Nei decenni di caos seguenti alla Quarta Crociata, alla metà del XIII secolo sono due le entità statali romane tra quelle ora esistenti che si contendono il dominio dei territori imperiali e della stessa città di Costantinopoli, ancora in mani latine: il cd. Impero di Nicea, e quello modernamente conosciuto come Despotato d’Epiro.
La loro contesa per il potere e per la Regina delle Città, nella quale si inseriscono a più riprese i potentati latini di Grecia e addirittura il Regno di Sicilia, culminerà in una grande battaglia campale, usualmente dimenticata ma un decisivo punto di svolta per gli eventi dell’area nel XIII secolo: la battaglia di Pelagonia del 1259.
Corsa per Costantinopoli
Dopo un iniziale periodo di difficoltà, è l’impero in esilio a Nicea ad avere probabilmente le migliori possibilità di riprendere Costantinopoli, grazie anche ai successi sia militari che diplomatici ottenuti da regnanti come il grande ma spesso dimenticato Giovanni III Vatatze (1222-1254).
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Proprio grazie a quest’ultimo, la zona di controllo dei Romani di Nicea si è rapidamente espansa dall’Asia Minore fino di nuovo all’Europa, conquistando così territori fino alla Macedonia occidentale, nei pressi della regione di Pelagonia.
Alla morte del grande Giovanni Vatatze, tuttavia, i nemici di Nicea sono pronti ad approfittarne.
Michele II Comneno Ducas, Despota d’Epiro, riesce a far rivoltare gli Albanesi della regione di Pelagonia e a conquistare l’odierna Prilep, ed è pronto ad avanzare verso Tessalonica, allora sotto il controllo niceno – e da lì, verso Costantinopoli. Ma la sua avanzata è fermata dall’entrata in gioco di un potente avversario: Manfredi, figlio del defunto Federico II e re di Sicilia, il quale conquista gran parte dell’Albania e l’isola di Corfù.
Manfredi non è un giocatore del tutto esterno alla scena balcanica. Ha i suoi interessi territoriali, e anche lui ha una mira personale su Costantinopoli. Inoltre la vedova di Giovanni Vatatze, sua sorellastra Costanza (conosciuta presso i Romani come Anna), è impossibilitata a lasciare la corte nicena, aggravando i sentimenti ostili di Manfredi verso Nicea.
La situazione nicena, dal canto suo, è tutt’altro che semplice. A Giovanni Vatatze è succeduto brevemente il figlio, Teodoro II Lascaris, morto di epilessia nel 1258, dopo solo un governo di quattro anni.
La corona nicena ricade così sulla fragile testa di Giovanni IV Lascaris, un bambino di appena sette anni. Il giovane imperatore è affidato alle cure e alla reggenza del protovestiarios (una sorta di ministro delle finanze, ma con poteri anche più ampi) Giorgio Mouzalon.
La reggenza di Giorgio Mouzalon dura però molto poco. Appena nove giorni dopo la morte di Teodoro II, Mouzalon è massacrato da alcuni pronoiari latini a Magnesia, durante una cerimonia religiosa in memoria dell’imperatore da poco defunto.

Anche il probabile mandante dell’assassinio, il maggior oppositore di Mouzalon, è presente sulla scena, senza alzare un dito per aiutarlo: Michele Paleologo, un ambizioso aristocratico e comandante militare, da poco rientrato dall’esilio presso il Sultano di Rum e da ancor meno tempo rilasciato dalla prigionia sotto Teodoro II stesso.
In pochi mesi, prima che il 1258 finisca, l’ascesa di Michele VIII Paleologo è inarrestabile: prima megas doux (un rango militare ormai quasi puramente onorifico), poi despotes (a indicare che è subito dopo l’imperatore) e infine co-imperatore. Vista la minore età di Giovanni IV, la co-reggenza non è che una facciata.
Nonostante l’appoggio dell’aristocrazia, l’ambizioso Michele Paleologo non osa però fare il passo successivo. Per poter sperare di avere ufficialmente solo per sé la porpora, sa che ha bisogno di una grande vittoria militare e, soprattutto, di rimettere finalmente le mani su Costantinopoli.
Tutto questo, mentre una grande coalizione si sta assembrando contro i Romani di Nicea, per assestare loro un colpo mortale.
