I colori nel mondo antico. (4) Giallo, nero e bianco

Giallo

Il giallo era molto apprezzato nel mondo romano, uno dei colores austeri.

Gli aggettivi che in latino qualificano il giallo sono diversi (luteus, aureus, crocus, che indicavano una gamma di gialli forse più tendenti all’arancio), ma a colpire è l’assenza di un termine di base stabile e ricorrente.

Ciò non accade, invece, nella lingua greca, dove il termine xanthós indica usualmente i gialli vivi e luminosi.
Vi sono anche altri vocaboli greci per definire il giallo, il cui utilizzo però è più raro o limitato: ochrós (giallo ocra), chlorós (giallo-verde), chrysos (giallo oro), mélinos (giallo miele), krókinos (giallo zafferano).

Va comunque ricordato che nelle lingue antiche questi vocaboli forniscono più un senso del colore e non delle vere e proprie nozioni cromatiche. Queste parole sono giunte fino a noi grazie alla letteratura antica, ma non sappiamo se e come questi vocaboli venissero impiegati nel quotidiano.

L’aggettivo latino più frequente per il giallo è sicuramente flavus. Questo identifica soprattutto i gialli della natura (sabbia, frutti, fiori, miele, grano, manto degli animali) e il colore dei capelli…ma solo di Greci o Romani, o in genere di personaggi considerati in modo positivo (non a caso, anche il fratello di Arminio, pur di stirpe germanica, aveva proprio Flavus come cognomen).

Raramente è usato in relazione a stoffe o manufatti.

Per qualificare il biondo dei popoli celti o germani il lessico latino ricorre all’uso di parole come luridus, pallidus, rutilius, russus.

Flavus non sembra tuttavia un termine usato univocamente per indicare toni gialli. In moltissimi casi flavus ha un significato molto più simile al greco glaukos, un termine che indicava semplicemente un pallore o una scarsa concentrazione di colore – tanto che questo termine racchiude anche tonalità di verde e di blu.

Anche l’etimologia del termine è a tutt’oggi molto controversa. Flavus potrebbe derivare da flos o florus, termini che, oltre ad indicare il fiore, sono legati al bello, al biondo, ed al ricco. Oppure da blavos, parola gallica per indicare il giallo, a sua volta derivata da blavo, grano. Ma quest’ultima sembra essere un’ipotesi alquanto debole.

Fulvus è un altro termine che può indicare il giallo, usualmente un giallo più scuro.

La tintura ha donato al lessico latino alcuni termini per il giallo, come croceus e luteus. Il primo identifica un giallo tendente all’arancione, ricavato dallo zafferano. Esprime bellezza, lucentezza, prestigio, e femminilità. Il secondo è più generico, e indentifica soprattutto i gialli ottenuti con la gauda (lutum).

Il termine aureus, pur indicando anche tonalità di giallo, denota piuttosto la materia che il colore. Il suo significato
infatti è “dorato”, “d’oro”, “ricoperto d’oro”. Per estensione passò ad indicare i gialli sgargianti, anche se spesso assume un senso più metaforico che denotativo o descrittivo.

Il suo diretto opposto è luridus, un giallo impuro, sporco, grigiastro. Indica soprattutto il colore della pelle dei malati, le piante ormai appassite, le stoffe di scarsa qualità, e a volte la Luna.

Vi sono anche termini più rari, utilizzati per alcune sfumature di giallo: ravus, helvus, silaceus, melleus, sulfureus, cereus.

Molto più a sé è il termine galbinus, che indica un giallo sgradevole alla vista. Una traduzione calzante sarebbe “giallo alla maniera dei Germani”.
I Germani ottenevano questo pigmento da piante come la ginestra, il ginestrone, l’ortica, la felce, la corteccia d’ontano, e altri arbusti. Ciò conferiva alle stoffe un colore un tono spento e slavato.

L’origine del termine galbinus è sicuramente da rintracciare nel germanico gelb (giallo).

Nonostante il termine indichi un colore e sia stato introdotto solo nel I secolo, nella lingua latina non si limita solo a stoffe o vestiti. Il poeta Marziale usa nei suoi scritti galbinus mores (letteralmente “costumi gialli”), per indicare dei comportamenti sconvenienti e immorali.

Mosaico oggi conservato al Museo del Bardo a Tunisi. Si noti come la matrona al centro e la schiava sulla sinistra indossino entrambi abiti gialli.

Il giallo era forse il colore più usato e amato dalle donne romane. Questo era simbolo di gioia, fecondità, prosperità.

Ai tempi della Repubblica, la cerimonia nuziale prevedeva che i due sposi entrassero assieme in una stanza tinta di giallo, simbolo proprio di gioia, prosperità, e fecondità.

