Il viso di Teodora è ormai quasi un’icona popolare ben stampata nelle nostre menti e facilmente riconoscibile.
Ma chi era veramente questa donna? Quanto realmente conosciamo della sovrana? E cosa si nasconde dietro la ieratica e splendente immagine dei mosaici della basilica di San Vitale a Ravenna?
Le fonti
Prima di passare a narrare la vita di una delle più celebri imperatrici romane di sempre, è utile fare luce su quali siano le fonti utilizzate per parlare di lei.
Le fonti letterarie che riguardano direttamente la biografia di Teodora sono piuttosto scarse, nonostante l’ampia produzione letteraria di epoca giustinianea, e il suo nome compare inoltre occasionalmente in epigrafi greche e latine relative alla costruzione di chiese e o di mura.
La Storia Segreta di Procopio di Cesarea è senza dubbio l’opera principale riguardo la vita dell’imperatrice, sia pur con tutti i limiti che presenta (la figura di Teodora ne esce fortemente demonizzata). Lo stesso storico inoltre parla raramente di lei in altre opere, e con toni totalmente differenti, come nei libri sulle guerre e sugli edifici.
Ulteriori informazioni possono essere ricavate dalla Cronografia di Giovanni Malala, un avvocato originario di Antiochia, vissuto tra il 491 e il 578, e dalla Storia Ecclesiastica di Evagrio.
Il primo fu uno dei principali esponenti del genere storiografico che trovava espressione nelle cronache universali, un genere letterario destinato a riscuotere un grande successo a Bisanzio.
A differenza dei testi di Procopio, infatti, scritti in un greco aulico, elegante, raffinato, vicino al modello classico, in queste opere si fa ricorso alla lingua popolare.
Alla narrazione di grandi avvenimenti, si prediligono aneddoti e notizie curiose, ricchi di particolari per renderli gradevoli ad un pubblico molto più ampio e con modeste pretese letterarie. Dal punto di vista strutturale, la narrazione prende per lo più avvio dalle origini del mondo e prosegue fino ai tempi dell’autore.
Nel caso della Cronografia, essa muove i primi passi dalla creazione dell’uomo fino a giungere al 563, anche se forse vi è una sezione perduta che proseguiva fino al 575.

La Storia Ecclesiastica di Evagrio Scolastico (536 – fine del VI secolo), avvocato giunto nella capitale nel 588 per ricoprire la carica di questore e prefetto onorario, appartiene a un altro genere letterario in voga a Costantinopoli (le storie ecclesiastiche, appunto), con ampie aperture anche sulla storia profana. Tratta il periodo del concilio di Efeso del 431 al 593 e ricorda, seppur brevemente, Teodora.
Altre informazioni provengono dai scritti di Giovanni Lido, funzionario della prefettura del pretorio d’Oriente, autore del Sulle magistrature del popolo romano.
Altre notizie utili per ricostruire le vicende dell’epoca vengono da scritti e fonti più tarde come il Chronicon Paschale, una composizione anonima del VII secolo, così detta perché il computo della festività pasquale ne costituisce il sistema cronologico. Si tratta di una cronaca universale cha va da Adamo al 627, forse redatto da un ecclesiastico contemporaneo dell’imperatore Eraclio.
Ancora tra le fonti greche di epoca giustinianea, si annovera la Vita di S. Saba, e i componimenti poetici di Paolo Silenziario.
La compilazione giuridica giustinianea non nomina mai l’imperatrice, eccezion fatta per la Novella 8 del 535, nel cui prologo si fa esplicitamente riferimento a Teodora come ispiratrice, assieme a Giovanni di Cappadocia, del divieto di vendita delle cariche pubbliche. A lei, tuttavia, possono ascriversi direttamente o indirettamente alcuni leggi, come l’abolizione del divieto per i patrizi di sposare le attrici o le norme sul diritto familiare.
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Il monaco Teofane Confessore è autore di una cronaca cha parte dal 284 e arriva ai suoi tempi (VIII-IX sec.), mentre Giovanni Zonara (XIII secolo) ci ha lasciato una Epitome Historiarium, che parte dalla creazione del mondo fino ai tempi di Alessio I Comneno (1118), il cui libro XIV è dedicato a Giustiniano e Teodora.
Anche le fonti latine non abbondano di informazioni su Teodora.
