La battaglia di Faenza (542). La prima vittoria di Totila

Dopo la cattura di Vitige e la presa di Ravenna nel 540, la guerra gotica sembra potersi dire conclusa.

Quasi l’Italia intera è stata recuperata all’impero da Belisario, e gli Ostrogoti sono confinati a nord del Po, nel nord-est della Penisola.

Tuttavia, complice anche la malagestione romana dell’esazione delle tasse e la peste giustinianea, che assesta colpi terribili anche agli eserciti imperiali, i Goti non hanno intenzione di chinare la testa.

Nel 541, si assiste all’inizio di una vera riscossa degli Ostrogoti che, dopo aver di nuovo esteso il loro dominio sull’intera Pianura Padana, al comando del loro re Ildibado sconfiggono il forte presidio imperiale di Treviso in battaglia.
Il nuovo comandante della guarnigione gota a Treviso assurgerà, alla fine del 541, a re dei Goti.

Il suo nome è Baduila, ma è passato alla Storia con il più famoso nome di Totila, “l’immortale”.

Nonostante le recenti vittorie, Totila sa che dovrà rafforzare la sua posizione e il suo esercito, certo non numeroso, con almeno un’altra vittoria.

Venuto a sapere di cosa sta accadendo in Italia, Giustiniano ordina che gli ufficiali presenti sul territorio del nord-est si radunino a Ravenna al comando degli ufficiali Costanziano e Alessandro (il famigerato “Forbicina”).
Radunato un esercito di dodicimila soldati, i Romani marciano speditamente su Verona, con l’intento di conquistarla.

L’impresa prevede di far infiltrare un piccolo gruppo di soldati nottetempo in città, le cui porte saranno aperte da un tale Marciano.
L’unico a offrirsi volontario per la missione, al comando di cento uomini, è l’armeno Artabaze, che si è già distinto sotto Belisario durante la guerra in Persia.

La missione va quasi a buon fine, se non fosse per il fatto che, quando i cento entrano in città, il grosso dell’esercito è troppo lontano, e i Goti se ne rendono ben presto conto. Artabaze e i suoi, che cadono numerosi, devono lottare per uscire da Verona e salvarsi la vita – essendo le porte state richiuse, in gran parte devono buttarsi giù dalle mura.

Visto il fallimento della missione, l’esercito imperiale si ritira per riorganizzarsi, e si ferma presso Faenza.

Illustrazione di Radu Oltean

Totila sa che deve approfittare dell’occasione e del basso morale romano. Per cui, anche se ha a disposizione solo cinquemila uomini, marcia velocemente contro l’esercito imperiale.
Anzi, visto che l’esercito romano, una volta venuto a conoscenza dell’avanzata di Totila, non fa nulla (nonostante le esortazioni di Artabaze), è Totila stesso a inviare un’avanguardia di trecento guerrieri ad assalire il campo nemico per provocare i Romani a dare battaglia.

Il piano riesce, e finalmente i Romani si schierano contro l’esercito goto, inferiore di numero. I trecento soldati mandati a provocare l’esercito imperiale, intanto, non si sono riuniti al grosso delle truppe gote.

Quando i due eserciti sono pronti, dalle schiere gote, a cavallo, esce un enorme guerriero, ricoperto da una corazza, “assai terribile di aspetto, animoso pure e valente guerriero”, lo descrive Procopio.
Il suo nome è Vàlari, e a gran voce sfida chiunque dei Romani ad affrontarlo.

Intimoriti e sbigottiti, nessuno dei soldati romani accetta la sfida.
Tranne Artabaze.

L’Armeno sprona il cavallo e si fa contro Vàlari. Arrivati a distanza, i due guerrieri tentano il colpo mortale con la loro lancia.
Artabaze è più rapido, e trafigge Vàlari al fianco destro mentre schiva il colpo avversario.

Ma il fato non è benigno con il valoroso Artabaze: mentre avanza nell’impeto della carica, l’Armeno non si accorge che la lancia di Vàlari si è incastrata nel terreno, con la punta verso l’alto.
La lama della lancia gota scivola lungo la corazza di Artabaze e lo ferisce al collo, senza però che all’inizio il coraggioso armeno si accorga della gravità della ferita.

Ben presto però Artabaze sente le forze venire meno ed è costretto a farsi curare nelle retrovie. Morirà dopo tre giorni di agonia.

Visto ferito a morte il loro campione, pur vittorioso, i Romani entrano infine in battaglia col morale a terra.
Non abbiamo dettagli da Procopio, nostra unica fonte, dello svolgimento della battaglia, per cui non ne conosciamo le fasi, né come le due parti abbiano affrontato lo scontro.

Sappiamo però come si conclude la battaglia. A un certo punto, i trecento cavalieri che erano stati mandati a provocare i Romani sbucano alle spalle dell’esercito imperiale, attaccando all’improvviso.

Colti alla sprovvista, e credendo che si tratti di molti più uomini, i Romani vanno addirittura in rotta. Molti dei fuggiaschi sono massacrati, altri ancora sono fatti prigionieri e, cosa più grave, Totila cattura tutti gli stendardi imperiali – “cosa non mai prima avvenuta ai Romani”.

Con la riscossa gota e la disfatta romana a Faenza, la guerra gotica, che sembrava conclusa vittoriosamente con pochi anni di conflitto, è destinata a riaccendersi e a durare altri undici anni, provocando nella Penisola una distruzione senza precedenti.

Fonti

Procopio di Cesarea, Le guerre


Leave a Reply