Il regno di Alessio Comneno, salito al trono nel 1081 e destinato a dare un po’ di respiro all’impero romano, non è affatto un periodo facile.
Ciò è particolarmente vero se si guarda alle invasioni e alle guerre che l’impero deve sostenere in quegli anni, per lungo tempo senza abbastanza uomini o mezzi per affrontarle.
Nel 1087, alla frontiera danubiana dell’impero irrompono i Peceneghi, una popolazione di stirpe turca – circa 80.000 persone in totale, da quanto ne sappiamo, tra guerrieri e le loro famiglie.
I Peceneghi varcano il Danubio e irrompono in Tracia, devastando e saccheggiando la regione fin sotto le mura di Costantinopoli, con l’aiuto della setta dei manichei Bogomili, deportati dall’Asia Minore a Filippopoli circa un secolo prima.
Alessio, in quel momento impegnato in Asia Minore contro Chaka Bey, suo ex ufficiale ribelle di origine turca (nonché alleato dei Peceneghi), non ha né gli uomini né i mezzi necessari per occuparsi immediatamente dei nuovi invasori barbari.
Ma non ha certo intenzione di restare con le mani in mano.
Mentre Chaka organizza un attacco simultaneo via terra e via mare contro Costantinopoli nel durissimo inverno 1090-1091 (Chaka attaccherebbe via mare, mentre i Peceneghi via terra), Alessio tende la mano a un’altra popolazione di stirpe turca che gli ha causato egualmente problemi negli anni precedenti: i Cumani.
Dietro la promessa di un’ampia ricompensa, questi sono disposti ben più che volentieri a mettere i loro guerrieri (ben 40.000) a disposizione di Alessio.
L’imperatore, nella primavera del 1091, è pronto a lanciare finalmente il tanto atteso attacco contro gli invasori.
Con un esercito di circa 65.000 uomini (oltre ai Cumani, 20.000 romani, 5000 Valacchi e qualche centinaio di mercenari latini partecipano alla spedizione), Alessio a fine aprile marcia verso il monte Levounion, vicino al fiume Maritsa, oggi nella Turchia europea, dove sono accampati i Peceneghi. Come è costume di molti popoli nomadi, sono accampati dentro una “fortezza mobile”, costituita da un cerchio di carri.

I Peceneghi, compreso che la situazione per loro non è delle migliori, cercano sia di invitare i Cumani ad allearsi con loro, che di inviare continuamente richieste di pace all’imperatore.
Ma i messaggi che Alessio riceve dagli alleati Cumani sono inequivocabili: questi ultimi non hanno più intenzione di aspettare, e che lui voglia o no attaccheranno all’alba del giorno successivo.
Fatte le dovute preghiere e armati i suoi uomini (le truppe alla leggera sono più corazzate del solito e hanno anche armamenti “color del ferro”, poiché non c’è abbastanza metallo per tutti), all’alba del 29 aprile Alessio, anch’egli armato di tutto punto, comanda di iniziare l’attacco ai Peceneghi.
Vedendo i Romani disporsi per lo scontro, anche i Cumani si preparano e schierano le loro forze. Da quanto si può ricostruire, l’esercito imperiale è disposto a mezzaluna (o almeno la cavalleria, comandata da Alessio in persona), probabilmente per circondare il campo pecenego, mentre i Cumani completano l’accerchiamento.
Vista la mala parata, un capo pecenego si distacca dal resto e con i suoi si va ad arrendere ai Cumani, chiedendo che facciano da intermediari con l’imperatore. Alessio, temendo invece che i Peceneghi possano tentare di far passare i Cumani dalla loro parte, manda prontamente un suo alfiere vicino al campo alleato, per non lasciare dubbi sugli schieramenti.
Dopo un breve scontro, probabilmente quasi solo tra cavallerie, lo schieramento pecenego (non è ben spiegato da Anna Comenna, ma l’attacco non deve essere stato totalmente di sorpresa) è rotto, e Romani e Cumani irrompono nel cerchio di carri nemico.
Anna Comnena sintetizza efficacemente ciò che segue: “[…] e si assisté un tale massacro di uomini come nessuno aveva visto prima di allora.”
Quando sorge il sole, il campo di battaglia è disseminato dei corpi dei Peceneghi – uomini, donne, bambini.
Per l’impero, si tratta di un primo grande trionfo, dopo molte sconfitte. La vittoria è salutata come un miracolo e Alessio come un eroe conquistatore. Poco tempo dopo, sarà infatti in grado di occuparsi anche di Chaka Bey.
Anche se alcuni Peceneghi sono rimasti in vita, la quasi totalità di loro è stata massacrata. Nel giro di un sol giorno, Alessio Comneno ha praticamente spazzato via, oltre che una minaccia per il suo impero, un intero popolo.
Anna Comnena riporta che nell’impero, comprensibilmente, un tale massacro non provoca affatto scalpore, ma sollievo e…canzoni.
“Fu straordinario a vedersi un intero popolo, che si contava non a decine o migliaia, ma in moltitudini innumerevoli, con le donne e i bambini, venire cancellato in un solo giorno. Era il terzo giorno della settimana, il 29 di aprile. Per questo motivo i Romani composero una canzonetta burlesca: ‘Per un solo giorno gli Sciti [i Peceneghi] non videro mai maggio’ “.
Fonti
Anna Comnena, Alessiade