Nelle Variae di Flavio Aurelio Magno Cassiodoro, aristocratico romano e alto funzionario al servizio dei re Ostrogoti, si trovano alcune lettere inviate a Teodora dal re Teodato, da Amalasunta e dalla regina Gudeliva.
Vittore, vescovo di Tunnuna in Africa, ci ha lasciato una cronaca dal 444 al 566, che è fortemente ostile all’imperatrice per via di dissidi religiosi. Lo stesso atteggiamento è riscontrabile nell’opera dell’arcidiacono Liberato di Cartagine, che tratta le controversie fra nestoriani e monofisiti nel V e nel VI secolo, ed è contro la condanna dei “Tre Capitoli”, voluta da Giustiniano.
Le fonti orientali coeve o postume sono molto più benevole nei confronti di Teodora, con la quale condividono il credo religioso. Si hanno diverse opere redatte in siriaco, tra cui una cronaca anonima del VI secolo, che fornisce importanti notizie sulla sovrana.
Il vescovo Giovanni di Efeso ( 507 – 588) redasse verso il 569 le Vite dei santi orientali, una serie di biografie di monaci monofisiti, in cui spesso l’operato dell’imperatrice viene esaltato. Il mito di Teodora si consolida poi nelle opere tarde di Michele Siriano e Bar Ebreo.

La giovinezza
La Storia Segreta di Procopio di Cesarea è forse la fonte più completa sulla giovinezza di Teodora, e come sappiamo lo storico non va molto per il sottile nel descrivere aspetti scabrosi (veri o fittizi che siano) della gioventù dell’imperatrice.
Da una parte però è ragionevole, dato che l’opera, destinata a restare inedita, era rivolta agli oppositori della coppia imperiale, e il passato burrascoso di Teodora ben si prestava a un tale scopo diffamatorio.
Anche i suoi contemporanei a lei favorevoli, non si facevano scrupoli a definirla come l’imperatrice “venuta dal bordello”, senza però sminuire il suo operato, o la sua moralità, che non fece alcun scandalo per ben venti anni di regno.
Fonti tarde siriache parlano della donna come originaria di un villaggio in Siria, e figlia di un sacerdote da cui sarebbe stata cresciuta nelle fede monofisita. La fama della sua bellezza sarebbe poi giunta a Costantinopoli e Giustiniano, desideroso di incontrarla, si recò in Siria dove si sarebbe innamorato di lei a tal punto da chiederla in moglie. Teodora avrebbe accettato chiedendo però di non abiurare il proprio credo, ma anzi di essere aiutata a difenderla.
La realtà tuttavia è ben diversa: Teodora nacque con molta probabilità attorno al 500 a Costantinopoli, figlia di un certo Acacio, guardiano di orsi all’ippodromo per conto della fazione dei Verdi, e di una donna, di cui non conosciamo nemmeno il nome, ma sicuramente legata all’ambiente del circo.
Acacio morì di malattia durante il regno di Anastasio I, lasciando tre figlie: Comitò, Teodora, e Anastasia. La vedova di Acacio, caduta in miseria, si risposò con un uomo dello stesso ambiente, ma che non aveva lo stesso status del defunto marito. Così, la donna un giorno, che l’ippodromo era gremito, si presentò in pubblico con le figlie. Alla loro vista, la fazione degli Azzurri, per far un dispetto ai rivali, diede lavoro al marito.
Nulla si sa più di quest’uomo, ma sulla scena restò la madre, che una alla volta, introdusse le figlie al mondo del teatro.
Teodora, dunque, una volta adolescente, divenne attrice, una professione legata all’ippodromo e considerata infamante. Attrice e prostituta allo stesso tempo, ma di bassa lega, ma priva di grandi doti artistiche, ma dotata di infinita bellezza (le fonti la descrivono come una donna minuta con un bel viso, la carnagione chiara e lo sguardo severo). Si dedicò all’arte dei mimi, molto in voga a Bisanzio nel VI secolo.
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Nonostante i tentavi fatti per abortire, nel 517 Teodora ebbe un figlio, del quale però non si prese cura, poiché era d’ostacolo per la sua carriera. Con molta probabilità, il padre lo portò via con sé in Arabia, e gli mise il nome di Giovanni. Solo in punto di morte, egli rivelò la verità al figlio, che si recò alla corte per chiedere udienza alla madre, ormai già imperatrice, ma Teodora, temendo la reazione di Giustiniano, lo affidò a uno dei suoi intimi e da quel momento non si seppe più nulla del giovane. Questa ovviamente è la versione di Procopio. Al contrario, più attenzioni Teodora ebbe per la figlia, anch’essa nata prima del matrimonio con il sovrano, dalla quale ebbe addirittura un nipote, per il quale cercò di combinare delle nozze vantaggiose.
