
Nel 200 a.C. i Romani, da poco usciti vittoriosi dalla Seconda Guerra Punica, si preparano alla guerra contro il regno di Macedonia.
Tranquilli di non avere finalmente nemici alle spalle, i Quiriti sono presi completamente alla sprovvista nel venire a sapere che Piacenza è stata data alle fiamme e saccheggiata. Dopo decenni di guerre per sottometterla, la Gallia Cisalpina era di nuovo in rivolta.
A stupirli forse non è tanto il fatto che sia stata una grande coalizione di Galli, tra cui i loro storici alleati Cenomani, e tribù liguri, ad assalire la colonia.
Infatti il fatto più sorprendente, che riporta la mente dei Romani all’incubo della guerra contro Cartagine, è che a guidare questa coalizione è proprio un cartaginese: Amilcare.

Ph. Insubria Gaesata, dall’evento “Il segreto di Annibale“
Amilcare, l’ultimo cartaginese in Italia
Di Amilcare, comandante della coalizione gallica e ligure, sappiamo purtroppo poco e nulla. L’unico a farne menzione è Tito Livio (la nostra fonte principale su tutta la vicenda), che di lui dice solo: “[…] aveva fatto parte dell’esercito di Asdrubale ed era poi rimasto in quella regione [la Gallia Cisalpina].”, anche se in passo di poco successivo ci viene detto che “[Amilcare era stato] lasciato in Gallia, non si sapeva bene se dall’esercito di Asdrubale prima, o da quello di Magone poi”.
Il che significa che questo Amilcare, del quale del resto non sappiamo nemmeno se sia stato precedentemente un ufficiale, al momento del sacco di Piacenza è in Italia da sette o tre anni.
C’è da domandarsi la bontà di questa notizia, o se piuttosto Amilcare non agisca direttamente per conto di Cartagine (se mai è esistito, come vedremo più avanti), anche se nella città e cultura punica le iniziative “private” erano piuttosto bene accette. Sembra strano anche che Amilcare sia stato completamente solo e non abbia avuto con sé qualche altro elemento sopravvissuto dell’esercito di Asdrubale Barca.
Non abbiamo nemmeno notizie di come Amilcare abbia messo insieme una coalizione di Galli (Insubri, Boi e addirittura Cenomani) e Liguri (nella fattispecie, le tribù di Celini e Ilvati). Ma in questo caso, almeno per Insubri e Boi la motivazione è facilmente intuibile, ovvero il desiderio di rivalsa e di sottrarsi al dominio romano. Se i Liguri, poi, possono essere stati assoldati come mercenari (anche se viene da chiedersi con quali mezzi), come era tradizione dei Cartaginesi, molto meno comprensibile, e non spiegata da Livio, è l’adesione cenomane alla coalizione. I Cenomani erano infatti stati l’unico popolo gallico a rimanere alleato dei Romani per tutta la Seconda Guerra Punica.
Come che sia, Amilcare riesce nell’impresa di mettere insieme un esercito di ben quarantamila guerrieri, che assale totalmente di sorpresa la città pressoché indifesa di Piacenza. Insieme a Cremona, la colonia era forse il simbolo più forte della presenza romana in Gallia Cisalpina.

Ph. Angela Ruggero
L’esercito di Amilcare saccheggia e incendia Piacenza, lasciando vivi sì e no duemila abitanti e facendoli prigionieri. Da lì attraversa il Po e si dirige su Cremona.
Non potendo però sfruttare l’effetto sorpresa, la colonia resiste, avendo tempo di chiudere le porte e di collocare soldati sulle mura. Amilcare e il suo esercito di Galli è così costretto a un assedio. In questo modo gli abitanti guadagnano tempo e riescono a inviare messaggeri al pretore della provincia, Lucio Furio Purpurione.
Purpurione non ha però un vero esercito da mettere in campo contro Amilcare: ha a malapena cinquemila uomini a disposizione, solo socii di diritto larino. E sicuramente non vuole mettere in pericolo l’unica forza che ha, rischiando di farsi massacrare solo per aumentare il morale del nemico (come scrive al senato di Roma).
