La conquista di Aleppo (962). La “morte pallida dei Saraceni”

Nel 962, un anno dopo essere tornato vincitore dalla riconquista di Creta dagli Arabi, il 𝘥𝘰𝘮𝘦𝘴𝘵𝘪𝘬𝘰𝘴 𝘵𝘰𝘯 𝘴𝘤𝘩𝘰𝘭𝘰𝘯 (comandante supremo) Niceforo Foca si prepara a lanciare una campagna in grande stile contro l’emirato di Aleppo.

La dinastia Hamdanide è valorosamente guidata da Sayf ad-Dawla, “La spada della dinastia”, ma il suo emirato (emerso come potenza indipendente da circa una ventina d’anni) non riesce efficacemente a resistere alle offensive romane, ora che l’impero è in una vera e propria fase di riscossa e rinascita.

Sayf ad-Dawla si è rivelato un osso duro per l’impero, dalla sua ascesa al potere nel 945 e dopo avere posto la sua corte e capitale ad Aleppo. Da qui, vicinissimo alle frontiere, è ben presto emerso nel mondo musulmano come il campione contro le nuove e sempre più decise offensive cristiane in Siria e nell’alta Mesopotamia.
Entro la sua morte, nel 967, si dice che abbia combattuto in ben quaranta battaglie contro i Romani.

[Leggi anche Paradromès. La guerra di frontiera contro gli Arabi (VIII-X sec.)]

Il primo decennio di lotta ha visto Sayf ad-Dawla usualmente vittorioso sulle truppe imperiali, tanto da portare nel 954 l’imperatore Costantino VII a deporre Barda Foca dal suo ruolo di 𝘥𝘰𝘮𝘦𝘴𝘵𝘪𝘬𝘰𝘴 𝘵𝘰𝘯 𝘴𝘤𝘩𝘰𝘭𝘰𝘯 per sostituirlo con il figlio, il quarantenne ed energico Niceforo Foca.

Niceforo, soldato sin dalla gioventù, emerge ben presto come un grande comandante, combattente individuale valoroso e adorato dai suoi soldati, e nel giro di sei anni capovolge completamente le sorti della guerra.
Nelle fonti arabe è temuto e rispettato, e si guadagna il soprannome di “Nikfour”, “Il martello”.

Sayf ad-Dawla tenta un’offensiva più importante solo quando Niceforo è assente per via della campagna di Creta, ma il leader Hamdanide è sconfitto nella battaglia di Adrassos e sfugge a malapena – a contrastarlo c’è uno degli esperti luogotenenti di Niceforo, il fratello Leone Foca.

La campagna di Niceforo inizia non appena quest’ultimo torna da Creta, già nel 961.
La sua prima azione è l’assalto di Anazarbo, insediamento sulla frontiera con l’emirato di Aleppo, le cui mura sono rase al suolo e la sua popolazione in parte uccisa nell’attacco, il resto espulso.

Si tratta probabilmente di una strategia deliberata per tagliare le vie di rifornimento tra la Cilicia e il vero obiettivo di Niceforo: Aleppo.

Nella primavera del 962 infatti, mentre Sayf ad-Dawla è impegnato nella ricostruzione di Anazarbo, Niceforo ignora completamente la Cilicia e devasta le città della Siria settentrionale, per assicurarsi i passi di montagna che conducono verso Aleppo.
Ancora ignaro del pericolo, Sayf ad-Dawla reagisce ordinano dei raid in territorio imperiale.

Solo tra novembre e dicembre finalmente l’emiro si rende conto di cosa sta succedendo, quando Niceforo conquista Manbij (I’antica Ierapoli Bambice), ultima città a nord di Aleppo, e verso la fine di dicembre muove direttamente su Aleppo stessa.

L’attacco coglie Sayf ad-Dawla di sorpresa: non si aspettava che l’esercito imperiale avrebbe attaccato nel pieno della stagione invernale. L’emiro è costretto a racimolare forze come può dai suoi domini, mentre un grande esercito romano avanza contro gli appena 4000 uomini a difesa di Aleppo.

Le fonti arabe, forse esagerando, parlano di 70.000 Romani, ma una forza di spedizione più realistica sembra potersi attestare a 30-35.000 soldati.

[Leggi anche La fanteria romana in epoca altomedievale (IX-XII sec.)]

Le forze hamdanidi tentano di ingaggiare i Romani in alcune confuse e scoordinate scaramucce per rallentare l’esercito imperiale, ma vengono efficacemente sconfitte e respinte da un esperto e fidato sottoposto di Niceforo, il nipote Giovanni Tzimisce.

Subito dopo, le forze imperiali infine attaccano Aleppo. La resistenza offerta da Sayf ad-Dawla e dai suoi pochi uomini può poco contro la potenza di Niceforo, e ben presto l’emiro fugge dalla sua capitale nella fortezza di Balis (l’antica Barbalissos), ma inseguito da Tzimisce è costretto a fuggire ancora più a est.

I Romani saccheggiano il palazzo di Sayf ad-Dawla, ricavandone un enorme bottino – persino le sue tegole, d’oro, vengono saccheggiate -, per poi raderlo al suolo.
Gli abitanti di Aleppo, visto che ormai non c’è più speranza, tentano di negoziare con Niceforo, ma presto in città scoppia il caos.

Il 𝘥𝘰𝘮𝘦𝘴𝘵𝘪𝘬𝘰𝘴 𝘵𝘰𝘯 𝘴𝘤𝘩𝘰𝘭𝘰𝘯, la cui filosofia di guerra prevede l’annichilimento totale del nemico, approfitta della situazione per ordinare, tra 23 e 24 dicembre, l’assalto alla città.
Aleppo è presa (tranne la cittadella, presidiata da soldati daylamiti) e saccheggiata, il bottino è immenso: 10.000 prigionieri, 390.000 dinar, 2000 cammelli, 1400 muli.

Sayf ad-Dawla, il cui potere è ormai annientato, regnerà ancora per poco, morendo nel 967 e senza riportare altre vittorie contro l’impero.

Il 𝘥𝘰𝘮𝘦𝘴𝘵𝘪𝘬𝘰𝘴 Niceforo, al contrario, ascende alla porpora nell’agosto del 963.

Oltre al soprannome “Il martello”, Niceforo, per la presa di Aleppo e per le sue vittoriose campagne in Oriente, viene onorato in patria di un epiteto ancora più evocativo: “morte pallida dei Saraceni”.

Letture consigliate

N. Bergamo 2013, La morte pallida dei Saraceni. Le “Crociate” di Bisanzio

W. Treadgold 1997, A History of Byzantine State and Society


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