Nel 518, Teodora divenne l’amante di un illustre cittadino, Ecebolo, ma il legame non durò a lungo, e l’uomo la cacciò, lasciandola girovagare per l’Oriente soffrendo la miseria, fra Alessandria ed Antiochia, dove probabilmente fece commercio del suo corpo. Ad Antiochia, conobbe una ballerina, Macedonia. Di questa donna non sappiamo molto, se non che aveva amicizie influenti e che intratteneva contatti epistolari addirittura con Giustiniano, quando ancora non era imperatore.
Questo periodo fu fondamentale per Teodora anche dal punto di vista spirituale: venne battezzata dal patriarca monofisita d’Alessandria, Timoteo IV, e frequentò il teologo Severo di Antiochia. Forse proprio questa sua profonda conversione, la spinse a condurre una vita meno sregolata.
Nel 522, Teodora fece ritorno nella capitale, dove conobbe Giustiniano, che si invaghì di lei.
Senza tener conto delle difficolta di un’unione con una donna dal passato così discutibile, la scelse come amante e la sistemò nel Palazzo di Hormisdas (noto anche come Boukoleon, parte del complesso del Gran Palazzo di Costantinopoli).
L’anno seguente, Giustiniano fece concedere a Teodora dallo zio la dignità di patrizia. L’unico ostacolo rimasto all’unione dei due amanti era la consorte di Giustino I, Eufemia.
Ma di lì a poco, la sovrana morì (forse nel 523) e ogni impedimento venne meno: su pressione del nipote, l’imperatore fece abrogare la legge che vietava a senatori ed alti dignitari di sposare donne di condizione servile, attrici e prostitute. Giustino, inoltre, che affermava di agire per bontà cristiana, si preoccupò anche delle eventuali figlie delle attrici, nate prima o dopo il pentimento e l’abbandono della professione, alle quali si estendeva la possibilità di sposarsi senza restrizioni.
Comunque, anche se ancora nella veste di amante, Teodora aveva già acquisito un certo prestigio, e aveva iniziato a occuparsi degli affari pubblici, diventando un punto di riferimento per gli adepti del credo monofisita.
Teodora Augusta
Una volta incoronata imperatrice, anche se formalmente accettava il ruolo subordinato imposto dalla tradizione bizantina, Teodora pretese in molti casi di delineare la sua linea politica, non sempre concorde con quella del marito.
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A differenza del costumi morigerati di Giustiniano, Teodora visse approfittando di tutti i lussi connessi alla sua nuova condizione sociale. Aveva una grande cura per il suo corpo e l’aspetto fisico, al quale destinava “cure superiori al necessario ma inferiori a quelle che avrebbe voluto”: al mattino entrava nel bagno e vi passava parecchio tempo, per poi fare colazione, e riposare. A pranzo e a cena gustava ogni tipo di cibo e di bevanda, soprattutto vino.
Amava trascorrere il tempo nei sobborghi marittimi di Costantinopoli, detti Hierion, dove Giustiniano aveva fatto costruire degli edifici, che potevano essere però riforniti solo via mare. Si recava inoltre alle terme di Pythium, in Bitinia.
Possedeva numerose proprietà, e arrivavano rendite dalla Cappadocia. Ben presto la sua fortuna superò quella del consorte.

Nonostante l’amore per la ricchezza e il lusso, la sua moralità non fu mai oggetto di scandalo una volta salita al trono. Anche se Procopio ci riporta solo un pettegolezzo, chissà se veritiero, su una relazione con Areobindo, un giovane servitore barbaro.
Teodora, però, come sarebbe stato suo costume, mise fine alla cosa con la crudeltà che le viene spesso attribuita: anche se follemente innamorata di lui, lo avrebbe fatto torturare senza ragione, e da quel momento il servitore sarebbe sparito nel nulla.
Al contrario di Giustiniano, infatti, Teodora aveva un carattere scontroso e duro. Secondo il suo detrattore Procopio, l’imperatrice mostrava una crudeltà disumana.
