La Seconda Guerra Punica in Spagna (5) – le battaglie di Munda e Orongi (214 a.C.)

Nonostante i clamorosi successi dell’anno precedente a Dertosa e Iliturgi, il quinto anno di guerra non si apriva in modo particolarmente rassicurante per gli Scipioni.

Asdrubale e Magone Barca, che nel 215 a.C. avevano perso quasi del tutto il controllo sulle popolazioni iberiche a sud dell’Ebro, ora avevano rinsaldato le loro posizioni, avendo “messo in rotta un’immenso esercito di Ispanici”, come sintetizza Livio.

Gli alleati dei Romani e le popolazioni iberiche neutrali avevano vacillato, non sapendo se proseguire la lotta con Roma. Le guarnigioni romane lasciate a Sud del fiume rischiavano di restare del tutto isolate, e da sole non avrebbero potuto arrestare un contrattacco cartaginese.

Era vitale portare nuovamente la guerra oltre il fiume Ebro, da tempo ormai non più confine invalicabile tra i due schieramenti.

I due Scipioni, forse anche per accelerare i tempi, agirono separatamente.

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Iliturgi di nuovo assediata

Il primo a muoversi con il suo esercito fu Publio Scipione. L’arrivo del comandante romano fu ciò che serviva agli alleati della Repubblica per tornare a pendere verso i Romani, ma la situazione era ormai ben più complessa.

Il territorio oltre l’Ebro, dopo la riscossa dei Barca, era pieno di pattuglie e truppe nemiche. I Romani furono attaccati a più riprese nella loro marcia verso sud.

Così Livio: “I Romani all’inizio si accamparono in un luogo chiamato Castrum Album, che è famoso per la morte del grande Amilcare [Barca]. Era una fortezza con forti difese, e lì avevano precedentemente accumulato grano; ma siccome tutto il paese circostante era pieno di truppe nemiche, e l’esercito romano durante la marcia era stato caricato dalla cavalleria del nemico senza essere stato in grado di vendicarsi su di esso e duemila uomini, che perdevano tempo indietro o vagavano nelle campagne, erano stati uccisi, i Romani lasciarono il luogo per avvicinarsi a un territorio amichevole, e fortificarono un campo presso il monte della Vittoria”, che dalla descrizione liviana sappiamo essere stato vicino a un fiume.

Presso questo campo, Publio fu raggiunto dal fratello Gneo con tutte le sue forze.

Asdrubale figlio di Giscone con un “esercito completo” pose il campo davanti a quello romano, sulla riva opposta del fiume che scorreva nei pressi. Come in molti casi, Livio non fornisce dati numerici sugli eserciti coinvolti nella guerra in Spagna. A dar credito ai numeri dei morti punici nelle successive battaglie forniti da Livio, l’esercito cartaginese sarebbe ammontato ad almeno 40.000 uomini.

Un prima azione, nei giorni successivi, fu quasi fatale a Publio Scipione. In ricognizione con alcune truppe leggere, fu sorpreso dal nemico. Sarebbe stato sopraffatto se non fosse riuscito a guadagnare un’altura, meglio difendibile, e se il fratello non fosse venuto in suo soccorso.

Nel frattempo, i Cartaginesi posero nuovamente sotto assedio Iliturgi, dove avevano già subito una pesante sconfitta l’anno precedente, e ora presidiata da una guarnigione romana. Livio non ci dice chi fossero i comandanti punici in questo caso, ma è improbabile, visto quanto ci dice Livio in alcuni passaggi successivi, che fossero Asdrubale Barca e il fratello Magone a comandare le operazioni.

I Punici erano piuttosto sicuri in una rapida vittoria, poiché le provviste all’interno erano molto ridotte.

Tuttavia, le cose andarono in modo completamente opposto.

Secondo Livio, Gneo Scipione prese con sé solo una legione (ovvero, circa 4500 uomini) equipaggiata in modo leggero (“expedita”), forse per spostarsi più velocemente, e si mosse per portare soccorso agli assediati. Publio probabilmente rimase indietro per costringere Asdrubale Giscone a non muoversi. Che Geno Scipione avesse con sé solo una legione, visti gli esiti clamorosi dei successivi scontri, pare poco probabile.

Come già l’anno precedente, i Romani riuscirono a entrare in città attraversando i due accampamenti nemici combattendo, uccidendo un gran numero di avversari. Il giorno dopo i Romani fecero anche una sortita, ottenendo una sanguinosa vittoria sull’esercito assediante: Livio riporta di dodicimila morti (sommati però a quelli del giorno prima), più di mille prigionieri e trentasei stendardi catturati.

I Cartaginesi si ritirarono da Iliturgi, ma solo per mettere sotto assedio Bigerra (forse l’odierna Bogarra). Non sappiamo se l’esercito fosse lo stesso che assediava Iliturgi: viste le perdite subite sembrerebbe improbabile, ma spiegherebbe come mai questo esercito fuggì senza combattere quando Gneo Scipione accorse in soccorso anche di Bigerra.

L’esercito punico, battendo in ritirata, venne inseguito da Scipione. Il comandante romano attaccò il campo dei Cartaginesi, presso Munda.

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Soldati cartaginesi, ricostruiti dal gruppo Fianna ap-Palug, membri della federazione Evropa Antiqva. Ph. Alice Bulgarelli

La battaglia di Munda

Munda è decisamente più famosa per la battaglia della guerra civile romana tra Cesare e gli ultimi pompeiani nel 45 a.C., che per lo scontro tra i Romani e i Cartaginesi del 214 a.C.