Eserciti e ambasciatori: le prime risposte di Roma
Nonostante l’imminente impegno in Macedonia, i Romani non possono certo ignorare la minaccia nella Penisola.
Si attivano sia sul piano diplomatico che militare: predispongono che un vero esercito vada a sostituire i socii di Purpurione, al comando del console Gaio Aurelio Cotta (o che questi affidi i soldati ad altri comandanti dopo averli portati in Gallia Cisalpina), e inviano emissari a Cartagine per imporre che dalla città punica richiamino Amilcare e lo consegnino ai Romani. In caso contrario, avrebbero subito di nuovo l’ira di Roma.
Già che ci sono, i Romani richiedono anche ai Cartaginesi che, secondo le clausole del trattato firmato con la fine della Seconda Guerra Punica, vengano arrestati e consegnati quei disertori romani che ancora girano impunemente per Cartagine (un dettaglio estremamente interessante, fornito da Livio, che ci ricorda come anche l’esercito romano non fosse certo esente dal fenomeno della diserzione).
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Le risposte di Cartagine non tardano ad arrivare: di Amilcare non si può fare altro che condannarlo all’esilio e confiscarne i beni. Quanto sta accadendo non è competenza del Senato cartaginese – il quale però, per non correre ulteriori rischi, si affretta a inviare a Roma tutti i disertori romani che riesce a trovare e quattrocentomila moggi di grano (quasi tre tonnellate), metà da inviare nell’Urbe e metà all’esercito in Macedonia.
Passati i mesi, nel 199 a.C. un esercito consolare passa finalmente da Arezzo a Rimini, mentre i cinquemila socii di diritto latino passano dalla Cisalpina all’Etruria.
Dalle fonti coeve, sappiamo che un esercito consolare “standard” del periodo è una forza di due legioni di cittadini romani e due alae di alleati, per un totale teorico di 16.800 fanti e 1600-2400 cavalieri.
Con questa forza di molto inferiore per numero, i Romani si preparano al confronto con Amilcare.
La battaglia di Cremona (199 a.C.)
Lucio Furio Purpurione, preso il comando dell’esercito romano, lo conduce a tappe forzate da Rimini a Cremona, ancora assediata, e pone l’accampamento a poco più di un chilometro dai Galli.
Potrebbe attaccare e ottenere una grande vittoria, poiché i guerrieri di Amilcare sono sparsi per la campagna, ma decide invece di attendere: non per timore dello scontro, ma perché la marcia forzata ha duramente provato i legionari.
I Galli di Amilcare hanno così il tempo di organizzarsi. Il giorno dopo escono velocemente dal campo e si schierano a battaglia, dando appena il tempo ai Romani di comporre i ranghi.
Purpurione schiera in prima linea, in posizione più avanzata, la sua ala destra di socii, tenendo le due legioni di cittadini come riserva. I Galli concentrano proprio lì tutte le loro forze, ma non riuscendo a sfondare allargano il fronte, tentando di aggirare i fianchi romani.
Purpurione manda dentro le due legioni di riserva, schierandole proprio sui fianchi. Nel fare questo, fa anche voto a Giove di dedicargli un tempio, in caso di vittoria.
La cavalleria romana è lanciata all’attacco sulle ali. Purpurione nota inoltra che il centro dei Galli è ora molto assottigliato: è il momento giusto per un violento attacco.
I legionari caricano e sfondano lo schieramento di Amilcare. I Galli sono messi in fuga, e la vittoria è totale. Secondo Livio, quasi 35.000 guerrieri celtici cadono sotto le spade romane. Tra questi, ci sarebbero anche tre famosi condottieri galli (che Livio non menziona) e Amilcare…
…ma la storia dell’ultimo cartaginese in Italia, forse, non è ancora finita.

Ph. Martina Cammerata
L’ultima battaglia di Amilcare (197 a.C.)
Nei due anni passati dalla battaglia di Cremona, i Romani sottomettono nuovamente quasi tutta la Gallia Cisalpina e certamente quella Cispdana, ad eccezione dei Galli Boi e dei Liguri Ilvati.
A portare la guerra ai Boi è uno dei consoli per il 197 a.C., Gaio Cornelio Cetego. Oltre ai Boi, dovrà fronteggiare una nuova coalizione di popoli celtici.
