La decimazione. La peggiore punizione militare romana

Nella lunga Storia dell’esercito romano sono attestate numerose forme di punizione, singolare e collettiva, che venivano inflitte ai soldati.

Tra queste, quella rimasta certamente più famosa, anche per via del suo carattere estremo, è la decimazione.

Si trattava di una punizione collettiva, che colpiva un’intera unità (o a volte più di una).
Un uomo ogni dieci veniva sorteggiato per scontare la pena: essere ucciso a bastonate dai propri compagni.

Questa pena così dura poteva venire comminata a seguito di un atto collettivo di codardia di fronte al nemico, o quando veniva commesso un atto di ribellione.

I superstiti, seppur sopravvivevano, erano però sottoposti ad altre punizioni collettive, quali il ricevere orzo anziché grano e il doversi accampare fuori dall’accampamento.

La decimazione più antica attestata, riportata da Livio, sarebbe avvenuta nel 471 a.C., per ordine del console Appio Claudio.
Le sue legioni avevano abbandonato il campo ed erano fuggite di fronte ai Volsci. La punizione, decimazione a parte, fu durissima, poiché prima della decimazione erano stati fustigati, e in molti casi poi decapitati, coloro che erano stati trovati disarmati.

La decimazione non fu applicata molto spesso in realtà, almeno da quanto attestato. Ci sono due casi testimoniati per il III sec. a.C.: uno da parte di Fabio Massimo Rulliano (il vincitore di Sentino), e uno da parte del console Fabrizio nel 282.

La decimazione più celebre della Storia romana è certamente quella applicata nel 72 a.C. da Marco Licinio Crasso ai soldati che erano entrati sotto il suo comando, sconfitti e fuggiti di fronte agli schiavi ribelli di Spartaco.

La decimazione comminata da Crasso non riguardò l’intero esercito, ma 500 uomini, dei quali ne vennero condannati a morte 50.
Inoltre, dalle fonti si capisce bene come nel I sec. a.C. non si trattasse di una pratica molto usuale. Plutarco infatti dice che Crasso riprende “dopo molto tempo un modo tradizionale di punire i soldati”.

Sempre nel I sec. a.C., sappiamo che anche Marco Antonio applicò la decimazione contro i suoi soldati, che nel 36 a.C. si erano macchiati di vigliaccheria di fronte ai Parti.
Anche Ottaviano, futuro Augusto, applicò la decimazione a seguito di una rivolta scoppiata in Dalmazia, nel 32 a.C.

Ancora dal I sec. a.C. abbiamo anche due insolite attestazioni di legioni che, consapevoli di essersi ribellate o di essersi comportate vigliaccamente, chiesero spontaneamente l’applicazione della decimazione.

In entrambi i casi i comandanti (Cesare, dopo la sconfitta a Durazzo del 48 a.C., e di nuovo Antonio, sempre durante le sue spedizioni partiche) si astennero dal procedere, risparmiando le truppe.

Durante il periodo del Principato la decimazione venne applicata in maniera ancora più rara di prima.
La troviamo comminata solo due volte: una dal governatore dell’Africa Apronio, nel 18, contro suoi legionari fuggiti durante uno scontro con Tacfarinas; la seconda da Galba contro la Legio II Adiutrix, che si era ribellata.

La decimazione era diventata sempre più rara, sia perché l’utilità di applicarla contro un esercito professionale, strumento politico del 𝘱𝘳𝘪𝘯𝘤𝘦𝘱𝘴, era venuta meno, sia perché era considerata dai Romani stessi, probabilmente, sempre più disumana e inutilmente crudele.

Letture consigliate (clicca i link qui sotto per acquistare la tua copia del libro)

G. Cascarino 2007, L’esercito romano. Armamento e organizzazione. Vol. I

G. Cascarino 2008, L’esercito romano. Armamento e organizzazione. Vol. II


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