Troviamo una conferma diretta dell’associazione degli abiti gialli con il mondo femminile anche in Cicerone. Nel suo In Clodium et Curionem, si trovano tracce dell’articolato travestimento di Publio Clodio Pulcro per intrufolarsi senza essere visto nella casa di Cesare e sedurre Pompea Silla.
Spacciatosi per una donna, Pulcro indossava propria una tunica crocata, color giallo zafferano.

Giallo era anche il colore delle donne consacrate ad Artemide.

Il giallo nel mondo femminile è ancora molto ben testimoniato anche in opere musive e affresco nella tarda antichità.

Il giallo non era tuttavia un colore destinato alle sole donne. Anche gli aruspici, nella Roma repubblicana, indossavano per esempio toghe color zafferano.

In epoca tardo antica, i soldati romani, specie nel IV secolo, indossavano mantelli tra l’ocra e il giallo – Diocleziano nel suo Editto dei Prezzi chiama il colore per tali mantelli “color leone”, che evidentemente indicava una grande varietà di pigmenti.

In abbigliamento, insomma, il giallo aveva una valenza tutto sommato positiva – al contrario dei periodi medievale e rinascimentale, nei quali indossare abiti o comunque sfoggiare stoffe gialle serviva a identificare le prostitute.

Affresco di periodo tardo antico raffigurante la giovane Teodosia, dalla necropoli di Antinoopolis (Egitto).

Nero e bianco

Il nero, fin dagli albori dell’umanità, è sempre stato un colore associato all’oscurità, alla notte, alle tenebre.
In molti miti e religioni del bacino mediterraneo, in origine tutto era nero, non vi era la luce.

Il nero, diversamente da quanto siamo noi abituati a pensar oggi, non aveva però un’accezione intrinsecamente negativa.

Per molti popoli antichi, compresi Greci e Romani, questo era il colore della terra e della fertilità. Questo si nota bene nel sistema dei quattro elementi, citato anche da Aristotele nel IV secolo a.C.: l’aria è bianca, il fuoco è rosso, l’acqua è verde, e la terra è nera.

La natura fertile del nero primordiale ha lasciato il segno anche nell’organizzazione delle società: il bianco era il colore dei sacerdoti, rosso quello dei guerrieri, nero quello degli artigiani.
Nella Roma arcaica, l’associazione di questi tre colori alle tre classi sociali era particolarmente pronunciata.
Anche nelle lingue germaniche si ritrova la medesima triade di colori.

Presso gli Egizi, il nero veniva ottenuto principalmente in due modi: ossido di manganese e carbone. Gli antichi Egizi avevano inoltre scoperto come ottenere l’inchiostro, da una miscela di nerofumo e acqua, allungata con colla animale o gomma arabica.

Gli Egizi erano anche molto esperti nella gamma dei grigi. Furono i primi a notare e usare questo colore, soprattutto per la pittura funeraria, ottenendolo dal carbone con bianco di biacca.

Greci e Romani, invece, usavano soprattutto il nerofumo per decorare piccole superfici. Facevano anche uso di altri carboni ottenuti da legna. Tra questi vi era il nero vite, molto amato dai Romani.

Un altro nero conosciuto da Greci e Romani era il nero d’avorio: un pigmento molto costoso, ottenuto dalla cottura dell’avorio in assenza di ossigeno.
Altri neri o marroni scuri potevano essere ottenuti da alcuni terreni ricchi di manganese. Questo secondo nero era molto opaco e, come il nero d’avorio, molto costoso, estrapolato dai terreni della Gallia e della Spagna.

Per quanto riguarda la tintura, per l’uomo è sempre stato molto difficoltoso tingere di nero.

Ciononostante, i popoli antichi distinguevano, a differenza nostra, una grande varietà, di sfumature e gamme di nero. Anche in questo caso, tuttavia, il lessico appare sempre instabile, sfuggente e impreciso.
Questo poiché anche per il nero, come per gli altri colori, si faceva molta attenzione ad indicarne soprattutto l’effetto della luce, l’opacità e il tipo di superficie.

Il bianco e il nero sono indicati nella lingua latina con più termini: albus e candidus per il bianco (candidus in particolare indicava il bianco acceso; da questo deriva la parola “candidato”), niger e ater per il nero.

Albus inizialmente era il termine più comune, poi andò a indicare solo un “bianco neutro” (un bianco “naturale”, come il colore della lana e del lino non tinti), mentre candidus un bianco luminoso, lucido.

Nella Roma repubblicana, i candidati plebei alle elezioni sbiancavano le loro toghe con la creta: il bianco dei loro indumenti avrebbe contrastato con la massa di colori generalmente anonimi della folla, beige e marroni.
Del resto, “candidato” deriva proprio da “candidus”.
Non sempre però questa parola ha un significato afferente la politica.
Candidati erano anche chiamati quei soldati che attendevano una promozione, nonché i soldati della guardia personale dell’imperatore durante la tarda antichità – questi ultimi proprio in connessione alle loro tuniche e mantelli bianchi.

