Nel 54 a.C., le truppe di Cesare subiscono uno dei loro pochi e rari rovesci: la battaglia di Atuatuca.
Colto in un’imboscata da parte delle forze di Ambiorix, principe del popolo belgico degli Eburoni, un esercito romano di 9000 uomini – una legione, cinque coorti e un corpo di cavalieri ausiliari iberici – viene pressoché totalmente distrutto mentre lascia l’accampamento che aveva posto presso l’insediamento di Atuatuca.
L’imboscata, condotta da un esercito di eguali dimensioni, è perfetta. Gli Eburoni attendono che la colonna romana entri in un avvallamento piuttosto profondo, circondati da ripide scarpate e boschi.
Nascosti tra gli alberi, al momento opportuno i Galli assaltano i Romani dall’alto e chiudendo alla retroguardia la via di fuga e di ritorno al castrum appena abbandonato.
I soldati di Cesare resistono eroicamente e come possono alla trappola, combattendo dall’alba fino all’ora ottava (circa tra l’una e le due del pomeriggio) e uccidendo un gran numero di nemici. Cesare nomina due centurioni primipili che si distinguono in combattimento, Tito Balvenzio (ferito a entrambe le gambe da due dardi) e Quinto Lucanio (ucciso mentre soccorre suo figlio).
Viene tentata una negoziazione con Ambiorix stesso da uno dei sottoufficiali, ma il comandante, Lucio Aurunculeio Cotta, ferito al volto da un proiettile di frombola, rifiuta categoricamente di trattare con un nemico in armi e che, già prima dell’imboscata, si è dimostrato poco degno di fede.
Il combattimento così riprende, e infine gran parte dei legionari viene massacrata, mentre quelli rimasti in vita tentano di farsi strada fino all’accampamento.
È in questo momento che viene menzionato per nome il terzo soldato romano degno di nota per il suo coraggio: l’aquilifero Lucio Petrosidio.
Giunto quasi davanti all’accampamento, Lucio Petrosidio è pressato da un gran numero di Eburoni all’inseguimento.
L’aquilifero sa bene che, se in aggiunta alla tremenda sconfitta, il nemico mettesse le mani sul più sacro dei simboli della legione, l’aquila, il disonore sarebbe enorme e irrimediabile.
Così Lucio Petrosidio decide di mettere in salvo l’insegna, al prezzo del sua vita.
Davanti al terrapieno e alla palizzata dell’accampamento, riesce a scagliare l’aquila all’interno del castrum.
A quel punto viene raggiunto dai nemici, e il coraggioso aquilifero cade combattendo valorosamente.

Cesare non ci dice cosa ne è dell’aquila, ovvero se i Romani la recuperino o se alla fine gli Eburoni ne facciano bottino di guerra, nonostante l’eroico sacrificio di Lucio Petrosidio.
A parte il suo nome, di Lucio Petrosidio non sappiamo purtroppo altro.
Anche se spesso si trova riportato come notizia certa che Lucio Petrosidio sia lo stesso, coraggioso, aquilifero della Decima legione che si getta dalla nave per esortare i suoi compagni a mettere piede in Britannia, in realtà non lo sappiamo affatto.
Infatti, nel De Bello Gallico, Lucio Petrosidio non ci viene detto a che legione appartenga, e di converso l’aquilifero dello sbarco in Britannia è totalmente anonimo.
Alcuni studiosi hanno proposto che la legione presente ad Atuatuca sia forse la XIIII legione (come detto in altri post: la scrittura con quattro “I” è coeva e corretta!), levata nel 57 a.C. nei territori della Gallia Cisalpina, quella che in futuro confluirà nella XIV Gemina.
Ergo, il coraggioso ed eroico Lucio Petrosidio non sarebbe l’aquilifero della Decima, che ad Atuatuca non era probabilmente nemmeno presente, ma quello della XIIII legione.
[Leggi anche I 300 di Cesare]
Fonti
Cesare, De Bello Gallico

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