La caduta di Siracusa (878). La perdita della Sicilia.

Anche se gli Arabi iniziano a minacciare la Sicilia imperiale con raid e saccheggi già nel corso del VII secolo, solamente nel IX secolo inizierà una vera e propria conquista dell’isola – scatenata dalle richieste di aiuto di un ufficiale romano ribelle, come vedremo in un articolo futuro.

A partire dall’828, i Saraceni dal nord Africa, gli Aghlabidi, iniziano così l’invasione della Sicilia. Palermo cade nell’831, divenendo la nuova capitale araba dell’isola, mentre la fortezza di Enna, al centro della Sicilia e baluardo contro l’invasione, viene conquistata nell’859.

Un’altra città tuttavia resiste tenacemente: Siracusa, che due secoli prima era stata scelta da un previdente Costante II proprio come suo nuovo quartier generale per dirigere la lotta contro i nuovi invasori (e lì era finito poi assassinato).

[Leggi anche L’avventura di Costante II e il ritorno della corte in Italia. (III) Il prezzo di una nuova capitale]

Gli Aghlabidi hanno tentato già per ben quattro volte di conquistare quella che è diventata la capitale imperiale dell’isola – nell’828, nell’868, nell’869 e nell’873.
Ora il nuovo emiro di Ifriqiya (Africa), Ibrahim, con alle spalle la conquista quasi totale della Sicilia, intende nuovamente metterla sotto assedio e finalmente portarla sotto il suo dominio. Incarica così il governatore della Sicilia araba, Ja’far ibn Muhammad, di portare a termine la missione, supportandolo con la flotta dal nord Africa.

Non conosciamo purtroppo i numeri delle forze in campo, ma sappiamo che l’esercito aghlabide è molto numeroso (senz’altro più della guarnigione siracusana), con ottime linee di rifornimento e dotato di un numeroso parco di macchine da assedio, tra cui potenti mangani.

Anche se abbiamo un resoconto di prima mano dello svolgimento dell’assedio da parte di un monaco di nome Teodosio (presente all’assedio, e dove sarà preso prigioniero), non conosciamo nemmeno il nome del comandante della difesa, un anonimo 𝘱𝘢𝘵𝘳𝘪𝘬𝘪𝘰𝘴.

Gli Aghlabiti attaccano la città in numerosi assalti e la bersagliano con le macchine giorno e notte senza sosta, impedendo ai difensori di poter riposare adeguatamente. Col passare dei mesi, la situazione in città diventa disperata, con i prezzi dei viveri che salgono alle stelle e i difensori costretti a cibarsi di erba, pelli e ossa triturate e mischiate con l’acqua (Teodosio riporta addirittura episodi di cannibalismo).

Nonostante l’importanza della città e nonostante il fatto che l’imperatore Basilio I sia attivamente impegnato a riguadagnare i territori dell’Italia peninsulare, da Costantinopoli gli aiuti sono scarsi. L’unica flotta inviata in Sicilia deve rimanere ferma a Monemvasia, nel Peloponneso, per venti avversi che le impediranno di salpare in tempo.

Liberi di bombardare la città anche dal mare, gli Aghlabiti riescono infine a far crollare parte delle torri difensive dei due porti di Siracusa, che nel crollo si portano dietro anche parte della cinta muraria, creando una breccia.

Gli Arabi concentrano qui i loro attacchi, ma il 𝘱𝘢𝘵𝘳𝘪𝘬𝘪𝘰𝘴 riesce a radunare i difensori e per ben venti giorni respinge gli attacchi nemici sulla breccia.

L’attacco finale arabo è infine lanciato il 21 maggio. Il 𝘱𝘢𝘵𝘳𝘪𝘬𝘪𝘰𝘴 ha lasciato una piccola forza di difesa a sorvegliare la breccia, per prendere un minimo di riposo e rifocillarsi, quando improvvisamente il tiro delle macchine da assedio arabe si scatena proprio sulla breccia, seguito da un assalto delle truppe aghlabite, che sopraffanno i pochi difensori.

Immagine di Angel Garcia Pinto, dettaglio

Quando il 𝘱𝘢𝘵𝘳𝘪𝘬𝘪𝘰𝘴 accorre col resto dei difensori, è già troppo tardi: gli Arabi sono in città. Teodosio riporta che gli assedianti distruggono anche i pochi difensori a guardia della Chiesa del Salvatore e massacrano poi i siracusani che hanno cercato rifugio nell’edificio sacro.

Il 𝘱𝘢𝘵𝘳𝘪𝘬𝘪𝘰𝘴 tenta un’ultima resistenza, isolato in una torre con 70 uomini, ma il giorno successivo si deve arrendere. Il 𝘱𝘢𝘵𝘳𝘪𝘬𝘪𝘰𝘴 sarà giustiziato la settimana successiva, mentre gli altri settanta saranno bastonati e lapidati.
Ben pochi uomini della guarnigione riusciranno a mettersi in salvo, riportando in Grecia la notizia della caduta della città.

Dopo la caduta di Siracusa, il dominio imperiale sull’isola sarà confinato alla punta nord-orientale della Sicilia. L’ultima grande roccaforte imperiale, Taormina, cadrà nel 902, mentre l’ultimo caposaldo in assoluto, Rometta, sarà conquistata nel 965.

Nonostante ci saranno futuri tentativi di rimettere piede sull’isola nell’XI secolo, la caduta di Siracusa segna davvero il punto di non ritorno per la Storia della Sicilia imperiale.

Lettura consigliata

Treadgold W. 1997, A History of Byzantine State and Society

Vasiliev A.A. 1968, Byzance et les Arabes, Tome II: Les relations politiques de Byzance et des Arabes à l’époque de la dynastie macédonienne (les empereurs Basile I, Léon le Sage et Constantin VII Porphyrogénète) 867-959 (253-348).


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