Per la quasi totalità del periodo repubblicano, ai Romani, che esprimono una vocazione fortemente mediterranea, è sempre importato ben poco delle Alpi.
L’ambiente alpino, totalmente alieno rispetto a quello mediterraneo, non sembra presentare nulla di davvero appetibile, agli occhi dei Romani. Le Alpi non sono considerate belle (poiché la vera bellezza è considerata quella creata dall’uomo, dalla civiltà romana in particolare) o addomesticabili, senz’altro non sono ritenute né produttive né vivibili. Gli abitanti delle montagne, poi, erano considerati rozzi, arretrati e incivili.
Con la discesa in Italia di Annibale prima, e dei Cimbri e Teutoni poi, si inizia a guardare con un occhio diverso la catena montuosa, ma comunque senza un vero particolare interesse.
Solamente dalla tarda repubblica, e in particolare da Cesare, le Alpi e il loro controllo diventano seriamente, e si potrebbe dire improvvisamente, un problema anche di ordine politico.
Infatti i valichi alpini sono le vie più veloci per il collegamento dell’Italia con la Gallia e, di particolare interesse per Augusto, per la Germania.
È infatti proprio sotto Augusto (il cui regno, nonostante la facciata della pax romana, non sia stato assolutamente scevro da guerre) che si consuma la definitiva conquista dell’arco alpino
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Preludio alla conquista. La sottomissione dei Salassi (25 a.C.)
Anche se rapporti bellicosi con il mondo alpino si hanno già nei due secoli precedenti, è solo dall’ultimo quarto del I sec. a.C. che i Romani iniziano a spendere seriamente energie per la conquista delle Alpi.
In primo luogo, Augusto intende sottomettere la parte più occidentale della catena montuosa, negli anni ’30 del I sec. a.C. ancora controllata dalla popolazione (celtica o ligure) dei Salassi. Anche se la presenza romana dell’odierna Valle d’Aosta è già in uno stadio piuttosto avanzato, essendo iniziata circa a metà del II sec. a.C., i Salassi non sono mai stati sottomessi del tutto.
Questi occupano le cime e i passi montani più elevati, e sono sempre in rapporti più o meno bellicosi con Roma. In particolare, il princeps vuole assicurarsi in modo definitivo il controllo del passo del Gran San Bernardo, di fondamentale importanza strategica per raggiungere la Gallia.
Augusto sottomette i Salassi con due distinte campagne. La prima volta invia Gaio Antistio Vetere, che riesce a prenderli per fame tra 35-34 a.C.
Visto che i Salassi però riescono a scacciare la guarnigione romana dal territorio, viene inviato il comandante Marco Valerio Messalla Corvino, proconsole della Gallia, il quale li sottomette nuovamente nel 28 a.C.
I Salassi tuttavia non sono un popolo facile da conquistare. Ci vorrà una terza, brutale campagna guidata da Aulo Terenzio Varrone Murena nel 25 a.C. per costringere finalmente i Salassi alla resa (le fonti divergono, ma è plausibile che la maggior parte di loro sia stata catturata e venduta in schiavitù). La sottomissione della regione si può dire infine completa quando, tra 25 e 24 a.C., viene fondata la colonia di Augusta Praetoria, l’odierna Aosta, ai cui abitanti (tra cui diversi Salassi, come risulta dall’epigrafia) è concesso il diritto romano.
La conquista dell’arco alpino orientale (16 a.C.)
La situazione dei Romani nei confronti delle Alpi rimane relativamente tranquilla fino al 16 a.C., anno della disfatta nota come clades lolliana. A seguito di questo affronto da parte dei Germani, Augusto si decide a dare una svolta definitiva e, potenzialmente, decisiva ai rapporti tra Roma e i Germani.
La Germania, il territorio al di là del Reno, sarebbe diventato presto una provincia romana.
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Tuttavia, si tratta di di un’impresa che impone una preparazione notevole, e per la quale Augusto è persino disposto a lasciare Roma. Rimarrà infatti in Gallia per ben tre anni, fino al 13 a.C., per proseguire da qui l’opera diplomatica iniziata da Agrippa anni prima per stabilizzare, a tutto vantaggio di Roma, la situazione politica al di là del Reno, spesso attraverso lo spostamento di intere comunità di Germani da un luogo a un altro.
La presenza di Augusto in Gallia serve inoltre a placare gli animi già tesi della giovane provincia, nonché a proseguire l’opera di urbanizzazione e di costruzione di strade che serviranno quale necessaria infrastruttura per la conquista della Germania.
