Martina fu forse una delle imperatrici più influenti e allo stesso tempo impopolari della storia dell’Impero Romano.
Ella non era molto amata nella capitale per via della natura della sua unione matrimoniale e per via delle pressioni che faceva sull’imperatore per assicurarsi la successione dei propri figli. Suo marito, nonché suo zio, l’imperatore Eraclio (610 – 641) era già stato sposato con Fabia-Eudocia, sovrana ben voluta dal popolo, che morì improvvisamente di epilessia nell’Agosto del 612, lasciando un figlio, Eraclio Costantino (incoronato nel 613 ), e una figlia, Epifania (incoronata nel 611, ad appena un anno di vita).
Tanto questa sovrana era amata che, durante il corteo funebre, una serva accidentalmente sputò fuori da una finestra, e la sua saliva colpì proprio il corpo di Fabia-Eudocia, mentre il feretro passava per lei via della città. La giovane fu immediatamente arrestata e bruciata viva dalla popolazione.
Un rispetto che, in futuro, nessuno si sarebbe sognato di avere per Martina.
Il matrimonio con Eraclio
Martina era la figlia di primo letto di Maria, sorella dell’imperatore, e di un certo Martino.
La data in cui avvennero le nozze e la cerimonia di incoronazione ad augusta è abbastanza controversa.
Teofane colloca il matrimonio poco dopo la morte di Eudocia, tra il 613 e il 614, mentre Niceforo afferma che avvenne nel 623, anno della guerra contro gli Avari.
Molti studiosi, a sostegno di entrambe le ipotesi, portano una moneta raffigurante lo stesso Eraclio: se la figura femminile che compare assieme al sovrano è Martina, il matrimonio deve essere avvenuto prima del 615 o del 616; ma potrebbe anche trattarsi di Epifania-Eudocia, la figlia di primo letto dell’imperatore, incoronata augusta da bambina.
Ovviamente, non è da escludere che monete raffiguranti la figliastra continuassero a circolare nell’Impero, anche dopo il matrimonio. Ma che il popolo pensasse che la donna effigiata fosse Martina non ci sono dubbi, come ben dimostrato da una moneta dalla Collezione Dumbarton Oaks, dove l’immagine della sovrana è stata cancellata a martellate.
Tuttavia, data la prolungata assenza dell’imperatrice Martina dalla capitale, attorno agli anni venti del 600, e la sua conseguente impopolarità, l’effige della sovrana scomparve del tutto dalle monete nel 629.

L’unione matrimoniale venne osteggiata sia dalla legge statale che dalla Chiesa, in quanto i due coniugi erano parenti stretti: il cristianesimo calcedoniano proibiva l’incesto, mentre la legge le nozze tra zii e nipoti.
Per tale ragione, le nozze furono mal viste sia dal popolo sia dal clero. Secondo Niceforo, il patriarca Sergio tentò di far pressione su Eraclio con lo scopo di ripudiare la consorte. Ma l’imperatore gli rispose: “Va benissimo ciò che dici. L’obbligo che mi devi come sommo sacerdote e amico l’hai già pagato. Per il resto, la responsabilità ricadrà su di me”.
Nonostante la disapprovazione iniziale, il patriarca Sergio celebrò la loro unione, ed Eraclio incoronò Martina. Anche la reazione del popolo fu sfavorevole, e la notizia delle nozze fu accolta nell’Ippodromo con insulti, anche da parte della fazione dei Verdi, da sempre favorevoli ad Eraclio.
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I membri della famiglia imperiale espressero le loro obiezioni: Teodoro, fratello dell’imperatore, rimproverava continuamente Eraclio per la sua relazione, dicendogli che “il peccato è continuamente davanti a lui”. Ciò non si riferiva solo all’unione, ma anche all’abitudine della sovrana di accompagnare il marito durante le campagne militari, persino quando era incinta.
Si presume infatti che quattro dei suoi figli (due femmine, e due maschi) nacquero durante la guerra contro i Sasanidi, ma morirono tra il 624 e il 628, quando la coppia si trovava in Persia. Martina, inoltre, si trovava accanto al sovrano ad Antiochia, con uno dei bambini, quando giunse la notizia della sconfitta presso il fiume Yarmuk nell’Agosto del 636.
I figli
Eraclio e Martina dovevano essere una coppia molto unita. Dalla loro unione nacquero almeno una decina di figli, anche se non si è ancora certi sulle date e l’ordine di nascita.