Non volle nemmeno più aver rapporti con le sue colleghe del circo, con le quali già da giovane si trovava in contrasto, ad eccezione di tre ex ballerine, due di nome Crisomallo e l’altra Indaro, che la seguirono addirittura a Palazzo.
Giustiniano non aveva un grande trasporto per gli aristocratici, da cui era lontano per costumi e per tradizione familiare, e Teodora a sua volta il detestava, per via delle umiliazioni subite in giovane età. La coppia appesantì dunque il già rigido protocollo di corte, introducendo una nuova forma di ossequio al sovrano: un vero schiaffo alla nobiltà.
Di fronte all’imperatrice non era prevista alcuna forma di genuflessione, ma Teodora introdusse l’obbligo di gettarsi in terra con mani e piedi tesi, e di potersi alzare solo dopo aver sfiorato con le labbra il piede di entrambi. Anche nell’uso dei titoli vennero realizzate significative novità.
La rigidità dell’etichetta poteva essere tuttavia interrotta di fronte a qualunque monaco illustre, vista l’importanza e la considerazione che simili individui godevano nel mondo romano del periodo.
Al contrario di Giustiniano, Teodora concedeva raramente il suo tempo ai sudditi, ed era difficile ottenere un’udienza con lei. Inoltre, senza rispettare il tradizionale contegno, la sovrana si prendeva la libertà di ricevere gli ambasciatori di altri popoli stranieri, gratificandoli con presenti, come era solito fare l’imperatore con i suoi diplomatici.
La Rivolta di Nika
La tradizionale anarchia delle fazioni del circo fu alimentata dall’atteggiamento della coppia imperiale, soprattutto quello di Teodora, col suo fervore per gli Azzurri.
L’imperatrice sosteneva gli Azzurri o, secondo Procopio, fingeva di sostenerli, consentendo loro di fare ciò che volevano nei confronti degli avversari. Il sovrano si mostrava sdegnato e irritato, ma era incapace di opporsi alla moglie.
Talvolta poi, almeno all’apparenza, si scambiavano le parti, con Giustiniano che intendeva punire gli Azzurri, e Teodora che si lamentava di essere costretta ad adeguarsi.
I più estremisti tra la fazione degli Azzurri, certi di godere dell’impunità, si davano a ogni sorta di eccessi. I Verdi, naturalmente, non erano da meno, ma la differenza consisteva nel fatto che erano perseguiti per i loro crimini.
I primi adottarono anche una sorta di “divisa” per distinguersi: si tagliavano i capelli davanti alle tempie e li lasciavano crescere dietro lunghi e disordinati, come si usava presso gli Unni, non si radevano barba e baffi come previsto dalle usanze persiane. Il loro modo di vestire era ricercato ed elegante, con tuniche strette solo sui polsi, mentre mantelli, pantaloni, e scarpe richiamavano la moda unna. Durante il giorno giravano armati di un piccolo pugnale, accuratamente celato sotto le vesti, e la notte si riunivano in gruppi aggredendo e derubando le persone in strada. Nessuno era al sicuro, nemmeno altri Azzurri che erano contrari a tali atti delinquenziali.
I Verdi, per difendersi, o passavano alla fazione opposta o cercavano rifugio dove potevano.
L’impunità, com’è logico, attirava molte persone, e gente che doveva regolare qualche conto personale.
La situazione, però, degenerò nel gennaio del 532: la scintilla fu accesa dalla consueta anarchia delle fazioni, sostenute dal popolo, e dal suo malcontento per la politica giustinianea. I Verdi guardavano di buon occhio agli eredi dell’imperatore Anastasio I.
Il 13 gennaio di quell’anno, per la prima volta le due fazioni si allearono per opporsi all’odiato sovrano. Si diedero come parola d’ordine Nika (Vinci!), usata abitualmente durante le acclamazioni. La situazione divenne così ingestibile passando dalla manifestazione a una vera e propria rivolta: fu dato fuoco alla prefettura, e l’incendio si propagò fino alle costruzioni adiacenti, tra cui il vestibolo del Gran Palazzo e la chiesa di S. Sofia.
La coppia imperiale si barricò nel Palazzo, assieme ad alcuni senatori. Il giorno seguente, Giustiniano, per cercare di placare l’ira della folla, fece svolgere nuovi giochi nell’Ippodromo, ma senza successo. La rivolta proseguì con nuovi incendi e devastazioni. La folla inferocita, era in cerca del prefetto del pretorio Giovanni di Cappadocia, e del quaestor sacri Palatii Triboniano, per ucciderli. L’imperatore, informato delle intenzioni del popolo, decise di destituirli, ma anche questo non servì allo scopo, anzi rese la situazione ancora più drammatica, vista la prova di debolezza del sovrano.