Tutti contro Michele Paleologo. La coalizione latino-epirota
Mentre a Nicea muore Teodoro II e Michele Paleologo attua la sua scalata al potere, a occidente già dalla morte di Giovanni Vatatze è andata formandosi una grande coalizione contro i Romani di Nicea, con l’obiettivo di strappare loro Tessalonica e di impedire, ora, a Michele Paleologo di poter conquistare Costantinopoli.
Una coalizione di improbabili alleati, voluta da Michele II d’Epiro e che comprende Manfredi (ora promesso sposo della figlia del Despota) e il principe d’Acaia Guglielmo di Villehardouin, il quale a sua volta ha una posizione di comando sul duca d’Atene, sul duca di Nasso e sulla Signoria di Negroponte.
Michele II si è inoltre garantito il supporto esterno del regno di Serbia, mentre Teodoro II aveva cercato l’aiuto della Bulgaria.
Vista la situazione di instabilità e apparente caos, il momento è apparentemente favorevole alla coalizione anti-nicena per sferrare un potente colpo contro Michele Paleologo.
Ma quest’ultimo non ha certo intenzione di restare a guardare.
Già nell’autunno del 1258, il co-imperatore invia in Macedonia, nella regione di Pelagonia, un esercito al comando del fratello, il sebastokrator (un titolo onorifico elargito solo ai membri della famiglia imperiale) Giovanni Paleologo e del suo comandante più fidato, il megas domestikos (i.e. il comandante in capo di tutto l’esercito) Alessio Strategopulo.
Michele VIII, approfittando della pausa dettata dall’inverno, tenta anche di indebolire il nemico per via diplomatica. Ma nessuno dei tre maggiori contraenti ha alcun interesse ad abbandonare l’alleanza: la prospettiva di sconfiggere in modo netto i Romani di Nicea, tutt’altro che irrealistica, offre opportunità troppo grandi.
La via della guerra ormai è segnata.
Nel 1259, l’esercito dei Paleologi si mette in marcia lungo la Via Egnatia, in direzione della città di Kastoria, dove è accampato Michele II.
Quest’ultimo, non aspettandosi una così rapida avanzata, è costretto a ritirarsi addirittura fino ad Avlona, in Attica, quasi 600 km più a sud, in attesa di rinforzi mentre i Paleologi conquistano buona parte del suo territorio.
Gli aiuti non tardano ad arrivare, e ben presto l’esercito alleato avanza verso nord, prima verso Arta, capitale dell’Epiro, e quindi verso Thalassionon (forse l’odierna Elassona in Tessaglia), e da lì ancora verso nord.
Lo scontro tra le due forze avverrà, probabilmente a fine estate del 1259, in un ancora oggi sconosciuto punto della pianura della Pelagonia.
Gli eserciti
Come per gran parte delle vicende militari di questo periodo, le informazioni precise sono piuttosto poche, per cui è solo possibile cercare di tracciare un quadro realistico traendo da ciò che ci restituiscono le fonti.
Entrambi gli eserciti, anche quello niceno, sono composti da compagini molto eterogenee tra loro, come è tipico degli eserciti imperiali dell’ultimo periodo della Storia dell’impero.
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In nucleo delle forze alleate è costituito dall’esercito epirota, che la “Cronaca di Morea” assomma a cifre, per il contesto, quasi certamente esagerate (si parla infatti di 8000 armati pesanti e 18.000 leggeri). A queste forze si deve sommare un numero imprecisato di Valacchi della Tessaglia (la cd. “Grande Valacchia”), guidati da Giovanni Ducas, figlio illegittimo di Michele II.
I Latini, al comando generale di Guglielmo di Villehardouin, secondo la stessa fonte mettono in campo anche loro, a seguito di una leva tra tutti i vassalli del principe d’Acaia, ben 8000 armati pesanti e 12.000 leggeri, senza meglio specificare. Anche in questo caso, gli studiosi sono piuttosto concordi si tratti di cifre esagerate.
In entrambi i casi, possiamo forse ipotizzare che la cifra di circa 8000 armati “pesanti” per parte rifletta la consistenza reale dei due contingenti, portando il nucleo dell’esercito alleato alla più realistica cifra di 16.000 uomini.