Come per tante battaglie della guerra punica in Spagna, Livio si limita a una descrizione di poche parole.

“Qui [a Munda] fu combattuta una battaglia campale, che durò quasi quattro ore; e mentre i Romani avanzavano vittoriosamente, fu suonato il segnale della ritirata, poiché la coscia di Gneo Scipione era stata trafitta da un giavellotto. I soldati intorno a lui furono gettati in un gran stato di allarme, per paura che la ferita fosse mortale. Tuttavia, non vi era dubbio che se non fossero stati impediti da questo incidente, avrebbero preso il campo cartaginese quel giorno. Questa volta, non solo gli uomini, ma anche gli elefanti erano stati spinti fin sopra il terrapieno, e sulla cima di questo anche trentanove elefanti vennero infilzati con i pila.”

Livio afferma che anche in questa battaglia perirono dodicimila guerrieri dell’esercito punico (il fatto che questo numero ricorra anche dalla battaglia precedente, tuttavia, può essere sospetto), tremila furono catturati, insieme a cinquantasette stendardi.

I Cartaginesi si ritirarono di nuovo, questo volta verso la località oggi non ben definita di Aurinx, od Orongi (forse tra Monclova e Jimena de la Frontera).

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Le battaglie di Orongi

Dopo aver inseguito i Cartaginesi in ritirata, Scipione volle attaccare di nuovo battaglia, anche per sfruttare la paura e il morale a terra dei nemici.

Conducendo la battaglia da una barella, vista la ferita rimediata da poco, Livio ci dice solo che Gneo Scipione ottenne una vittoria decisiva, ma uccidendo molti meno nemici dei precedenti scontri, visto il prezzo già pagato dai punici. Nella battaglia di Munda, i Cartaginesi contavano circa seimila morti.

Tuttavia, il territorio di Orongi avrebbe visto ancora un altro scontro.

Asdrubale, infatti, aveva mandato Magone a reclutare in gran fretta altri uomini. “Ma questa famiglia [i Barca], nata per preparare e rinvigorire la guerra […] in breve tempo reclutò un esercito […]”, come commenta Tito Livio.

Non sappiamo, nuovamente, quanti guerrieri Magone riuscì a condurre con sé sul campo di Munda. Livio però descrive, come in altre precedenti battaglia, un morale estremamente basso: questo perché, pur essendo altri uomini, non erano evidentemente entusiasti o rinvigoriti nel combattere per una causa che aveva condotto a così tanti disastri in così poco tempo (letteralmente, secondo Livio, in pochi giorni).

Questo dettaglio pare bastevole a Livio per determinare l’esito della seconda battaglia tra Cartaginesi e Romani a Munda, tanto che non spende nemmeno parole per descriverla.

Magone venne sconfitto, vennero uccisi più di ottomila guerrieri, ne vennero non catturati non meno di mille, insieme a cinquantotto insegne militari. Vennero catturati anche otto elefanti, mentre tre erano rimasti uccisi.

Livio si sofferma sul bottino, dicendo che gran parte di esso, consistente in torques e armille d’oro, apparteneva ai Galli, e che due capi (“reguli”), Menicapto e Civismaro, erano rimasti uccisi nello scontro. La presenza di questi Galli è problematica. Per quanto bande mercenarie di Galli transalpini erano diffuse in tutto il mondo mediterrano, in questo contesto sembrerebbe più logico identificare questi Galli con dei Celtiberi (ritrovamenti della cultura celtibera di Castro, del resto, hanno restituito diversi torques e armille d’oro). Tuttavia, Livio né altri autori antichi, parlando dei Celtiberi, li chiamano mai “Galli”, definendoli invece col più generico nome di Ispanici e Iberici, raggruppandoli con gli Iberici veri e propri.

È anche possibile ipotizzare che questi “Galli” siano mercenari veri e propri, reclutati da Magone in uno degli usuali bacini di reclutamento barcidi, il Golfo del Leone, conosciuto in latino come sinus Gallicus, anche se ciò sarebbe parzialmente in contraddizione alla “gran fretta” con la quale Asdrubale avrebbe inviato il fratello a reclutare nuove truppe – gli eventi, nel racconto liviano, si svolgono molto velocemente.

214 aC

La liberazione di Sagunto

L’ennesima vittoria romana, tuttavia, più che procurare gioia sembrò accrescere maggiormente la vergogna.

Infatti, come riporta Livio, i Romani si vergognavano di non aver ancora lavato la macchia di aver lasciato catturare dai Cartaginesi la città loro alleata, Sagunto, all’inizio della guerra, nel 219 a.C. I Romani avevano avuto modo di liberare molti ostaggi iberici tenuti a Sagunto nel 217 a.C., ma non erano mai riusciti nell’intento di scacciare dalla città gli occupanti punici, che la tenevano ormai dai sei anni (Livio, erroneamente, riporta “otto”).

Come in molti casi per i fatti della guerra in Spagna, Livio è molto conciso e sbrigativo. Lo storico riporta solamente che i Romani cacciarono la guarnigione con la forza e ripresero la città rendendola agli abitanti “che erano sopravvissuti alla furia della guerra”.

Nello stesso anno, i Turdetani, che abitavano la parte più meridionale della penisola, secondo Livio vennero sottomessi dai Romani e in gran parte resi schiavi, punizione per aver in primo luogo scatenato la guerra tra Sagunto e Cartagine.

Con la liberazione di Sagunto, anche il 215 a.C. si chiudeva per i Romani in modo vittorioso su tutti i fronti.

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Bibliografia

Polibio, Storie

Tito Livio, Storie


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