Volones. Gli schiavi-soldato di Roma (2)

Leggi la prima parte qui
Volones. Gli schiavi-soldato di Roma (1)

Estate 214 a.C., Benevento.

Subito dopo la difesa di Cuma, Tiberio Sempronio Gracco ha portato i suoi volones e i socii a Luceria.

Dopo mesi di inattività, il nuovo console Quinto Fabio Massimo, figlio del Cunctator, ordina a Gracco di portarsi velocemente verso Benevento.

Il generale cartaginese Annone sta avanzando per congiungersi ad Annibale. Va fermato a tutti i costi.

Gracco si dirige a gran velocità verso Benevento, dove attende.
Appena viene a sapere che Annone ha attraversato il fiume Calore e si prepara a devastare le campagne della città, porta i suoi fuori dalle mura.

Si accampa a un miglio da Annone. Questa volta sarà scontro in campo aperto.

Una testa per la libertà

I volones sono ormai diventati dei veri soldati, orgogliosi: si farebbero un altro anno di schiavitù armata, piuttosto che chiedere la libertà apertamente.

Ma alle orecchie di Sempronio, sempre attento ai bisogni dei suoi soldati, non è sfuggito il sommesso rumoreggiare degli schiavi-soldato.

Non chiederebbero mai la libertà. Ma desiderano più di ogni cosa combattere da uomini liberi.

Sempronio Gracco ha scritto una lettera al Senato qualche tempo addietro.

“E aveva scritto al Senato non tanto quanto bramavano, ma quanto si erano meritati; che gli avevano prestato fino a quel giorno opera buona e coraggiosa, né altro mancava loro, per essere vero modello di soldati, che la libertà.”

Ora che ha ricevuto la risposta, ha radunato i suoi uomini.

“Dice loro che il giorno seguente si sarebbe combattuto a bandiere spiegate in campo aperto e disabitato dove, senza tema di insidie, avrebbero potuto mostrare il loro vero valore.”

Il premio per quel valore: la libertà.

Il Senato, con l’avvallo del console Marco Claudio Marcello, ha deciso infatti di accettare la proposta di Gracco e di fare da garante per liberazione dei volones.

Gracco pone due condizioni a ogni soldato: non cedere mai…e portargli la testa di un nemico.

La libertà dei volones è ora nelle loro mani.

Gli schiavi-soldato esultano, gridano, si infiammano. Chiedono a gran voce a Gracco che dia il segnale della battaglia, subito.

Sempronio Gracco annuncia che la battaglia avverrà l’indomani, e congeda i soldati.

I volones passano tutto il resto della giornata ad approntare le armi.
Guardano tutti con impazienza al giorno seguente, quando affronteranno il nemico in campo aperto…e scopriranno se saranno abbastanza coraggiosi da conquistarsi la libertà.

Illustrazione di G. Rava.

La battaglia di Benevento (214 a.C.)

Poco fuori Benevento, 214 a.C.

E’ ormai tarda mattinata, e la battaglia tra le truppe di Sempronio Gracco e Annone infuria ormai da quattro ore.
La situazione è in stallo.

I volones stanno combattendo ferocemente, ma sono più impegnati a decapitare il loro avversario che a vincere la battaglia…

Qualche ora prima, quando all’alba è stata suonata l’adunata, i volones erano già pronti, schierati davanti alla tenda di Gracco.

Una volta che il sole è pienamente sorto, Sempronio ha condotto i suoi fuori dall’accampamento.

Annone si stava già schierando. La stragrande maggioranza dei suoi uomini, 17.000 fanti, sono Brettii e Lucani. Quanto ai cavalieri, circa milleduecento, sono i temibili Numidi e Mauri.

Non conosciamo le forze di Sempronio, ma possiamo supporre che i due eserciti in campo siano equilibrati, considerando anche i socii.

Quando lo scontro è iniziato, i volones avevano ben in mente la promessa di Gracco: portatemi una testa e avrete la libertà.

Ordine al quale ora stanno attenendosi in modo fin troppo ligio, compromettendo l’esito dello scontro.

I tribuni riferiscono a Gracco che i volones sono più concentrati a decapitare il nemico che ad affrontarlo.
La mano destra è occupata dal cranio del nemico, impedendo loro di combattere: il prezioso trofeo, riscatto della loro libertà, non può essere perduto.