Infine, la punta di diamante dell’esercito alleato sono 400 cavalieri tedeschi inviati da Manfredi, impossibilitato a partecipare poiché troppo impegnato con i Guelfi in Italia (l’anno successivo si sarebbe combattuta la celebre battaglia di Montaperti).
A livello numerico, non sappiamo molto di più nemmeno dell’esercito niceno, se non per alcuni contingenti.
Sempre secondo alcune versioni della Cronaca di Morea, tra le forze dei Paleologi vi sono 1500 Ungheresi, 600 Serbi, un numero imprecisato di cavalieri bulgari, 1500 Turchi e 2000 Cumani. Tutti questi guerrieri devono essere stati, come esplicitamente ricordato almeno Ungheresi e Serbi, eccellenti arcieri a cavallo.
Vi è anche un nucleo di 300 cavalieri tedeschi scelti, guidati da un non meglio identificato duca di Karantana, da alcuni studiosi ritenuto il duca di Carinzia.
Non sappiamo altro di preciso dell’esercito niceno, se non la menzione di molti arcieri dalla Grecia, di contingenti di Romani da Tessaglia, Tracia e Macedonia. Unico dato degno di nota, l’esercito dei Paleologi sarebbe stato composto da 27 allagia, l’unità di base degli eserciti degli ultimi secoli.
Tuttavia, questa è un’unità che non ha un numero fisso, anche se nel XIII secolo sembra più o meno attestata intorno ai 500 uomini. In tal caso, l’esercito niceno potrebbe essere composto da una forza totale di circa 13.500 uomini, se in questo numero comprendiamo anche le forze prima elencate.
Una cifra abbastanza realistica, seppur molto al rialzo, rispetto a un esercito imperiale ideale del periodo (ca. 10-15.000 uomini).
In ogni caso, dalle fonti emerge chiaramente come Giovanni Paleologo e Alessio Strategopulo siano in netto svantaggio numerico rispetto al nemico.
L’approccio migliore per sconfiggere i loro avversari non potrà essere da subito lo scontro diretto.

La battaglia di Pelagonia
Nonostante l’inferiorità numerica, Giovanni Paleologo e Alessio Strategopulo prendono l’iniziativa. I primi scontri avvengono nell’unica località citata per nome nelle fonti ma ad oggi non ancora identificata, Borilla Longos (“Bosco di Boril”).
I primi attacchi niceni sono soprattutto azioni di disturbo, condotte quasi certamente dai contingenti di arcieri montati.
L’esercito alleato viene bersagliato di frecce mentre è in marcia, con azioni mordi e fuggi ai danni di cavalieri che fanno abbeverare i cavalli e dei carriaggi delle salmerie. Lo scontro diretto viene continuamente evitato.
Secondo una delle fonti, i Romani di Nicea inoltre utilizzano alcuni trucchi per far credere di essere in numero grandemente superiore alla realtà, accendendo un gran numero di fuochi per far credere di essere in numero grandemente superiore e mobilitando del bestiame per simulare un esercito in marcia.
Il morale dell’esercito alleato vacilla, e le divisioni interne diventano ormai incontrollabili.
Tanto che a un certo punto avviene l’impensabile: durante la notte, Michele II si tira indietro dall’alleanza e si ritira verso Prilep. Giovanni Ducas, invece, resta al campo latino con tutti i suoi Valacchi.
Le fonti sono discordanti sul perché della decisione di Michele II.
Per una fonte, sarebbero bastati gli attacchi continui e gli stratagemmi dei Niceni a indurre gli Epiroti a ritirarsi o disertare. Ma leggendo le altre, si evince come il dissenso e le tensioni tra Michele II e i suoi alleati latini siano quasi certamente la vera causa.
Niceforo Gregora, per esempio, riporta che Giovanni Paleologo invia un falso disertore al campo epirota, per riferire che i Franchi si sono messi d’accordo con il sebastokrator e passare dalla sua parte.
Giorgio Pachimere invece sostiene che sia stato Giovanni Ducas ad architettare il tutto. Infatti, un cavaliere latino avrebbe desiderato esplicitamente sua moglie, una Valacca, e Guglielmo di Villehardouin non avrebbe fatto nulla a riguardo, ma anzi insultandolo poiché figlio illegittimo.