Il 15 Gennaio, cominciò a prendere definitivamente forma l’idea di sostituire Giustiniano con un membro della famiglia di Anastasio I. Alla morte del sovrano erano rimasti solo tre nipoti: Ipazio, Pompeo e Probo. I rivoltosi si diressero verso casa di questo, gridando: “Probo imperatore per la Romania” (ovvero, per la terra dei Romani) ma, non trovandolo, diedero fuoco all’abitazione. I due giorni seguenti, si ebbero nuovi incendi e combattimenti per le strade. La sera del 17 Gennaio, Giustiniano, in preda al panico, allontanò dal Palazzo i senatori, assieme a Ipazio e Pompeo, fornendo così i capi che ancora mancavano alla rivolta.
Giustiniano, inoltre, tenne un discorso dalla tribuna imperiale dell’Ippodromo: “In nome di questa podestà vi condono l’offesa che mi avete fatto e ordino che nessuno di voi venga arrestato. Calmatevi, dunque. Voi non avete alcuna colpa, essa è soltanto mia. I miei peccati, infatti, mi hanno spinto a non concedere ciò che mi avete chiesti all’Ippodromo”.
L’esito fu disastroso: molti lo insultarono, e l’imperatore ritenne più opportuno andarsene. I rivoltosi si diressero presso l’abitazione di Ipazio per proclamarlo imperatore, conducendolo al foro di Costantino per una sorta di cerimonia di incoronazione. Ipazio, in realtà, non ne aveva intenzione alcuna. Così, lo trascinarono, vestito con un mantello bianco, giunti al foro, gli misero addosso le insegne imperiali e un collare d’oro sul capo.
La parte più estremista della popolazione era ora intenzionata a farla finita una volta per tutte con la coppia imperiale e a prendere d’assalto il Palazzo.
Ipazio, invece, alla fine prese coraggio e si recò, col fratello e l’ex prefetto del pretorio Giuliano, al Kathisma per rendere ufficiale l’investitura – anche se, in cuor suo, Ipazio temeva la mutevolezza del popolo, e pensava che alla fine Giustiniano avrebbe prevalso. Inviò perciò un messaggero all’imperatore, incaricato di riferire che i suoi nemici erano tutti raccolti nell’Ippodromo e che doveva dare gli ordini del caso. Ma il messaggero, nel Palazzo ormai semideserto, si imbatté in Tommaso, il medico personale dell’imperatore, che gli diede la falsa notizia che Giustiniano era fuggito. Lasciò dunque perdere la missione.
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In realtà, Giustiniano, Teodora e pochi intimi erano impegnati in un consiglio per decidere come procedere: se restare dunque in attesa, o fuggire via mare. L’imperatore non seppe imporre una linea, fu allora che Teodora dimostrò ancora una volta la sua fermezza.
Procopio ci riporta un discorso molto fermo: “Lasciamo da parte il fatto che forse una donna non dovrebbe permettersi di dare consigli a uomini e mostrarsi coraggiosa in mezzo a gente che trema per paura: mi pare che in questo momento non sia il caso di sottolineare quali siano o non siano le buone regole del comportamento. Allorché è evidente, come adesso, che si sta correndo un gravissimo pericolo, penso che ognuno abbia il dovere di cercare di risolvere la situazione critica nel modo che gli sembra migliore. Io ritengo che la fuga in questo momento sia assolutamente inopportuna, anche se porta alla salvezza della vita. Ogni essere vivente è destinato prima o poi a morire e chi è sul trono non può evitare la morte abdicando vergognosamente. […] Per quanto mi riguarda, vale l’antico detto il regno è un bel sudario”.
Il discorso dell’imperatrice ebbe il miracoloso effetto di rinvigorire l’assemblea: la rivolta venne infine soffocata nel sangue. Ipazio e Pompeo vennero catturati ancora sul Kathisma e portati al cospetto di Giustiniano. I due vennero incarcerati e uccisi il giorno seguente. I loro beni vennero confiscati.
I rivoltosi furono convinti a riunirsi all’ippodromo, sia con donativi che con la promessa di riconciliazione. In realtà, una volta dentro, fecero irruzione gli uomini di Belisario, nel frattempo giunto a rinforzo, e massacrarono i ribelli senza pietà. Si parla di circa 35.000 morti.