Molti di questi non sopravvissero a lungo, anche a causa di malformazioni e disturbi. Per esempio, il primogenito della coppia, Fabio, nacque col collo paralizzato, mentre Teodosio, il secondo figlio, era sordomuto. Ciò ovviamente non fece che aumentare il dissenso e consolidare l’idea dell’illegittimità del loro matrimonio.
Martina si adoperò molto per assicurarsi la successione dei propri figli, tanto che il suo rapporto con Costantino III, frutto delle prime nozze di Eraclio, fu alquanto turbolento. Tra i figli della sovrana, l’unico adatto a salire al trono (dato che la deformità prevedeva l’esclusione) era Eraclio, meglio noto col diminutivo di Eracleona, nato attorno al 626, che venne proclamato, ancora bambino, cesare, dal fratellastro nel 632. Tale atto era sintomo che Eracleona sarebbe stato il prossimo in linea di successione, fatto che in parte scontentò il popolo, da sempre sostenitore di Costantino, e che temeva per gli ostacoli alla sua successione.
Nel 637 venne escogitata una congiura, che aveva lo scopo di ostacolare l’ambizione di Martina.
Tra i congiurati vi erano uno dei figli illegittimi di Eraclio, Atalarico, e suo nipote Teodoro.
Il complotto fu sventato, e i due uomini subirono gravi mutilazioni: ad entrambi venne tagliato il naso e le mani, mentre a Teodoro anche le gambe, e mandati in esilio a Prinkipo, nel Mar di Marmara. Eraclio, che all’epoca era rientrato dalla Siria invasa dagli Arabi, superò la sua patologica paura dell’acqua e fece ritorno a Costantinopoli dal Palazzo di Hieria, sul lato orientale del Bosforo.
Per molti mesi, aveva lasciato che fossero i figli ad assistere ai giochi e alle funzioni pubbliche in sua vece. Per attraversare il mare e giungere alla Capitale, il sovrano aveva fatto realizzare un ponte di barche sul Bosforo, coperto di rami, in modo tale che non si potesse mai vedere il mare. Era stata la stessa Martina a persuaderlo a far ritorno a Costantinopoli.
Una conseguenza di tale rientro fu l’incoronazione di Eracleona (o meglio, Eraclio II) nel Luglio del 638, la nomina a cesare di suo fratello minore e la nomina, l’anno seguente, ad augustae delle sorelle Augustina e Martina. Inoltre, le condizioni di salute di Costantino III non erano delle migliori, e suo figlio, Eraclio ( più tardi noto come “Eraclio Costantino”, avuto dal matrimonio con Gregoria, sua cugina di secondo grado), era ancora troppo giovane. Ciò lasciava largo spazio di manovra a Martina.
La morte di Eraclio e la successione
Il conflitto tra Martina e Costantino III continuò ad accentuarsi negli anni trenta del VII secolo.
All’inizio dell’anno 641, Eraclio redisse un testamento nel quale lasciava l’Impero ai suoi due figli: Eraclio Costantino (Costantino III) ed Eraclio/Eracleona (Eraclio II). I due fratellastri erano dunque imperatori in ugual misura e con gli stessi poteri. Nello stesso documento si specificava inoltre che Martina sarebbe stata onorata del titolo di “imperatrice e madre”. Ciò implicava che la sovrana aveva potere decisionale, e poteva influenzare direttamente le questioni di governo, nonostante i due nuovi sovrani avessero l’età adatta per poter governare da soli. Costantino III, in particolare, aveva ormai raggiunto i ventotto anni, e come già accennato aveva già due figli, Eraclio e Teodosio.
La scelta di Eraclio di lasciare l’Impero a entrambi i figli con molta probabilità non fu dettata da Martina, ma dal precario stato di salute di suo figlio maggiore Costantino. Inoltre, non va dimenticato che la successione al trono nell’impero romano non era strettamente su base ereditaria – anche se il concetto di dinastia era ormai ben radicato da secoli.
La decisione non incontrò però il favore del popolo, già allarmato dal pessimo stato di salute del figlio maggiore di Eraclio, e dal fatto che se questi fosse morto, il potere si sarebbe concentrato nelle mani di Martina e di suo figlio. L’atmosfera era tesa sia all’interno che fuori la corte, mentre le dispute tra i sostenitori di uno o dell’altro erede di Eraclio aumentavano nella capitale.