Giovanni Ducas si sarebbe così messo in contatto con Giovanni Paleologo, facendogli promettere di non far del male al padre e convincendo quest’ultimo a ritirarsi nottetempo.
Michele II, al di là delle fonti, deve comunque non sentirsi particolarmente tranquillo, con un esercito latino così forte presso le sue terre.
Una vittoria dell’esercito alleato sarebbe stata infine dannosa tanto quanto una vittoria dei Paleologi.
Quale che sia la verità, Villehardouin il mattino dopo scopre di essere rimasto con solo metà dell’esercito sul campo.
I Latini cercano di ritirarsi, ma ormai è troppo tardi: l’esercito dei Romani di Nicea è già loro addosso.
In più, non sono attaccati solo da davanti, ma anche alle spalle: Giovanni Ducas e i suoi Valacchi sono passati dalla parte di Giovanni Paleologo.
Non abbiamo dettagli dello scontro tra l’esercito imperiale e quello latino, se non tra le avanguardie di cavalieri latini e tedeschi – vere punte da sfondamento degli eserciti dell’epoca, anche se in numeri ridotti.
Il duca di Carinzia con i suoi 300 cavalieri tedeschi si getta in avanti, e viene affrontato da Geoffrey di Briel, il barone di Karytaina (nel Peloponneso). Le due avanguardie si scontrano lance in resta, e nello scontro frontale il duca di Carinzia ha la peggio, trapassato al petto dalla lancia del barone in persona. Quest’ultimo, con la lancia spezzata in tre parti, sguaina la spada e inizia a mietere avversari.
I tedeschi di Giovanni Paleologo stanno avendo la peggio, ma quest’ultimo non si fa prendere dal panico, dando un efficace ma crudele ordine. Manda dentro i suoi arcieri a cavallo ungheresi e cumani, comandando loro di tirare in modo indiscriminato ai cavalli di tutti gli occidentali.
I Latini, appiedati e senza possibilità di ritirarsi, si arrendono.
Ora in netta inferiorità numerica, attaccati di fronte e subissati di continui tiri di frecce, e presi alle spalle dai Valacchi di Giovanni Ducas, i Latini di Villehardouin sbandano e vanno in rotta. Moltissimi sono i cavalieri e i nobili catturati da Giovanni Paleologo e Alessio Strategopulo, tra cui Villehardouin stesso, che viene ritrovato nascosto in un covone di fieno (o secondo una versione alternativa, in una macchia di arbusti).
La battaglia di Pelagonia è una vittoria totale per i Romani di Nicea.

La via per Costantinopoli
Con la vittoria a Pelagonia, il potere epirota è di molto ridimensionato, e l’unico difensore valido del debole impero latino, cioè Guglielmo di Villehardouin, è completamente fuori dai giochi.
Sul breve periodo, la vittoria porta a una breve espansione territoriale ai danni dell’Epiro, ma nel 1260 Michele II, al quale il figliastro Giovanni si è riunito, riescono a ristabilire la situazione.
Il risvolto più importante della battaglia è che la via per Costantinopoli è ora spianata: Michele Paleologo si può dedicare alla sua riconquista senza doversi eccessivamente preoccupare di altro.
Un attacco già nel 1260 fallisce, ma nel 1261, senza colpo ferire, Alessio Strategopulo finalmente riporta il dominio imperiale sulla Regina delle Città.
È l’occasione che Michele stava aspettando. Dopo la riconquista di Costantinopoli, Michele può finalmente liberarsi del piccolo Giovanni IV Lascaris, facendolo accecare (ha solo dieci anni), e segregandolo in un monastero, dove resterà fino alla sua morte nel 1305.
Michele può ora essere incoronato Michele VIII, primo della dinastia dei Paleologi, l’ultima e la più lunga dinastia regnante dell’impero romano.
Senza la vittoria alla battaglia di Pelagonia, la Storia sarebbe senz’altro andata in modo diverso, e forse oggi non ci ricorderemmo come ancora oggi dei Paleologi.
Bibliografia essenziale (clicca i link qui sotto per acquistare la tua copia del libro)
M.C. Bartusis 1997, The Late Byzantine Army
D.J. Geanakoplos 2011, Emperor Michael Palaeologus and the West, 1258-1282
W. Treadgold 1997, A History of Byzantine State and Society