Ma senza poter aprire e rendere del tutto sicura la via più rapida per le legioni e per gli approvvigionamenti dall’Italia alla Germania stessa, ovvero le Alpi, questo sforzo sarebbe inutile.
La prima campagna militare di ampia portata è condotta nel 16 a.C. dal governatore dell’Illirico, Publio Silio Nerva (come altri governatori, molto vicino ad Augusto). Questi infatti sottomette definitivamente le popolazioni alpine tra i laghi di Como e di Garda, ovvero i Camuni e i Trumplini, nonché i Venosti, insediati nell’odierna Val Venosta – in quest’ultimo caso, probabilmente usando come base di appoggio Tridentum (Trento), fortificata intorno al 23 a.C.
Sfortunatamente di queste due rapide campagne, consumatesi tutte nello stesso anno, non sappiamo praticamente nulla: ne abbiamo notizia da un mero rigo di Cassio Dione, che riporta solo che i Camuni e i Venosti “presero le armi contro i Romani”, e furono quindi da questi ultimi sconfitti.
Sempre nel 16 a.C., Nerva riduce all’obbedienza anche il Norico, quale reazione a un’incursione di Norici e Pannoni in Istria.
L’arco alpino orientale è ora con sicurezza in mani romane. Per assicurarsi in toto la via per la Germania e la completa sicurezza della penisola italica, non resta che sottomettere le ultime due grandi popolazioni alpine non soggette all’autorità di Roma, che abitano regioni corrispondenti all’incirca all’odierna Svizzera: i Reti e i Vindelici.
Manovra a tenaglia. La campagna del 15 a.C. di Druso e Tiberio
La campagna per la definitiva sottomissione di Reti e Vindelici prende il via a partire dalla primavera del 15 a.C., dopo quella che deve essere stata una preparazione piuttosto lunga.
Secondo Cassio Dione, anche in questo caso principale fonte per gli avvenimenti, il casus belli sarebbe generato da una recente attività aggressiva dei Reti nei confronti sia della Gallia che dell’Italia, in seguito alla quale avrebbero fatto un enorme bottino. Come abbiamo già visto, tuttavia, la sottomissione di anche questa ultima sezione dell’arco alpino deve essere stata pianificata da tempo.
A guidare la conquista sarebbero stati i due figliastri di Augusto: Druso e Tiberio. La scelta è tutt’altro che casuale. Essendo essi anche destinati alle future campagne di conquista della Germania, Augusto intende infatti sottolineare il ruolo assolutamente prestigioso e di primo piano dei membri della sua famiglia, della Domus Augusta. E non c’è sicuramente modo migliore per farlo se non attraverso delle campagne militari.
Il piano di Druso e Tiberio per sottomettere Reti e Vindelici prevede una complessa e ambiziosa manovra a tenaglia. Un tipo di manovra che Tiberio deve apprezzare molto, visto che lo metterà in pratica anche nel 6 d.C., quando sarà sul punto di sconfiggere i Marcomanni di Maroboduo (impresa che, a causa della rivolta dalmato-pannonica, non avverrà mai).
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Prima della complessa manovra, avvengono alcune operazioni preliminari, secondo Cassio Dione ordinate da Augusto – che, come è usuale, non partecipa in prima persona alle operazioni.
In prima battuta, Druso da est, al comando di almeno due legioni, la XIII Gemina e la XII Rapax, respinge un distaccamento di Reti che si è portato troppo vicino alle Alpi Tridentine. In seguito, dopo aver respinto la minaccia retica dal suolo italico propriamente detto, ma non avendola eliminata dalla Gallia, Tiberio viene inviato all’estremità occidentale del territorio dei Reti.
A questo punto, la tenaglia può finalmente scattare.
I dettagli della campagna sono scarnamente forniti da Cassio Dione, ma rendono perfettamente l’idea dell’andamento delle operazioni: “Entrambi i comandanti invasero poi la Rezia da molti punti diversi allo stesso tempo, sia in persona che tramite i loro ufficiali, e Tiberio attraversò persino il lago [di Costanza] con delle navi. In questo modo, scontrandosi con loro [i Reti] separatamente, li terrorizzavano e non solo travolgevano facilmente coloro con i quali entravano in stretto contatto in qualsiasi momento, in quanto i barbari avevano disperso le loro forze, ma catturavano anche il resto, che di conseguenza era diventato più debole e meno vigoroso.”

Il poeta Orazio celebra inoltre in versi il successo della campagna militare, esaltando il coraggio personale di Druso e Tiberio, i quali sono descritti combattere in prima linea contri Reti e Vindelici: il primo conquistando le rocche dei Reti sulle sommità delle vette, il secondo lanciando il cavallo al galoppo in mezzo al fuoco degli incendi e falciando i nemici con la sua spada.
