista la fortezza di Babilonia (da non confondere con la famosa città della Mesopotamia), uno dei principali capisaldi della difesa dell’Egitto, all’estremità meridionale del Delta del Nilo.

Da qui, gli Arabi intendono proseguire verso gli importanti obiettivi, a est, di Nikiou e Alessandria.
Il comandante supremo delle forze romane Egitto, Teodoro, dopo aver fallito nell’impedire al nemico l’attraversamento del Nilo presso Tarranah (non distante da Nikiou), con la sua cavalleria, decide di ritirarsi col grosso della guarnigione di Nikiou verso Alessandria.
Nel fare questo, però, lascia una guarnigione troppo piccola e demotivata a Nikiou: quando anche quest’ultima si cerca di ritirare verso Alessandria, il 13 maggio viene raggiunta dalla cavalleria araba e fatta a pezzi, e Nikiou è perduta.
La cavalleria araba riesce anche a raggiungere la retroguardia di Teodoro, ma questa volta viene respinta.
Teodoro mette insieme i suoi uomini, parte della guarnigione di Alessandria, alcune forze di rincalzo da Costantinopoli e i soldati di guardia alla fortezza di Kariun – e qui si attesta.
Dopo dieci giorni di combattimenti (dei quali sappiamo purtroppo poco e nulla), e non emergendo alcun vincitore, Teodoro decide di ritirarsi definitivamente ad Alessandria con il suo esercito.
Anche se alla fine gli è costata Nikiou e Kariun, la decisione di ritirarsi nella “fortezza Alessandria” da parte di Teodoro non è così peregrina, come scoprono gli Arabi quando, nel giugno del 641, vengono accolti dal tiro delle macchine a torsione sulle mura della città.
Alessandria è una grande metropoli, è ben difesa dalle sue mura e ha il libero accesso al mare (un “territorio” ancora non toccato dall’invasione araba), dal quale potrebbe ricevere rifornimenti e rinforzi senza interferenze.
La città di Alessandria, insomma, ha tutte le potenzialità per diventare il bastione dal quale lanciare la riconquista dell’Egitto romano.
I primi intoppi arrivano però già prima dell’inizio dell’assedio, con l’improvvisa morte del figlio maggiore di Eraclio (morto a febbraio del 641), Costantino III, figlio della prima moglie Fabia Eudocia, a maggio.
Questi aveva avuto intenzione di inviare in Egitto rinforzi cospicui, ma la sua morte e la conseguente lotta, seppur non ancora armata, per il trono tra i rispettivi sostenitori delle fazioni di Martina-Eracleona (la vedova di Eraclio e suo figlio) e Costante (figlio di Costantino III), fermano questo proposito.
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Tuttavia, non è l’aspetto più prettamente militare a segnare il destino di Alessandria, ma quella che a posteriori si rivela una pessima decisione, tra le ultime prese da Costantino III (e di concerto, in realtà, da Eraclio): richiamare nell’impero, rispettando l’ultima volontà paterna di far rientrare tutti coloro che erano stati esiliati, Ciro, l’ex patriarca di Alessandria.
Quest’ultimo era stato mandato in esilio da Eraclio stesso nel 640, quando già durante l’assedio del forte di Babilonia predicava che la conquista araba in Egitto facesse parte della volontà divina, e che quindi la provincia andasse ceduta senza combattere. Proprio per queste parole, che rasentano e superano il tradimento, Eraclio ha spogliato il patriarca di ogni carica e lo ha esiliato.
Tornato dall’esilio, Ciro non ha affatto cambiato idea, ma adesso riesce persino a convincere Martina ed Eracleona, la fazione al potere, per la “pace a tutti i costi” e la cessione dell’Egitto.
L’ex patriarca è così inviato in Egitto con i poteri necessari a trattare con Amr, anche se Teodoro e gran parte della guarnigione e popolazione alessandrina non intendono arrendersi senza combattere – nonostante le tensioni nella capitale della provincia non manchino: la lotta politica si è estesa anche nelle strade di Alessandria, con una piccola guerra urbana guidata da Verdi e Azzurri sedata solo dall’intervento di Teodoro.

Tuttavia, nonostante la volontà di Teodoro, Ciro raggiunge Amr e, di fatto, consegna l’Egitto nelle sue mani senza ulteriore resistenza, con l’avvallo di Martina ed Eracleona, con la clausola dell’evacuazione delle forze romane entro dodici mesi.
Amr, che sa bene come Alessandria sarebbe di fatto impossibile da conquistare sia con un assalto che con un assedio, accetta incredulo il trattato con il quale la città, e l’Egitto, gli sono offerti su un vassoio d’argento.
È l’8 novembre 641.
La resa, o meglio la consegna, non necessaria della piazzaforte più formidabile a disposizione delle forme romane in Egitto, sancisce la fine della guerra e la definitiva conquista araba della regione.
I Romani, sotto Costante II (il figlio di Costantino III), che sale al trono proprio nel 641, faranno alcuni tentativi per riconquistare Alessandria e l’Egitto ma, nonostante alcuni successi, infine falliranno nel tentativo.
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Dopo circa 600 anni, e dopo due anni di resistenza armata (per quanto fallimentare, spesso dura) mandati letteralmente in fumo, l’impero romano perde definitivamente il controllo dell’Egitto.
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Lettura consigliata
P. Crawford 2014, The War of the Three Gods. Romans, Persians and the Rise of Islam

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