I Boi hanno infatti intanto passato il Po verso nord, riunendosi agli Insubri e agli insoliti alleati Cenomani: sapendo che forse i due consoli avrebbero unito le forze (il secondo console è Quinto Minucio Rufo), i Galli intendono mettere insieme un grande esercito per affrontarli.
Cetego ha bisogno di una strategia per distruggere la temporanea coesione dei Galli. Per prima cosa, porta il saccheggio e la distruzione nei territori dei Boi.
Questi ultimi, come Cetego doveva aver previsto, rientrano nelle loro terre per difenderle, lasciando gli Insubri e i Cenomani, che non hanno alcuna intenzione di seguirli, sulla riva del Mincio.
L’ultimo tassello della strategia di Cetego prevede di convocare i capi Cenomani per scoprire come mai, ormai tre anni prima, si siano uniti alla rivolta gallica. Secondo Tito Livio, questi erano passati con Boi e Insubri non in massa, ma solo la loro frangia più giovane e bellicosa: non era stata una decisione condivisa.
Cetego prova a convincere i Cenomani a passare dalla sua parte o a tornare alle loro case. Anche se i Cenomani non promettono di fare né l’una né l’altra cosa, si impegnano però a restare inattivi o ad aiutare i Romani durante lo scontro ormai imminente.
Gli Insubri, sospettando qualcosa, il giorno della battaglia non li schierano su una delle ali ma li lasciano indietro, di riserva. Un errore fatale: infatti i Cenomani, nel bel mezzo della battaglia, attaccarono alle spalle gli Insubri.
La vittoria fu totale, portando secondo Tito Livio a circa 35.000 morti tra i Galli e a più di 50.000 prigionieri. Tra questi prigionieri…vi è Amilcare, “che aveva provocato la guerra”.
Livio, che nella battaglia del 199 a.C. lo aveva dato per morto, non fornisce altre spiegazioni. Anzi, Amilcare torna un’ultima volta in occasione del trionfo di Cetego a Roma, sfilando come prigioniero.
Dopodiché, Amilcare scompare dalla cronaca di Tito Livio e dalla Storia.
Amilcare: un’invenzione liviana?
Il generale Amilcare probabilmente non è del tutto inventato, ma certamente ci sono molti elementi della testimonianza di Tito Livio che non tornano.
Se non lo ha inventato totalmente, è assai probabile che Livio abbia attribuito ad Amilcare due battaglie, mentre ne potrebbe aver combattuta una sola.
In effetti, la battaglia di Cremona del 199 a.C. e quella sul Mincio del 197 a.C. in molti punti sembrano un calco l’una dell’altra. Entrambi i comandanti romani fanno un voto di costruire un tempio a una divinità (Purpurione a Giove, Cetego a Giunone Sopita), e i caduti Galli sono, in modo alquanto sospetto, 35.000 in entrambe le battaglie.

Ph. Martina Cammerata
Insomma, è assai probabile che Amilcare sia esistito, ma che la sua esistenza si sia conclusa alla battaglia di Cremona del 199 a.C.
Chiaramente, non è però del tutto da escludere che sia stato dato per morto nel 199, per poi invece essere ancora vivo nel 197 a.C. Non mancano casi nei quali il corpo di un comandante non sia mai stato ritrovato (restando nell’alveo della Storia romana repubblicana, è celebre il caso di Spartaco, il cui corpo non fu mai identificato).
Quale che sia la verità, la quasi sconosciuta vicenda di Amilcare è un affascinante ultimo “strascico” della Seconda Guerra Punica.
Quasi che l’ombra di Annibale, dopo tutto, non avesse ancora del tutto abbandonato la Penisola.
Il titolo di questo articolo è stato ispirato dal nome dell’edizione 2015 dell’evento Mutina Boica, che ringrazio per l’ispirazione.
Fonti (clicca i link qui sotto per acquistare la tua copia del libro)
Tito Livio, Ab Urbe Condita
Letture consigliate
Gioal Canestrelli 2022, Roma contro Cartagine. Tutte le truppe di Annibale.