Remoria, la gemella mai nata di Roma

“Agro Remurino: nome specifico dato a un certo terreno che era stato posseduto da Remo, e la dimora di Remo venne chiamata Remoria.
Ma è anche chiamato Remoria una porzione sulla cima dell’Aventino, dove Remo aveva tratto gli auspici per la fondazione di Roma.”
[Festo, De verborum significatu, XVI]

Tutti conoscono la storia di Romolo e Remo, il disaccordo tra i due fratelli relativo a chi avrebbe fondato la nuova città, e dove, e il drammatico epilogo della vicenda.

Romolo finirà con l’uccidere il fratello, fonderà Roma e ne diverrà il primo re, consacrandosi alla Storia, mentre per Remo vi saranno solo la morte e l’oblio.

Leggendo però diverse fonti storiche relative alla leggenda, si colgono alcuni accenni al fatto che Remo non si era limitato ad entrare in disaccordo col fratello, ma aveva di fatto già identificato un punto dove edificare la “sua” città.

“Non concordarono sul medesimo luogo per la fondazione della città, poiché Romolo propose di insediarsi sul Colle Palatino, tra le tante ragioni per i buoni auspici legati al luogo, dove erano stati accolti e cresciuti, mentre Remo favoriva il luogo che prese da lui il suo nome, che oggi è chiamato Remoria.
E invero quel luogo è molto adatto per una città, trattandosi di una collina non lontana dal Tevere e a circa trenta stadi [5,55 km] da Roma.”
[Dionigi d’Alicarnasso, Antichità di Roma, I, 85, 6]

Il luogo scelto da Remo dunque non è affatto peregrino, anzi: Dionigi contrappone alla spinta emotiva e sacrale di Romolo una scelta pratica da parte del fratello, che avrebbe favorito un luogo “molto adatto per una città”.

Secondo Plutarco, i due fratelli si sarebbero operati per tracciare i confini ognuno della sua città prima di decidere di dirimere il loro disaccordo tramite gli auspici, e mentre Romolo tracciava il perimetro della Roma Quadrata sul Palatino
“…Remo costruì un robusto recinto in un luogo del Colle Aventino, che da lui prese il nome di Remonium”
[Plutarco, Vita di Romolo, 9, 4]

Non accettando il responso divino, che peraltro secondo Plutarco era forse in parte stato falsato da Romolo, Remo viene colto dall’ira, e ridicolizza i confini tracciati dal fratello.

Ne nasce una colluttazione, alla quale sembrano partecipare non solo i due fratelli, ma diversi altri individui, tra i quali vengono citati Celere, compagno di Romolo, Faustolo, il padre adottivo dei due gemelli, e suo fratello Pleistino.

Plutarco non fa mistero che più che di una colluttazione si trattò di un vero e proprio combattimento (“μάχῃ”), e se Remo venne ucciso o da Romolo o da Celere, non è chiaro a chi imputare la morte di Faustolo e Pleistino, tantomeno a fianco di chi quest’ultimi si fossero schierati.

Viene spontaneo supporre che così come Romolo aveva dei seguaci, altrettanto valesse per Remo, e Dionigi riporta che nello scontro vi fu ‘uccisione reciproca di cittadini’.

Più che un semplice litigio tra i due fratelli finito tragicamente, si profila l’immagine sottaciuta di un abbozzo di “guerra civile”, uno scontro tra bande dove i Romani “ante-litteram” prevalgono sui “Remoriani”, e forse la nascita di Roma, più che da un fratricidio, trae le sue origini da un “cannibalismo”, un’assimilazione tutt’altro che pacifica di un’altra realtà protourbana in fieri a lei vicina.

A chiusura del cerchio, Il sito di Remoria, o Remonia, la città mai nata di Remo, finisce per diventare necropoli, una città dei morti che fungerà da specchio tellurico e lunare della Roma celeste e solare dei vivi:
“Romolo, che aveva ottenuto una vittoria assai triste attraverso la morte del fratello e per l’uccisione reciproca di cittadini, seppellì Remo a Remoria…”
[Dionigi d’Alicarnasso, Antichità di Roma, I, 87, 3]

“Romolo seppellì Remo, assieme ai suoi parenti adottivi, a Remonia”
[Plutarco, Vita di Romolo, 11, 1]”

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