Nei secoli dall’VIII all’XI, il confine orientale dell’impero diventa una zona molto particolare per lo sviluppo dell’arte militare romana.
Peculiare solo a questo contesto – infatti non si vede questo sviluppo nelle aree occidentali dell’impero -, qui si sviluppa infatti la guerra di frontiera (𝘱𝘢𝘳𝘢𝘥𝘳𝘰𝘮𝘦̀𝘴), giocata da due parti che usano metodi di combattimento, armi e ideali di guerra sempre più simili: da una parte gli 𝘴𝘵𝘳𝘢𝘵𝘪𝘰𝘵𝘢𝘪 imperiali, dall’altra i 𝘨𝘩𝘢𝘻𝘪𝘴 arabi.
[Leggi anche Paradromès. La guerra di frontiera contro gli Arabi (VIII-X sec.)]
Proprio in questo contesto nasce una figura di guerriero che nel corso dei successivi secoli sarà romanticizzata e mitizzata, fino a dare la nascita a poemi e canzoni a essa dedicati: l’𝘢𝘬𝘳𝘪𝘵𝘢.
𝘈𝘬𝘳𝘪𝘵𝘢 non è un termine eminentemente tecnico, ma indica tanto i semplici abitanti che i soldati posti di guardia alle frontiere, e potrebbe infatti essere tradotto semplicemente come “soldato di confine”.
Il nome deriva dalle 𝘢𝘬𝘳𝘢𝘪, le “zone estreme”, intese sia come passi di montagna che le aree più lontane, verso il nemico.
Questi soldati di frontiera rispecchiavano perfettamente il nuovo modello dell’ethos guerriero formatasi ai confini orientali dell’impero, e perfettamente esplicitato nelle pratiche della 𝘱𝘢𝘳𝘢𝘥𝘳𝘰𝘮𝘦̀𝘴: uso dell’astuzia più che della forza, l’imboscata alle truppe nemiche piuttosto che la battaglia in campo aperto, la ricerca della vittoria con il minor numero possibile di perdite.
Spesso e volentieri, queste truppe possono essere viste come un misto tra soldati di frontiera, briganti. e cacciatori
Tutte caratteristiche, come accennato, perfettamente condivise anche dalla controparte musulmana, con la quale in questo senso si può dire che si crea una sorta di “simbiosi”.

E non è quindi un caso che il simbolo stesso degli 𝘢𝘬𝘳𝘪𝘵𝘢𝘪 è l’eroe del poema omonimo “Digenis Akritas”: un’opera che prende il via senz’altro dai canti della tradizione orale anteriori al X secolo, e la cui redazione scritta definitiva avviene nel XII secolo, in periodo comneno (anche qui, non un caso, poiché proprio i Comneni tentano di ristabilire il modello degli 𝘢𝘬𝘳𝘪𝘵𝘢𝘪).
Il nome stesso di Digenis Akritas indica la natura di questi combattenti: infatti significa, letteralmente, “Il soldato di confine di duplice stirpe” – nel poema, figlio di un emiro siriaco e di una fanciulla della Cappadocia.
E proprio nel Digenis Akritas compaiono diversi elementi di come sia concepita la guerra di frontiera e l’ideale guerresco, specie in un passo che ribalta completamente quello che usualmente è l’ideale occidentale della guerra:
“le strettoie e i sentieri uccidono i valorosi,
mentre in campo aperto anche i vigliacchi mostrano coraggio.”
Gli 𝘢𝘬𝘳𝘪𝘵𝘢𝘪 sono spesso fusi con la figura degli 𝘢𝘱𝘦𝘭𝘢𝘵𝘢𝘪, descritti nel trattato anonimo 𝘗𝘦𝘳𝘪̀ 𝘱𝘢𝘳𝘢𝘥𝘳𝘰𝘮𝘦̀𝘴, oggi meglio conosciuto come 𝘋𝘦 𝘷𝘦𝘭𝘪𝘵𝘢𝘵𝘪𝘰𝘯𝘦 𝘣𝘦𝘭𝘭𝘪𝘤𝘢:
Gli 𝘢𝘱𝘦𝘭𝘢𝘵𝘢𝘪 sono truppe di cavalleria utilizzate come esploratori, e devono essere coraggiosi, intraprendenti e avere una buona conoscenza delle vie di comunicazione anche oltre la frontiera. Possono essere organizzati in gruppi e utilizzati per effettuare veloci incursioni e razzie in territorio nemico.
Con le conquiste verso est del X secolo, gli 𝘢𝘬𝘳𝘪𝘵𝘢𝘪 declineranno in importanza.
Come accennato, dopo i disastri dell’XI secolo, i Comneni tenteranno di ristabilire delle truppe di 𝘢𝘬𝘳𝘪𝘵𝘢𝘪, in questo caso soldati di frontiera che svolgono il loro ruolo in cambio di terre ed esenzioni fiscali.
[Leggi anche Le riforme militari dei Comneni (XI-XII sec.). Ricostruire l’esercito romano]
Simili truppe saranno usate anche dai Lascaris di Nicea nel XIII secolo, ma proprio il loro attaccamento alla dinastia porterà alla rivolta e loro successiva dissoluzione da parte di Michele VIII Paleologo, poco dopo la metà del secolo, mettendo definitivamente fine all’epopea degli 𝘢𝘬𝘳𝘪𝘵𝘢𝘪.
[Leggi anche Gli ultimi eserciti romani (XIII-XV sec.). Dalla Quarta Crociata alla fine dell’impero]
Lettura consigliata
G. Breccia 2018, Lo scudo di Cristo. Le guerre dell’impero romano d’Oriente
G. Cavallo (a cura di) 1992, L’uomo bizantino

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