L’uso del cane in guerra, per i più svariati compiti (guardia, esplorazione, caccia, e attacco vero e proprio in battaglia), è antichissimo.
Nelle fonti classiche, il cane accompagna gli eserciti antichi del mondo greco ed ellenistico e di diverse popolazioni orientali in un numero veramente notevole di citazioni.
E i Romani?
Be’…la situazione è meno ovvia di quanto si pensi.
Infatti, nonostante film, videogiochi e media artistici ci abbiano consegnato l’immagine onnipresente del cane da guerra romano (che almeno in rete si trova perpetuamente chiamato “canis pugnax“), un molosso da cui deriverebbero diverse razze moderne, la realtà è che le fonti che parlano dell’uso di cani da guerra in battaglia da parte dei Romani sono scarsissime.
O meglio, almeno dalla ricerca fatta finora, sembrano essere letteralmente inesistenti.
Plinio il Vecchio, per esempio, in un lungo capitolo della Naturalis Historia dedicata al cane, menziona diversi esempi dell’uso del cane in battaglia…ma mai da parte dei Romani.
Sono invece raccontati, relativamente al mondo romano, aneddoti sulla ferocia e sulla fedeltà dei cani nei confronti di singoli padroni e proprietari.
Le fonti scritte sono davvero silenti su questo tema, e non sembra esserci traccia di tale uso.
Anche le fonti archeologiche e iconografiche lasciano a desiderare, e anzi probabilmente confermano l’assenza di questa prassi.
A livello archeologico, uno degli studi migliori sui resti canini romani è stato fatto sui cani di Vindolanda, lungo il vallo di Adriano.
Ebbene, se è confermata la presenza e l’allevamento di cani in seno all’esercito, o almeno alle guarnigioni, tuttavia nessuna delle razze di maggiori dimensioni che si è riuscito a studiare ricostruire mostrava segni di uso in battaglia.
Alcuni esemplari mostravano ferite guarite e rimarginate, ma che erano frutto delle zanne di cinghiali, dimostrando l’uso di questi cani per la caccia di selvaggina di grossa taglia.
Le fonti iconografiche di cani collegate al mondo bellico sono terribilmente scarse.
La più famosa, quasi unica, ma tutt’altro che risolutiva, è l’immagine di due cani di grossa taglia tenuti al guinzaglio da un legionario sulla Colonna di Marco Aurelio, che narra e celebra la vittoria nelle guerre marcomanniche (è proprio l’immagine che vedete qui).

Questi cani non sono però mostrati usati in battaglia, ed è infatti probabile che avessero un’altra funzione: i soldati stanno bruciando e saccheggiando un villaggio, per cui si può presumere che i due cani rappresentati, visto anche che sono legati, siano stati usati per trovare persone nascoste o in fuga dal villaggio, da fare come prigionieri (sintetizzando, sono usati per andare “a caccia” di uomini).
Sono rappresentati due grossi cani anche in una scena di sbarco di truppe, sempre dalla Colonna.
L’unico altro cane rappresentato vicino a dei militari accompagna un cavaliere sul pannello più alto dell’arco di Galerio a Tessalonica, ma anche in questo caso la scena non è bellica, trattandosi infatti di una processione trionfale.
Insomma, alla luce delle fonti appare evidente che, al contrario della suggestiva immagine che continuiamo a propagare sul tema, i Romano non usavano affatto cani in battaglia – e ciò in effetti sarebbe anche uscito dagli schemi usuali di come operava l’esercito romano sul campo.
Tuttavia, come ben dimostrato dalle fonti archeologiche e da quelle scritte, il cane aveva comunque un posto nell’esercito romano, seppur forse meno “suggestivo” ai nostri occhi.
Ne è infatti testimoniato l’uso come cane da guardia e quasi sicuramente da difesa – senza tirare in ballo l’episodio delle oche del Campidoglio, cani da guardia come mezzo di allerta contro attacchi nemici sono per esempio testimoniati ancora in Vegezio, a cavallo tra IV e V sec. d.C.
Come testimoniato poi dai reperti archeologici da Vindolanda, il cane era compagno del soldato romano durante la caccia.
Probabilmente non solo a caccia di fauna ma anche di fuggitivi e nemici che si danno alla macchia, come attestato in alcune fonti greche ed ellenistiche, nonché in ambito romano: l’uso dei cani con questo scopo è attestato dal più tardo Zonara, che descrive come il console Pomponio Matone, nel 231 a.C., porti dall’Italia in Sardegna cani feroci per stanare i ribelli. Inoltre, come abbiamo già visto, è quasi certamente l’uso che viene fatto dei cani nella scena dalla Colonna di Marco Aurelio.
Lettura consigliata
Bennett D. e R. M. Timm 2016, The dogs of Roman Vindolanda, Part II: Time-stratigraphic occurrence, ethnographic comparisons, and biotype reconstruction, in “Archaeofauna”, 25, pp. 107–126
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