Romani contro Spartani. L’assedio di Sparta (195 a.C.)

“Chi vincerebbe uno scontro tra Romani e Spartani?”

E’ una di quelle domande che penso prima o poi in molti si saranno fatti, catturati dall’immagine iconica (e come dico sempre, spesso stereotipata) di questi due eserciti.

Ebbene, in realtà la risposta ce la dà la Storia.
Già in passato ho parlato della fallita impresa di Cleonimo del 302 a.C., che probabilmente viene sconfitto dai Romani in Campania – e sicuramente dai Veneti nei dintorni di Padova.

[Leggi anche Romani vs Spartani? La fallita impresa di Cleonimo]

Ma quella non è l’unica occasione in cui Roma incontra Sparta sul campo di battaglia.
Ben più importante, e senza troppi dubbi, è lo scontro tra Romani e Spartani che si consuma nel 195 a.C.

Lo sfondo è la cosiddetta, e generalmente poco nota, guerra laconica – che tratterò in dettaglio in un futuro articolo.

In breve: dopo aver sconfitto il regno di Macedonia nella seconda guerra macedonica, con la battaglia di Cinocefale del 197 a.C., alla città-Stato di Sparta e al suo re Nabide, che già controlla un ampio territorio nel Peloponneso, è garantito da Roma il controllo della città di Argo, parte della lega achea.
Nabide ne ha preso possesso dopo aver voltato faccia alla coalizione romano-greca, ma vedendo la mala parata ritorna con lo schieramento anti-macedone, senza però abbandonare la città.

Due anni dopo, la lega achea si rivolge a Roma e al suo rappresentante in Grecia, Tito Quinzio Flaminino (il vincitore di Cinocefale), perché intervenga a riportare equilibrio alla situazione.
Flaminino riceve pieni poteri dal Senato affinché agisca come ritenga più opportuno – ovvero, venendo incontro alle richieste della lega e ridimensionando il potere di Nabide.

La guerra laconica non vede grandi scontri campali tra l’esercito della coalizione romano-greca (alla quale prendono parte anche alcune truppe macedoni) e l’esercito spartano – quest’ultimo composto da cittadini, armati come falangiti ellenistici e non ovviamente come opliti all’antica, e da truppe mercenarie.

Un punto di svolta importante si ha con la conquista di Gythium (oggi Giteo), il principale arsenale militare e porto di Sparta, a sud della città.

La guerra giunge infine proprio sotto le mura di Sparta (tradizionalmente senza mura, in questa fase storica anche l’antica Lacedemone è una città fortificata).
Vista la caduta di Gythium, Nabide sarebbe disposto ad arrendersi e ad abbandonare Argo, ma la componente greca della coalizione non ne vuole sapere: vuole conquistare Sparta e rovesciare Nabide.

Scontro tra legionari romani e falangiti ellenistici. Nel II sec. a.C., anche gli Spartani hanno adottato da tempo la panoplia del falangita, armato di piccolo scudo e sarissa.

Nonostante l’iniziale parere contrario di Flaminino, l’esercito della coalizione si accampa di fronte a Sparta, forte di 50.000 uomini – di cui circa 40.000 Romani. L’esercito di Nabide conta probabilmente intorno ai 10-15.000 soldati, tra cittadini, alleati e mercenari.

Flaminino ha intenzione di chiudere presto la faccenda, per cui invece che un lungo assedio preferirebbe un assalto alla città.

A cinque giorni dall’inizio dell’assedio, dopo qualche tentativo di scaramuccia da parte degli assediati, si profila la prima occasione, con una battaglia “quasi regolare”, come dice Tito Livio, scatenata da una sortita spartana.
Gli Spartani sono respinti dentro le mura e vengono in gran parte massacrati dai Romani mentre fuggono. Nell’inseguimento, alcuni legionari riescono persino a penetrare in città attraverso alcuni varchi che interrompono le mura – senza però ottenerne alcun effetto.

Flaminino decide che è ora di assaltare Sparta.
Circondata completamente la città e preparate le truppe con tutto il necessario (scale, torce, “altri arnesi atti non solo ad attaccare ma anche ad atterrire”), Flaminino ordina che Sparta sia assalita da tutti i lati – cosa che rende agli Spartani difficile la difesa.

Il combattimento ben presto si sposta per le strade, e all’inizio questo mette in difficoltà i Romani, ma alla questi iniziano ad avere la meglio, anche grazie al loro equipaggiamento.
Molte delle truppe spartane tentano infatti di scagliare giavellotti contro i Romani, che però si difendono con i grandi scudi. Inoltre molti lanci, proprio a causa dello spazio limitato, hanno un’efficacia limitata.

La resistenza è però accanita, poiché oltre che da davanti i Romani si devono difendere anche dal lancio di giavellotti e tegole dall’alto, dai tetti. I legionari si dispongono quindi in testuggini per resistere alla pioggia mortale.

Alla fine i Romani riescono a uscire dagli spazi angusti delle strade di Sparta: “quando però, incalzando il nemico, poco alla volta giunsero in una strada più ampia della città, non si potè più resistere alla loro forza e al loro impeto.”

Uno dei generali di Nabide, Pitagora, ordina così di dare fuoco agli edifici più vicini alle mura, facendoli crollare sui parte delle truppe romane: “non soltanto frammenti di tegole, ma anche travi semibruciate raggiungevano i soldati […] il fumo provocava un terrore ancora più grande del reale pericolo”.

Flaminino fa così ritirare le proprie truppe, e per altri tre giorni i Romani tentano l’assalto a Sparta, al contempo sbarrando con opere d’assedio le eventuali vie di fuga.

Alla fine, Nabide è costretto a inviare Pitagora a parlamentare una resa.
Il re di Sparta manterrà il trono e un potere molto ridimensionato, ma deve liberare Argo, abbandonare le sue città costiere e cedere a queste la sua flotta, nonché pagare un’indennità di guerra per i successivi otto anni e consegnare uno dei suoi figli come ostaggio.

Anche se non per mano di Roma, la lunga parabola di una Sparta indipendente si concluderà nel giro di tre anni.

Quanto ai Romani, possono senza dubbio affermare di aver sconfitto anche gli Spartani – che, pur avendo senz’altro perso molto dell’antica fama e dell’alone leggendario di due secoli prima, si sono comunque rivelati un avversario quanto mai difficile da piegare.

[Leggi anche Legione contro Falange: sconfiggere un nemico formidabile]

Fonti

Tito Livio, Ab Urbe Condita


Leave a Reply