Se il tono è senz’altro propagandistico e celebrativo, non vi è motivo di dubitare che i due fratelli abbiano preso parte in prima persona alle battaglie della rapida campagna di conquista, che sempre secondo Orazio è conclusa entro il 1 di agosto.
Oltre alla XIII Gemina e alla XXI Rapax, altre legioni hanno certamente preso parte alle operazioni. Due di queste sono tra le legioni che, nel 9 d.C., finiranno distrutte a Teutoburgo: la XIX legione, comandata dal giovane legatus legionis Publio Quintilio Varo, e la XVIII legione, alla quale probabilmente già apparteneva un ancora giovane Marco Celio, un nativo di Bononia che ai tempi di Teutoburgo è ormai assurto ai ranghi di centurione primipilo.
La manovra a tenaglia non sappiamo esattamente dove si sia conclusa, ovvero dove le legioni di Druso e Tiberio si siano incontrate. Sappiamo solo, da Strabone, che dopo aver sottomesso l’area intorno al lago di Costanza, Tiberio avrebbe percorso, a marce forzate, i 50 km che separano l’estremità orientale del lago dalle sorgenti del Danubio.
Reti e Vindelici, impossibilitati a fronteggiare la spaventosa macchina militare romana, sono infine costretti ad arrendersi, consegnandosi nelle mani dei vincitori.
La sorte dei vinti, che i Romani non vogliono rischiare che si sollevino di nuovo in armi, è durissima. La maggior parte della popolazione, in particolare quella maschile, è infatti deportata (anche se non sappiamo dove), lasciando sul posto, nelle parole di Cassio Dione, “solo abbastanza uomini per dare al territorio una popolazione, ma troppo pochi perché iniziassero una rivolta.”
Restano solo poche enclavi, non bellicose, che brevemente restano fuori dalle annessioni augustee e che vengono assorbite in modo pacifico. Tra queste, il popolo dei Cozii, con i quali il princeps, di ritorno dalla Gallia, vuole stipulare un patto di foedus nel 13 a.C. – e in onore del quale è eretto l’Arco di Augusto che ancora oggi è visibile a Susa.
Ma a parte questa ultima operazione, alla fine dell’estate del 15 a.C., la rapida conquista della Alpi può dirsi brillantemente conclusa.
La via all’area danubiana, ma soprattutto la via per la Germania, è finalmente aperta. Già dal 12 a.C., Druso metterà piede al di là del Reno, espandendo i confini di Roma verso l’Elba.
La celebrazione della vittoria. Il Tropaeum Alpium a La Tourbie
Al di là delle conseguenze ricercate del successo della campagna alpina, e avendo efficacemente oscurato l’onta della clades lolliana, questo venne celebrato come un trionfo di per sé stesso.
Già nel 15 a.C. Augusto viene acclamato in trionfo come imperator per la decima volta, e la zecca di Lugdunum emette aurei e denari a memoria della vittoria.
Ma il segno più impressionate della celebrazione della conquista è un imponente monumento a pianta circolare di oltre 30 metri di altezza, visibile ancora oggi: il Tropaeum Alpium (Trofeo delle Alpi), eretto tra il 7 e il 6 a.C. sul punto più alto della via Iulia Augusta, presso l’odierna località di La Tourbie (oggi poco distante dal Principato di Monaco).

Oggi il monumento è in rovina per via dello scorrere del tempo (viene utilizzato nel tempo sia come fortezza che come cava di materiali), ma testimonia ancora in modo indelebile l’importanza che Augusto e i Romani danno alla conquista delle Alpi.
Una grande iscrizione oggi ricostruita, menzionata anche da Plinio il Vecchio, celebra Augusto e menziona ben 35 popolazioni alpine sottomesse (gentes devictae), dall’Adriatico al Tirreno. Della maggior parte di queste, le fonti sulla conquista dell’arco alpino non dicono nulla.
Sappiamo solo per certo che dopo la conquista, avvenuta in modo rapido e brutale, anche queste popolazioni entrano nel processo di romanizzazione, presto venendo integrate nel complesso tessuto sociale dell’impero romano.
Bibliografia (clicca i link qui sotto per acquistare la tua copia del libro)
Fonti
Appiano, Storia romana
Cassio Dione, Storia romana
Velleio Patercolo, Storia romana
Studi essenziali
S. G. Bersani 2019, L’impero in quota. I romani e le Alpi
U. Roberto 2020, Il nemico indomabile. Roma contro i Germani
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