La battaglia di Roma (477-476 a.C.). La riscossa romana dopo il Cremera

Nel 477 a.C., secondo la tradizione, si consuma la disfatta del Cremera – una battaglia la cui storicità è in realtà dibattuta, come forse vedremo in futuro.

In estrema sintesi: visto che Roma si trova in un momento di crisi e di guerra aperta su troppi fronti, la famiglia dei Fabii si incarica (con tutto il suo seguito armato, per un totale di circa 4300 uomini tra appartenenti alla 𝘨𝘦𝘯𝘴 e 𝘤𝘭𝘪𝘦𝘯𝘵𝘦𝘴) di prendere sulle spalle il peso della guerra contro uno dei vicini più pericolosi, gli Etruschi di Veio.

Dopo aver sconfitto diverse volte gli Etruschi e aver razziato il loro territorio, usando come base un 𝘤𝘢𝘴𝘵𝘳𝘶𝘮 sul fiume Cremera, i Fabii e il loro esercito vengono infine distrutti – secondo la tradizione, un solo membro della 𝘨𝘦𝘯𝘴 Fabia resta in vita.

A seguito della vittoria, gli Etruschi decidono di vendicarsi ulteriormente delle devastazioni subite negli ultimi mesi e avanzano su Roma.
Ad affrontarli viene mandato il console Tito Menenio, che viene però sconfitto, consentendo così ai Tirreni di occupare il Gianicolo.

Anche il secondo console, Gaio Orazio, è infine costretto a essere richiamato dalla campagna contro i Volsci per difendere l’Urbe.

Gli Etruschi riescono ad attraversare il Tevere e si combattono altre due battaglie nei dintorni di Roma, e per la precisione a est della città.
Di questi due scontri sappiamo però pochissimo: una prima battaglia, di esito incerto, è combattuta presso il Tempio della Speranza – all’epoca un tempio fuori città, presso l’Esquilino -, mentre la seconda più a nord, davanti a Porta Collina.

Sappiamo solo che quest’ultima è una vittoria romana, e anche se di misura serve a rinfrancare lo spirito dei soldati.

Scontro tra opliti, basato sull’Olpe Chigi. All’epoca del Cremera, gran parte dell’esercito romano è composto proprio da opliti.
Illustrazione di Angus McBride

Tuttavia, è impossibile sloggiare gli Etruschi dal Gianicolo, che si apprestano a restituire il favore reso loro dai Fabii facendo patire a Roma la fame e saccheggiando il suo territorio nei mesi successivi.
“In nessun luogo erano al sicuro il bestiame e i contadini”, sintetizza Tito Livio.

Nel frattempo, a Menenio e Orazio succedono come consoli Aulo Virginio e Spurio Servilio.

I Romani alla fine escogitano uno stratagemma per costringere gli Etruschi a venire allo scoperto in modo disorganizzato dalla loro forte posizione: lasciano disponibile in bella vista una mandria di bestiame, così che possa essere portata via dai nemici.
Ironicamente, si tratta proprio dello stesso trucco che gli Etruschi hanno usato contro i Fabii nelle fasi iniziali della battaglia del Cremera.

I Veienti, attaccati a sorpresa e del tutto impreparati dai Romani, subiscono un gran numero di perdite e si ritirano sul Gianicolo, ma non senza meditare vendetta.
Nottetempo attraversano il Tevere e tentano un attacco all’accampamento del console Servilio, ma vengono sonoramente battuti.

Ritiratisi di nuovo sul Gianicolo, gli Etruschi assistono alla costruzione di un accampamento alle pendici del colle da parte di Servilio.
Il giorno ancora successivo, all’alba, il console decide che vuole farla finita e conduce i suoi soldati lungo le pendici del colle, ma è troppo precipitoso, imbaldanzito dal successo del giorno prima e dalla mancanza di viveri sempre più pressante.

Servilio subisce “un rovescio più vergognoso che quello dei nemici il giorno prima”, ma alla fine è tratto in salvo dall’arrivo di Virginio e delle sue truppe, alle spalle dei Veienti.

Ora presi tra due eserciti, gli Etruschi vengono schiacciati e, secondo Tito Livio, sterminati dal primo all’ultimo.

Fonti

Tito Livio, Ab Urbe condita


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