Eraclio morì l’11 febbraio del 641 di idropisia. Le sue spoglie vennero collocate nella Chiesa dei Santi Apostoli.
La natura illegittima e incestuosa delle sue seconde nozze non venne dimenticata nemmeno dopo la morte, dato che Niceforo considerò la sua malattia come una punizione divina per la sua trasgressione.
Alla sua morte, Eraclio lasciò l’impero in una situazione alquanto complicata: i territori di Siria e Palestina erano ormai perduti, mentre gli Arabi facevano le prime incursioni in Egitto. Disordini religiosi (soprattutto contro i monoteliti) e dispute ecclesiastiche turbavano la Capitale dall’interno, e le fazioni erano in conflitto a sostegno di uno o dell’altro dei figli di Eraclio.
Il testamento di Eraclio fu reso pubblico dalla stessa Martina. L’imperatrice convocò il patriarca Pirro, il senato e il popolo nell’Ippodromo per mostrare loro le ultime volontà del marito.
Ella dimostrò in tale occasione fermezza e autorità, agendo da sola, senza la presenza dei due eredi al trono, assumendo il ruolo di imperatrice, non curante del fatto che Costantino III fosse co-imperatore dal 613.
La folla mostrò il suo dissenso, chiedendo a gran voce che fosse Costantino l’unico sovrano: “Tu hai l’onore dovuto alla madre degli imperatori, ma loro quello dei nostri imperatori e signori […]. Non puoi, o Signora, ricevere barbari o altri emissari stranieri che giungono a palazzo o conversare con loro. Possa Dio proibire che lo Stato Romano giunga a un tale punto”.
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Martina era ovviamente scontenta della reazione popolare.
Prima di morire, inoltre, Eraclio aveva predisposto una somma di denaro per proteggere la consorte, ed affidarla alle cure del patriarca Pirro, nel caso in cui il figlio maggiore ne avesse voluto l’allontanamento da Palazzo.
Costantino ne preteste la restituzione, date le grandi difficoltà economiche – tanto gravi che aveva fatto addirittura riesumare il corpo del padre per riprendere la corona, realizzata con settanta libbre d’oro. I suoi sostenitori lo convinsero inoltre ad assicurarsi il sostegno dell’esercito per lui e la sua prole, elargendo cospicue somme ai soldati.
Dopo solo centotré giorni di regno (stando a Niceforo), Costantino morì, probabilmente di tubercolosi, nel maggio del 641.
Ben presto circolò la diceria, messa in giro dal figlio Eraclio Costantino, che fosse stata la stessa Martina ad avvelenarlo, con la complicità del patriarca. Teofane a tal proposito scrisse: “Quando Eraclio morì, e suo figlio Costantino divenne imperatore, Pirro assieme a Martina lo uccise col veleno”.
Non è ancora ben chiaro il coinvolgimento del patriarca, se non per divergenze in materia di fede: con molta probabilità Costantino III non era favorevole al monotelismo, dottrina promossa da Eraclio allo scopo di sanare la frattura tra ortodossi e monofisiti. Il monotelismo consisteva nell’affermazione che in Cristo vi fosse un’unica volontà (monoenergismo). I monoteliti, accettando la dottrina calcedoniana delle due nature di Cristo, non negavano, nel Verbo incarnato, l’esistenza, accanto alla divina volontà, di una volontà umana, ma negavano che a queste volontà o attività, si potesse dare il nome di “energia”.
I principali esponenti di questo credo furono proprio il patriarca Sergio, il suo successore Pirro e l’imperatrice Martina.
La reggenza di Martina
A soli quindici anni, Eracleona salì così al trono. In realtà il potere era concentrato tutto nelle mani della madre Martina.
Tuttavia, sia la reggenza della donna, sia la corona del figlio incontrarono numerosi ostacoli, tra cui il clero, che riteneva che i figli di Costantino fossero più degni a governare l’Impero.
Furono inoltre dati ingenti donativi all’esercito per assicurarsene la lealtà, e furono inflitte punizioni severe ai sostenitori di Costantino III. Ci fu una fervente ripresa del monotelismo, e i vescovi esiliati da Costantino III furono richiamati e riaffidati alle loro diocesi di appartenenza.
L’impopolarità di Martina non solo presso il clero, ma anche presso le fazioni del Circo, il popolo, il Senato e l’esercito, aveva ormai raggiunto l’apice.