Gracco si rende conto che la sua promessa, che voleva essere un incentivo a combattere ferocemente, si è trasformato in un’arma a doppio taglio.

Il comandante cerca così di sbloccare la situazione: dice ai soldati di lasciar perdere le teste e di lanciarsi contro i nemici. Il loro valore è stato provato a sufficienza, che i coraggiosi non dubitino della loro futura libertà.

Gracco manda dentro anche la cavalleria, ma lo scontro resta incerto.

Decide così di passare alle maniere forti, con una promessa terribile: se i nemici non saranno sconfitti e messi in fuga, nessuno avrà l’agognata libertà.

Queste parole scuotono i volones come uno schiaffo.
Lanciando un terribile urlo di guerra, gli schiavi-soldato finalmente si scagliano contro le truppe di Annone.

E’ impossibile ora contenerli. La fanteria di Annone sbanda, fugge sotto l’inaudita e infiammata ferocia dei volones.

L’esercito cartaginese si ritira fin nel suo campo, senza nemmeno provare ad attestarsi sulle difese. I volones li inseguono, “quasi un corpo solo con i nemici”.

Il combattimento nell’accampamento si fa più arduo, tra steccati e trincee.

Ma giunge un insperato aiuto: i prigionieri di Annone, raccogliendo armi come capita, si gettano alle spalle dell’esercito cartaginese, chiudendolo tra due fuochi.

Annone e a malapena duemila uomini, a cavallo, riescono a fuggire. Gli altri sono uccisi o presi prigionieri.

Le perdite romane sono molto pesanti, duemila uomini.
Ma i volones, nonostante le difficoltà, nonostante siano servite le dure parole di Gracco a risvegliarli, hanno vinto una grande battaglia campale.

Potranno finalmente avere la libertà tanto agognata.

Tuttavia, le difficoltà della giornata non sono ancora finite.

Mentre l’esercito di Gracco rientra nell’accampamento, carico di bottino, quasi quattromila tra i volones (quasi una legione!) hanno preso possesso di un’altura.

Questi quattromila uomini non hanno preso parte all’ultimo assalto all’accampamento cartaginese…per questo atto, ora temono la punizione del comandante.

Restano sul colle per tutto il giorno, fino al mattino successivo.
La mattina dopo, i tribuni vanno a chiamare i quattromila volones sul colle. Gracco ha radunato gli uomini nel campo per fare un discorso, e devono partecipare anche loro.

I volones, alla fine, decidono di scendere, con la morte nel cuore.
Gracco è sempre stato un comandante generoso e accorto…ma ricordano la sua promessa. E sanno bene che il loro atto non resterà senza conseguenze.

Tavola di Adam Hook per “Roman Legionary vs Carthaginian Warrior” di David Campbell

Libertà e punizione

Volones e soldati liberi sono tutti radunati.

I quattromila volones che non si erano dimostrati abbastanza valorosi sono mischiati con gli altri. Attendono il loro destino.

Gracco si occupa prima di tutto di distribuire i doni militari ai veterani liberi presenti, in proporzione agli atti di valore compiuti.

Poi, finalmente, si rivolge ai volones. Non aspettano altro da tutta la mattina.

Gracco dichiara che quel giorno preferisce lodare tutti, “i degni e gli indegni”, piuttosto che castigare qualcuno.
Con l’augurio che sia di buon auspicio per la Repubblica, Sempronio Gracco proclama i volones liberi.

Tutti quanti.

Gli schiavi-soldato ce l’hanno fatta: con il loro valore, si sono conquistati la libertà.

Si abbracciano, si complimentano l’un l’altro, lanciano invocazioni al cielo, augurano tutto il bene al popolo romano.

Ma ci sono ancora da fare i conti con i quattromila volones che erano fuggiti sul colle.

Gracco ha in serbo per loro una punizione…particolare.

Dopo aver fatto tornare il silenzio, il comandante esige i nomi di tutti i quattromila.

“Per non far perire la differenza tra valore e codardia”, questi dovranno fare un solenne giuramento.
Tranne in caso di malattia, i volones che erano fuggiti saranno d’ora in poi costretti, fintanto che rimarranno sotto le armi…a mangiare e bere in piedi.