Celebre mosaico raffigurante Virgilio, in tunica e toga bianche.

Anche se nelle lingue germaniche odierne (tedesco, olandese, inglese) non sono sopravvissuti molti termini per indicare bianco e nero, al contrario in quelle antiche e medievali (proto-germanico, inglese antico, franco, medio olandese, medio-alto tedesco) vi erano molti più termini per indicarli.

Schwarz (termine ancora in uso) indicava solo un nero opaco, mentre blach al contrario era un nero luminoso. Wiz indicava un bianco opaco, mentre blank era il bianco lucido.
Termini simili si trovano anche nell’inglese antico: swart e blaek. Il primo era ancora in voga nel periodo elisabettiano, e lo rimarrà fino al XVIII secolo nelle contee del Nord-Ovest dell’Inghilterra. Similmente alle altre lingue germaniche, wite era il bianco opaco e blank quello lucido.

Cosa curiosa, sembra che blank e blaek abbiamo la medesima etimologia (blik-an, ossia “splendere”).

Il nero e la morte

Oltre ad esser il colore della notte, dell’oscurità, e delle viscere della terra, il nero è anche il simbolo della morte.

Questo si nota bene soprattutto nella religione Egizia, in cui questo colore è associato a molte divinità dell’aldilà come il Dio Anubi, o alle figure di regine e faraoni già divinizzati.
Il nero è un colore ctonio, né dannoso né malefico, ma legato all’aspetto fertile della terra, che accoglie il defunto e lo guida nel suo viaggio ultraterreno. Il nero per gli Egizi era un nero benefico, simbolo di futura rinascita.

Anche presso i Greci e i Latini, il mondo dei morti è spesso descritto come un luogo privo di luce, buio, con acque nere e fangose, circondato da oscurità e nebbia, dove il Sole non sorge mai.
Gli Inferi sono sorvegliati da un enorme e malefico cane nero a tre teste, Cerbero.

Mosaico dalle Terme di Diocleziano (Roma).
Ph. Martina Cammerata Photography

Nel mondo romano, fin dagli inizi del periodo repubblicano, il nero era presente in varie forme (oggetti, offerte, pitture) nei funerali romani.

Dal II secolo a.C., i magistrati prendevano parte ai riti funebri vestiti in nero (praetextam pullam): una pratica che segna l’inizio delle vesti da lutto in tutta Europa e per molti secoli.
Infatti, già sotto il periodo imperiale, l’alta società romana imitava i magistrati. I parenti del defunto si presentavano così in vesti nere non solo ai funerali, ma anche per un periodo più o meno prolungato dopo la morte del loro familiare – il lutto, per l’appunto.

Il lutto era concluso da un banchetto, nel quale ci si vestiva al contrario in bianco.

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In realtà però, gli abiti da lutto Romani erano scuri, più che propriamente neri. L’aggettivo pullus, usato per indicare queste vesti, generalmente si riferisce a un indefinito colore scuro, tra il grigio ed il marrone.
Alcuni autori lo indicavano anche come sinonimo di ater, ma rimane comunque il fatto che il colore di questa toga era più simile a un grigio cenere che non a un vero e proprio nero.

Nella Roma imperiale, il nero sembra aver quindi perso il suo aspetto benefico di fecondità e fertilità, che invece possedeva in Egitto, Medio Oriente, e Grecia Arcaica.

Gli aggettivi ater e niger, inoltre, sembrano portare molti significati figurativi peggiorativi: sporco, triste, cupo, malevolo, ingannevole, crudele, dannoso, mortale.

Ma in principio solo ater aveva una tale connotazione negativa (termine dal quale deriva del resto l’italiano “atro”).

Leggi anche:
I colori nel mondo antico. (1) Percezione ed etica del colore

I colori nel mondo antico. (2) Verde e blu

I colori nel mondo antico. (3) Rosso e porpora

Bibliografia

La produzione letteraria inerente il mondo dei colori è vasta e variegata. Ci limitiamo per cui a segnalare alcuni titoli principali dai quali iniziare a studiare il tema, tanto per quanto concerne le fonti che gli studi moderni.

Fonti antiche

Plinio, Naturalis Historia

Studi

M. Bradley 2011, Colour and Meaning in Ancient Rome

M. Pastoureau 2002, Blu. Storia di un colore

M. Pastoureau, D. Simmonet 2006, Il piccolo libro dei colori

M. Pastoureau 2008, Nero. Storia di un colore

M. Pastoureau 2013, Verde. Storia di un colore

M. Pastoureau 2016, Rosso. Storia di un colore

M. Pastoureau 2019, Giallo. Storia di un colore


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