Dopo un primo periodo (VIII-VII sec. a.C.) durante il quale l’esercito romano è composto e organizzato principalmente, almeno da quanto sappiamo, su base tribale, nel VI secolo si assiste a una radicale trasformazione.
Secondo la tradizione, riferitaci principalmente da Dionigi di Alicarnasso e Tito Livio, ad attuare la riforma sarebbe stato il re di origine etrusca Servio Tullio, che avrebbe governato dal 578 al 535 a.C.

Considerando come le informazioni per le epoche più antiche di Roma vengano sempre da fonti molto più tarde, chiaramente bisogna prendere le fonti con la massima cautela.
La “riforma” serviana, infatti, più che costituire un brusco e rapido cambiamento dell’originale ordinamento militare romano (quale che fosse in realtà), è probabilmente da intendersi come un cambiamento e un affinamento piuttosto graduale della struttura militare romana.
La “riforma” serviana non riguarda inoltre tanto una riforma dell’armamento – che pure è una delle chiavi del nuovo sistema -, quanto la base del reclutamento e quanto il censo del singolo possa influire sull’armamento stesso.
Questa specifica è necessaria per spiegare come il sistema “serviano” non introduca di per sé l’armamento oplitico (che inizia a diffondersi già in periodo orientalizzante), né l’oplitismo (che non verrà mai propriamente adottato in Italia, e non nelle stesse forme presenti in Grecia).
La riforma serviana dell’esercito prevede un ampliamento della base di reclutamento, che non è più basato sugli uomini, usualmente tanto familiari quanto clienti, che la singola 𝘨𝘦𝘯𝘴 aristocratica porta alla 𝘭𝘦𝘨𝘪𝘰 – inizialmente, con questo termine si indica l’intero esercito.
Non che questo sistema sparisca da un momento all’altro. Se la tradizione fosse da considerarsi veritiera, ancora nel V secolo la 𝘨𝘦𝘯𝘴 dei Fabii è in grado di raccogliere e schierare per suo conto, per la battaglia del Cremera del 479 a.C., ben 4000 uomini.
[Leggi anche La battaglia di Roma (477-476 a.C.). La riscossa romana dopo il Cremera]
Invece che basarsi sul sistema tribale e gentilizio, il nuovo esercito romano prevede un ordinamento censitario: sono chiamati alla leva tutti coloro che hanno un reddito minimo o proprietà sopra una soglia minima, e sulla base di questa sono assegnati a una 𝘤𝘭𝘢𝘴𝘴𝘪𝘴 – nella sua forma più compiuta, la “riforma” serviana prevede ben cinque diverse classi.

Questo è un probabilmente un affinamento di un primo sistema sempre su base censitaria, nel quale la distinzione avveniva in modo più spiccio e grossolano tra la 𝘤𝘭𝘢𝘴𝘴𝘪𝘴 propriamente detta, costituita dai cittadini più ricchi e abbienti, e tutti gli altri cittadini, definiti 𝘪𝘯𝘧𝘳𝘢 𝘤𝘭𝘢𝘴𝘴𝘦𝘮.
Per come ci è stata tramandata, la riforma per classi prevede infine questa suddivisione:
-la prima classe, la 𝘤𝘭𝘢𝘴𝘴𝘪𝘴 per definizione, è costituita da cittadini con un reddito superiore ai 100.000 assi, e costituisce da sola la maggioranza dell’esercito: 80 centurie, divise in 40 di 𝘪𝘶𝘯𝘪𝘰𝘳𝘦𝘴 (17-46 anni) e 40 di 𝘴𝘦𝘯𝘪𝘰𝘳𝘦𝘴 (46-60 anni), questi ultimi destinati a restare di riserva, in difesa dell’Urbe.
Il loro è il tipico armamento oplitico – elmo, corsaletto, schinieri, 𝘤𝘭𝘪𝘱𝘦𝘶𝘴, lancia e spada.
La seconda, la terza e la quarta classe portano tutte rispettivamente 20 centurie, suddivise anch’esse in 10 di 𝘪𝘶𝘯𝘪𝘰𝘳𝘦𝘴 e 10 di 𝘪𝘶𝘯𝘪𝘰𝘳𝘦𝘴.
-la seconda classe, con un reddito tra i 75.000 e i 100.000 assi, è armata come la prima, ma invece del 𝘤𝘭𝘪𝘱𝘦𝘶𝘴 rotondo di tipo oplitico è equipaggiata con lo 𝘴𝘤𝘶𝘵𝘶𝘮 oblungo e a manopola centrale, ben più economico del primo.
-la terza classe (50-75.000 assi) si arma come la terza, ma non è tenuta a portare gli schinieri e quasi certamente qualsiasi tipo di corazza diventa una rarità.
-la quarta classe (25-50.000 assi) è tenuta a presentarsi semplicemente almeno con una lancia e un giavellotto.
Vi è infine una quinta classe (11-25.000 assi), che porta una trentina di centurie, ma con un armamento limitato a frombole e sassi – a questa classe appartengono anche i suonatori di corno e 𝘵𝘶𝘣𝘢.
Esistono infine due componenti che sono da considerarsi al di fuori del sistema delle cinque classi “serviane”.
Da una parte abbiamo infatti i 𝘤𝘢𝘱𝘪𝘵𝘦 𝘤𝘦𝘯𝘴𝘪 o 𝘢𝘥𝘤𝘦𝘯𝘴𝘪, coloro che sono troppo poveri per prestare il servizio militare (e quindi anche per avere, agli occhi dei Romani, una vera importanza politica) – venivano inquadrati in un’unica centuria solo in caso di estrema necessità e senza armi, per provvedere a riempire i vuoti o per occuparsi di compiti umili, come raccogliere le armi.

Nonostante nei successivi cinque secoli venga gradualmente abbattuta la differenza censitaria per essere chiamati alle armi, i 𝘤𝘢𝘱𝘪𝘵𝘦 𝘤𝘦𝘯𝘴𝘪 troveranno il loro riscatto e un loro vero posto nell’apparato militare dell’Urbe solo verso la fine del II sec. a.C., con le riforme di Gaio Mario.
All’estremità opposta della scala sociale, si può ben dire al di sopra della prima classe, vi è l’aristocrazia dei patrizi.
Questi forniscono la cavalleria dell’esercito romano (che per le sue forze montate farà, col tempo, sempre più affidamento a truppe di alleati), con 18 centurie.
[Leggi anche La cavalleria romana. La forza montata delle legioni]
Fonti
Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane
Tito Livio, Ab Urbe Condita