“Sopporterete pazientemente questa pena, se penserete che non si poteva notarvi di viltà con segno più leggero di questo.”

Tutti i volones esultano. Non potevano sperare in un destino migliore.

L’esercito di Gracco rientra a Benevento.
I cittadini accolgono i soldati come eroi, li abbracciano, li invitano nelle loro case.
Con il permesso di Gracco, viene allestito un grande banchetto pubblico per le strade. I volones, con i pilei o panni bianchi in testa, al contempo servono e banchettano.

Gracco considererà tanto degna quella scena, che ne dedicherà una rappresentazione in un tempio sull’Aventino che aveva fatto costruire il padre, quando era edile.

Molto significativamente, il tempio della Libertà.

Le ultime tracce dei volones

Dopo la loro liberazione alla battaglia di Benevento, i volones diventano più difficili da rintracciare nelle fonti.

Sempronio Gracco, ora loro patrono, continuerà a essere il loro comandante fino alla sua morte nell’agguato ai Campi Veteres, nel 212 a.C.

Con la morte di Gracco, i volones si disperdono nelle città del Sud Italia, divenendo effettivamente disertori.

Il Senato ordina immediatamente di rintracciarli…curiosamente, non per punirli, ma per arruolarli di nuovo.

Se da una parte saremmo cinicamente tentati di pensare che si tratti di una mera mossa di calcolo per non sprecare “risorse umane”, dall’altra dobbiamo ricordare che i Romani rifiutavano di riscattare i prigionieri di guerra.

Pur non escludendo un calcolo di questo tipo, con tutta probabilità la questione è culturale e mentale.

I volones restavano degli schiavi liberati, dei liberti. E la fedeltà di un liberto andava prima di tutto al suo patrono.

Morto Gracco, i volones avevano perso quel legame, e forse si erano sentiti sciolti da quell’impegno.
I Romani, probabilmente capendo questo aspetto, decisero semplicemente di richiamare i volones all’ordine e arruolarli di nuovo.

I volones spariscono dalle fonti per alcuni anni, per ricomparire solo nel 207 a.C.

Quando il console per quell’anno, Marco Livio Salinatore, indice una nuova leva in vista della calata di Asdrubale in Italia, propone proprio di richiamare anche i volones.

Gli ex schiavi-soldato vengono inquadrati in due legioni a organico ridotto, la XIX e la XX.

Dopo la vittoria su Asdrubale, troviamo i volones in Etruria, proprio al comando di Salinatore.
Forte è la suggestione di vederli schierati alla battaglia del Metauro, ma il silenzio delle fonti impone cautela.

Assai più probabilmente, i volones furono dislocati direttamente a difesa dell’Etruria dopo il nuovo arruolamento, al comando di Varrone (il console sopravvissuto al disastro di Canne).
Salinatore li avrà di nuovo al suo comando dopo il Metauro.

L’ultima volta che i volones sono menzionati da Tito Livio è il 205 a.C.
Livio Salinatore svalica l’Appennino e conduce i volones in Gallia Cisalpina, per fermare la discesa di Magone Barca.

Dopo questa data, non sappiamo più nulla dei volones.

Nel 203 a.C. viene combattuta la cosiddetta “battaglia dell’Insubria”, un sanguinoso scontro con il quale i Romani riescono a fermare il condottiero cartaginese.

I volones parteciparono alla battaglia? Possibile, ma non ne abbiamo la certezza.
Tito Livio menziona con il loro nome tre legioni partecipanti allo scontro, ma i volones non sono tra queste.

Potremmo speculare a lungo se non siano solo stati menzionati, ma sarebbe un mero esercizio di fantasia.

In un momento imprecisato dopo il 205 a.C., le due legioni dei volones vengono probabilmente sciolte in modo definitivo.

Di loro, oltre alle parole degli storici antichi, resta solo il ricordo di una delle vicende più particolari e avventurose della Seconda Guerra Punica e della Storia romana.

Bibliografia essenziale

Fonti

Tito Livio, Ab Urbe condita

Valerio Massimo, Memorabilia

Studi secondari

M. Bocchiola, M. Sartori 2008, La battaglia di Canne.

F. Dupont 2000, La vita quotidiana nella Roma repubblicana

N. Fields 2010, Roma contro Cartagine

N. Fields 2012, Roman Republican Legionary 298-105 BC


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