Le fazioni del circo ne uscirono devastate, e per almeno una quindicina anni non fecero più parlare di sé. Nel 535 venne istituito il praetor plebis, un capo di polizia più affidabile, e nel 539 si creò la carica di quaesitor per il controllo degli stranieri presenti nella città, e col compito di dar lavoro ai poveri disoccupati o di allontanarli da Costantinopoli se rifiutavano. In tal modo si andò rafforzando il controllo sulla popolazione.
Il rapporto con Antonina
Antonina fu la figura femminile di maggior spicco nella corte giustinianea, dopo Teodora. Antonina, proveniente anch’ella dal mondo del circo, ebbe un rapporto prolungato e duraturo con la sovrana, dalla quale ricevette molteplici servizi.
Nata attorno al 484, Antonina era figlia di un auriga, mentre la madre aveva lavorato nel mondo dello spettacolo. Prima del 533, già vedova, si risposò con il più giovane Belisario, brillante generale e principale artefice della riconquista dei territori occidentali. Nonostante Belisario fosse di nobili origini e un’abile stratega, la sua vita privata fu molto al di sotto del tono di quella pubblica, proprio a causa del suo matrimonio.
Da Belisario Antonina ebbe una figlia, Giovannina. Antonina ottenne il titolo di patrizia, e una volta divenuta nuovamente vedova, passò gli ultimi anni della sua vita con Vigilantia, sorella del sovrano.
Antonina, secondo Procopio di Cesarea, visse una vita dissoluta, e non fu certo un esempio di moralità. Ella continuò con le sue scelleratezze anche dopo le nozze, e riusciva a tenere a bada il consorte, sopra il quale esercitava una notevole influenza (alcuni la accusarono di riuscirci per mezzo di incantesimi e malefici).
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Solo Teodora riusciva a tenerla a freno, ma allo stresso tempo Antonina costituiva la più grande alleata e amica della sovrana, soprattutto quando si trattava di eliminare oppositori politici, come Giovanni di Cappadocia.

Le sventure matrimoniali di Belisario e Antonina iniziarono a seguito della campagna in Africa contro i Vandali. Se da un lato infatti la donna si mostrò intelligente e accorta, risparmiando addirittura sulle scorte d’acqua per il viaggio, dall’altra mise gli occhi su un giovane miles trace, di nome Teodosio, che faceva parte della guardia del corpo del generale. Il soldato, di fede ariana, una volta riammesso all’ortodossia, era stato adottato da Belisario, che aveva con lui un rapporto quasi genitoriale.
La donna, durante la traversata, passò da un’iniziale affetto ad una vera e propria passione per il giovane, senza dissimulare davanti ai servi o alle ancelle.
La relazione clandestina andò avanti per molto tempo, e Antonina si vendicava di tutti coloro che volevano rivelare la verità al marito. Arrivò a preferire e favorire l’amante invece del suo proprio figlio, Fozio, avuto dal precedente matrimonio.
Dopo il ritorno dall’Italia, le fortune pubbliche e private di Belisario iniziarono a declinare, anche a causa di Teodora e Antonina. Una volta a Costantinopoli, la donna non riusciva a contenere la passione per il giovane Teodosio, e non si preoccupava di celare il suo adulterio in pubblico.
L’atteggiamento della donna però preoccupò Teodosio, che decise di farsi monaco ad Efeso. Di fronte a tale decisione, Antonina perse completamente il controllo: si comportava come se fosse in lutto, e si struggeva dal dolore. Belisario, per via dell’affetto per il giovane, si unì a lei nella disperazione.
Antonina si recò dai sovrani supplicandoli di richiamare Teodosio, egli non voleva saperne di far ritorno, e ribadì con risolutezza la sua decisione di restare monaco, anche se in realtà era una finzione ed aspettava il momento giusto. E quello arrivò nel 541.
Fozio e Belisario erano appena ripartiti per il fronte persiano. Durante la campagna, però, il figlio d’Antonina rivelò a Belisario l’adulterio della madre. L’uomo parve cadere dalle nubi e andò su tutte le furie, implorando Fozio di aiutarlo a vendicarsi.
