Rispetto a molte altre opere storiografiche antiche, i Commentarii di Giulio Cesare, così come le altre opere non di suo pugno dal Corpus Cesarianum, offrono uno sguardo molto più ravvicinato sugli scontri e sui soldati coinvolte nelle campagne militari.
Gli scritti del Corpus ci regalano infatti la descrizione di molti soldati comuni e centurioni, eccezionalmente ricordati per nome, così come la narrazione di diversi atti eroici che, altrimenti, sarebbero rimasti del tutto sconosciuti.
L’eroica resistenza di trecento soldati di Cesare nel 55 a.C. contro i Galli è uno di questi episodi.
Rientro dalla Britannia
Intorno all’equinozio d’autunno del 55 a.C., per evitare la tempestosa navigazione invernale con navi in cattivo stato, Cesare rientrava dalla sua prima spedizione in Britannia.
Approfittando del bel tempo, intorno alla mezzanotte, il giorno prescelto la flotta romana levò l’ancora per rientrare in Gallia. La flotta romana, all’inizio della spedizione in Britannia, comprendeva ottanta navi da carico (quanto bastava per il trasporto di due legioni), un numero imprecisato di navi da guerra e diciotto vascelli per il trasporto della cavalleria.
Mentre la quasi totalità della flotta raggiunse senza problemi il continente – probabilmente attraccando a Portus Itius, l’odierna Boulogne, nel territorio della popolazione gallica dei Morini -, due delle navi da carico vennero sospinte “un po’ più a sud”, come dice la fonte.
Le due navi trasportavano trecento uomini. Questi sbarcarono dalle due navi e si misero in marcia per raggiungere il resto dell’esercito cesariano. I legionari non dovevano essere eccessivamente preoccupati, poiché Cesare aveva lasciato pacificati i Morini, al momento della sua partenza per la Britannia.
Tuttavia, lungi dal non voler approfittare di un’occasione simile, gruppi di guerrieri gallici iniziarono a radunarsi per poter fare bottino.
Venti a uno
Un gruppo di guerrieri Morini, “in non così grande numero”, come specifica Cesare nel Commentarius, circondò i trecento legionari, intimando loro di arrendersi. I Galli speravano infatti di fare un gran bottino senza fatica, evidentemente superando già in quel momento di numero i Romani.
“Intimarono loro di arrendersi, se volevano salva la vita”.
In tutta risposta, i legionari di Cesare si chiusero a cerchio. I Morini attaccarono, e iniziò così lo scontro. Le grida provenienti dal campo di battaglia richiamarono molti altri guerrieri gallici – addirittura seimila, secondo Cesare, portando la sproporzione della battaglia addirittura a venti a uno.
Cesare, nel frattempo, venne informato dello scontro in atto. La fonte non lo specifica ma non è improbabile che, accortosi dell’assenza delle due navi, abbia inviato esploratori per avere notizie dei vascelli mancanti.
Appena ricevuta la notizia, Cesare radunò l’intera cavalleria e la inviò in tutta fretta in soccorso ai suoi uomini.
Non abbiamo molti dettagli di come si svolse lo scontro, prima dell’intervento della cavalleria. Anche Cesare è estremamente riassuntivo: “Nel frattempo, i nostri ressero all’urto dei nemici e si batterono con estremo valore per più di quattro ore: subirono poche perdite e uccisero molti nemici”.
Chiusi a cerchio, senza cedere di un passo, è impossibile indovinare se i trecento legionari si stessero rassegnando a morire in battaglia o se, forse consapevoli di non essere troppo distanti da Portus Itius, resistessero nella speranza di ricevere rinforzi.
Dopo quattro ore intense di combattimento, infine la cavalleria arrivò sul campo di battaglia. Alla vista di così innumerevoli e inaspettati rinforzi, i Morini sbandarono, abbandonando le armi e dandosi alla fuga. Ne seguì un massacro da parte della cavalleria romana lanciata all’inseguimento.
Questo piccolo scontro, tutto sommato insignificante nel grande disegno della campagna di Cesare in Gallia – seppure innescò una dura reazione contro i Morini già dal giorno seguente – è utile a ricordarci che i grandi accadimenti storici non sono fatti solo dai grandi uomini, ma anche da coloro che li seguono e che per loro combattono.
Serve a ricordarci che spesso la grandezza dei generali del passato non appartiene solo a loro, ma anche al coraggio e all’eroismo dei soldati al loro comando.
Bibliografia