
Titolo: “Romanland. Ethnicity and Empire in Byzantium”
Autore: Anthony Kaldellis
Anno prima pubblicazione: 2019
Editore: Harvard University Press
Lingua: inglese
Uno dei migliori libri che abbia letto negli ultimi anni.
Per chi conosce i lavori di Anthony Kaldellis e il mio pensiero, sarà facile immaginare come mai sia entusiasta di recensire “Romanland“.
Il prof. Kaldellis è attualmente lo studioso che con più forza ribadisce e dimostra, con tutte le fonti alla mano, la romanità dell’impero romano durante il Medioevo – concetti ribaditi e studiati nei suoi articoli e in altri suoi saggi, come The Byzantine Republic e Hellenism in Byzantium.
In “Romanland”, Kaldellis fa un salto in avanti per dimostrare la romanità dei “bizantini”, affrontando temi che vengono spesso tenuti a margine, quando si parla di mondo antico, anche se onnipresenti nelle fonti: identità ed etnia.
Il prof. Kaldellis dimostra in modo inequivocabile come i Romani si identificassero in un’etnia specifica (ethnos), diversa dalle altre, e facilmente identificabile – anche per i moderni canoni della definizione di “etnia”.
E questo non era chiaro solo per i Romani stessi, ma anche per coloro che non risiedevano nell’impero e che eventualmente volevano diventare Romani a loro volta.
Tuttavia, il concetto forse più interessante e rivoluzionario di “Romanland” è un altro, come vedremo a breve.
Il libro si struttura in due parti principali: “Romans” e “Others”.
La seconda parte, come è intuitivo, si concentra soprattutto sulla percezione esterna e sulle minoranze etniche all’interno dell’impero romano, con un particolare focus sui secoli IX-XI, nonché su quella che era una vera e propria “dissoluzione etnica”: nel corso del tempo, le etnie che erano assorbite dal mondo romano sparivano, andando ad allargare il bacino dei Romani propriamente detti diventandolo a loro volta.
È però la prima parte quella che, a mio parere, desta maggiormente l’attenzione.
Per i non addetti ai lavori, sarà forse sorprendente scoprire nel capitolo “A History of denial” che i primi a ripudiare la romanità dei Romani nel medioevo, salvo alcune eccezioni, sono stati i bizantinisti.
A leggere il capitolo, ci si rende conto di come la nozione che l’impero sia sempre ed effettivamente romano (come chiunque tra i contemporanei riconosceva) sia maggiormente accolta dagli studiosi dell’evo antico, piuttosto che dai bizantinisti.
Senza voler generalizzare, ovviamente. Si parla qui della maggioranza di quelli che Kaldellis menziona.
Tuttavia la romanità dei Romani nel medioevo (seguendo un processo e un’evoluzione che erano presenti già da secoli) emerge ovunque dalle fonti: chiunque sapeva come identificare un Romano. Lingua, usi e costumi, religione, discendenza. Kaldellis si spende nel portare innumerevoli testimonianze che dimostrano in modo inconfutabile questo aspetto.
Sempre in questa prima parte è presentato anche un concetto che per i più non è ovvio, né scontato: Roma cessa di essere, almeno dal III sec., la città di Roma.
“Roma” era ovunque, poiché ovunque replicata, e tutto il territorio imperiale era, se non Roma stessa come molti autori dell’antichità lasciano esplicitamente scritto, un gigantesco hinterland di Roma (e di Nuova Roma, i.e. Costantinopoli, poi).
Questa Roma immensa era chiamata, dal popolo prima ancora che dalle élite, Romanìa, ovvero “terra dei Romani” (da qui il titolo del libro).
Un territorio dove l’etnia preponderante, quasi esclusiva, dal punto di vista numerico era costituita dai Romani, che erano in grado di riconoscersi tra loro come etnia e identificarsi in un sistema-mondo comune, che esprimevano sinceri sentimenti patriottici verso di esso.
È qui, nella prima parte del libro, che il prof. Kaldellis espone un’idea pressoché rivoluzionaria.
La Romanìa tra il III e il IV secolo cessa di essere un impero* e diventa a tutti gli effetti una nazione.
Alla luce delle fonti portate da Anthony Kaldellis, rileggendole, confrontandole con le nostre definizioni di etnie e nazioni, è difficile non rimanere imbrigliati da questo concetto.
“Romanland“, pur parlando principalmente del periodo medievale, vi aprirà un mondo anche per una diversa e migliore interpretazione del mondo romano antico e tardoantico.
Vi metterà anche di fronte a tematiche che in questi ultimi anni sono discusse e viste in modo scomodo per la loro complessità, quali identità, etnia, nazione.
È un lavoro come da tempo ce n’era bisogno.
Aggiungi “Romanland” alla tua libreria.
Leggi anche Bisanzio non esiste. Quattro motivi per smettere di chiamare “bizantini” i Romani durante il medioevo.
*Con “impero” si intende in una delle definizioni moderne del termine, ovvero un sistema dove troviamo un’etnia dominante, non necessariamente maggioritaria, che governa molti altri popoli ed etnie di rango subalterno.
In questo senso, Roma può essere considerata un sistema imperiale già dal periodo repubblicano.
A livello giuridico, la politeia romana dal I sec. d.C. resta un impero poiché retta da un imperatore (anche se anche in questo caso siamo di fronte a termini e concetti moderni; la terminologia e i concetti dell’evo antico, nel quale ancora in età giustinianea si parla di res publica, sono molto più complessi).
Bellissima recensione!
“La Romanìa tra il III e il IV secolo cessa di essere un impero* e diventa a tutti gli effetti una nazione.”
Idea che mi è nuova e che trovo interessantissima, penso proprio che recupererò il libro.
Ho due domande.
1. L’autore riconosce un ruolo all’esercito come istituzione che permetteva l’integrazione di persone esterne all’impero?
2. Come viene affrontato il discorso religioso? Il periodo tardo antico è anche quella della conversione al cristianesimo e della faticosa definizione di un “canone di fede”.
Grazie in anticipo per le risposte e per l’articolo!
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Grazie, sono contento che sia piaciuta!
Il libro vale davvero la pena.
1. In parte sì, ma non lo affronta moltissimo come tema poiché il suo studio è soprattutto rivolto ai secoli VIII-XI, pur con molti rimandi a secoli precedenti. In questo periodo, e già dalla fase finale della tarda antichità, l’esercito ha perso il suo ruolo di integrazione (appunto perché i Romani erano già l’etnia maggioritaria).
2. Il discorso della religione è affrontato in chiave di definizione dell’identità e dell’ethnos presso i Romani. Ne diventa uno dei tratti importanti, anche se dietro ad altri parametri (es. lingua, usi e costumi). Il discorso religioso è affrontato più che altro in questo senso.
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