Un generale di origine armena, Valentino Arshakuni, che era stato nominato comandante da Costantino III e dal quale aveva ricevuto grosse somme di denaro, convinse le truppe ad agire contro l’imperatrice e i suoi figli.
Valentino avanzò così fino a Calcedonia, di fronte a Costantinopoli. Nel settembre del 641, a causa delle pressioni dell’esercito, Eracleona si sentì costretto ad incoronare presso la chiesa di Santa Sofia Eraclio, figlio del fratellastro, ribattezzato subito Costantino dal popolo, anche se come imperatore fu noto col nome di Costante.
Il malcontento generale però stava aumentando, finché quella notte la folla non insorse contro Ebrei e altri “miscredenti”, assaltando la basilica, e chiedendo la destituzione del patriarca Pirro, anch’egli mal voluto per via del sostegno della sovrana. Pirro si dimise il giorno immediatamente successivo (29 Settembre del 641), e partì alla volta di Cartagine.
Nel tentativo di placare la situazione, Eracleona e Martina cercarono un accordo con Valentino, e lo nominarono comes excubitorum, mentre i suoi soldati sarebbero stati ricompensati in oro. Nel frattempo, il terzo figlio di Martina, già cesare, venne incoronato imperatore, diminuendo così il potere di Costante, e ribattezzato Tiberio.

La fine di Martina
Nel novembre del 641, la rivolta popolare contro Martina e Eracleona andò fuori controllo, forse anche grazie all’appoggio del Senato e dell’esercito. I soldati raggiunsero il palazzo e presero Martina e i suoi figli come prigionieri.
Vennero privati dei titoli e della corona. Ai figli venne tagliato il naso (in modo da non poter reclamare nuovamente il trono), e forse il più giovane venne anche castrato, mentre all’imperatrice venne tagliata la lingua.
Tutti vennero mandati in esilio a Rodi.
Solo il secondogenito Teodosio venne risparmiato dalle mutilazioni, poiché sordomuto.
Come abbiamo già visto poco fa per il caso di Atalarico e Teodosio, le pene corporali non erano mai applicate per reati e delitti comuni, ma solo contro i responsabili di reati politici e usurpatori – avevano infatti un forte connotato simbolico. Tali pene erano inferte da medici esperti, che si preoccupavano di non provocare infezioni e inutili sofferenze.
Nel caso di Martina, il taglio della lingua la privava della voce, e di conseguenza della capacità di esprimersi, di persuadere e di comandare. Il taglio del naso dei figli, al contrario, rimandava simbolicamente all’evirazione, poiché v’era un legame figurativo tra l’appendice nasale e l’organo maschile.
Una fonte armena del VII secolo, però, ci racconta una versione leggermente diversa: dopo aver tagliato la lingua alla sovrana, i figli sarebbero stati uccisi.
Comunque sia andata realmente, questo segnò la fine della vita politica di Martina.
Nel 650 Costante, meglio noto come Costante II, figlio di Costantino III e nipote di Eraclio II, era l’unico vero imperatore. Valentino sposò sua figlia Fausta.
Anche i successori di Martina guardarono al suo operato in modo ostile. Teofane riporta un discorso tenuto da Costante presso il senato, nel quale ringraziava i senatori per l’appoggio nel rovesciare suo zio, e condannava le azioni di Martina: “Mio padre Costantino, che mi generò, regnò per molto tempo durante la vita di suo padre, e dopo la sua morte […] per invidia della matrigna Martina troncò le sue speranze e lo privò della vita, e questo a causa di Eracleona, discendente illecito di Eraclio. La vostra santa decisione giustamente la scacciò dalla dignità imperiale assieme a suo figlio, per timore che l’Impero Romano sembrasse governato in modo illegittimo”.
La dinastia di Eraclio tuttavia continuò in modo altrettanto violento: Costante II assassinò suo fratello Teodosio, al fine di garantire la successione ai suoi tre figli.
Ma egli stesso finì poi ucciso nel settembre del 668, in Sicilia.
Bibliografia (clicca i link qui sotto per acquistare la tua copia del libro)
Teofane, Cronografia
L. Garland 2000, Martina (second wife of Heraclius)
L. Garland 2011, Byzantine Empresses: Women and Power in Byzantium AD 527-1204
G. A. Ostrogorskij 1940, Storia dell’Impero Bizantino
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