Fozio dunque si recò ad Efeso, dove riuscì a prendere Teodosio come prigioniero. Tutto sembrava andare secondo i piani, ma Teodora, che aveva le sue buone ragioni per esser grata ad Antonina (per averla aiutata a liberarsi di Giovanni di Cappadocia), si mosse di conseguenza con energia e brutalità, consegnando innocenti alle torture della donna, e costringendo Belisario alla riconciliazione.
Teodora fece ricongiungere inoltre i due amanti, ma Teodosio morì poco dopo di dissenteria. Al contrario Fozio venne dapprima frustato, e in seguito tenuto a lungo prigioniero.
Belisario fece finta di nulla, e non mosse un dito per il suo figliastro.
Teodora, paladina delle donne (ma non di tutte)
Già in un precedente articolo, mi son occupata di come l’imperatrice fosse sempre in prima fila per aiutare le donne, che si trovavano in difficoltà, come ad esempio le attrici e le prostitute.
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Ella però avrebbe preso anche l’abitudine di inserirsi senza scrupoli e usando il proprio potere nelle situazioni familiari altrui, secondo Procopio.
In una grande città come Costantinopoli, l’adulterio doveva essere un fatto del tutto normale, ma da quando la sovrana era salita al potere, le donne avevano adottato il sistema di ricorrere all’imperatrice, convinte che ciò avrebbe risparmiato loro ogni sorta di condanna.
E, in effetti, l’intervento di Teodora ribaltava sempre la situazione: se i mariti, infatti, non riuscivano a provare l’adulterio della moglie, dovevano versare una somma pari al doppio della dote, venivano poi frustati e condotti in prigione. In tal modo, le colpevoli potevano spassarsela con i loro amanti.
La conseguenza fu che gli uomini smisero di denunciare le propri mogli, preferendo il silenzio al frusta.
Difficile però dire se questo atteggiamento della sovrana fosse frutto di una naturale indulgenza, o di un calcolo politico, dato che anche Antonina venne salvata dal castigo che Belisario avrebbe potuto infliggerle. inoltre, tutto ciò andava contro la legislazione vigente che considerava l’adulterio come un crimine.
Teodora amava anche combinare i matrimoni: come quello della figlia dell’ex attrice Crisomallo con Saturnino; o quello di due giovani nobili sorelle di Costantinopoli costrette a sposare due giovani rozzi e volgari. Le due terrorizzate all’idea, si rifugiarono nella chiesa di Santa Sofia, ma Teodora esercitò una pressione tale che le due convolarono a nozze con “esseri abietti” di gran lunga inferiori di rango. In seguito, però Teodora conferì una carica pubblica ai mariti.
Teodora e la religione
Come già accennato in precedenti articoli, “la pia imperatrice Teodora si preoccupava molto della pace della chiesa e persuadeva l’imperatore ad adoperarsi per questa” (Michele Siriaco).
In materia di fede si sforzò di far prevalere il credo monofisita, anche in contrasto con la linea ufficiale del marito, obbedendo forse ai suoi impulsi di credente piuttosto che ad un disegno strategico.
Nonostante la disfatta subita dalla dottrina monofisita, Teodora non abbandonò mai i suoi amici monofisiti, ospitandoli presso il Palazzo di Hormisdas, che venne trasformato in un monastero per ospitare più di cinquecento uomini, greci e siriani, cacciati dalle loro sedi che essa proteggeva e visitava ogni due o tre giorni.
Giustiniano, anche se politicamente contrario, era la corrente della situazione, ma quando l’imperatrice morì non fece nulla per placare la vendetta dei loro nemici.

La morte di Teodora:
La sovrana morì il 28 Giugno del 548, a seguito di un cancro che le invase tutto il corpo. Giustiniano distribuì molto denaro in beneficenza per il suffragio della sua anima. Nulla sappiamo di come si svolsero le esequie, ma possiamo supporre che la cerimonia non si discostò molto dal protocollo.
Il corpo venne deposto nella chiesa dei SS. Apostoli di Costantinopoli.
Bibliografia (clicca i link qui sotto per acquistare la tua copia del libro)
Procopio di Cesarea, Guerre
Procopio di Cesarea, Storia Segreta
G. Cavallo (a cura di) 1992, L’uomo bizantino
G. Ravegnani 2015, La vita quotidiana alla fine del mondo antico
G. Ravegnani 2015, Teodora
G. Ravegnani 2017, Imperatori di Bisanzio
T. Talbot Rice 1988, Everyday life in Byzantium
2 thoughts on “Teodora. Dal circo alla porpora.”