Nel 629, Maometto porta a termine una prima unificazione dell’Arabia sotto i vessilli della nuova religione della quale è il Profeta, l’Islam.
Dopo aver concluso un patto di alleanza i suoi nemici più ostici, i Quraysh della Mecca, Maometto inizia a guardare a nord.
Il Profeta invia lettere ed emissari a tutti i sovrani confinanti (tra cui l’imperatore Eraclio e l’imperatore sasanide), invitandoli a convertirsi all’Islam. C’è ben da credere che il messaggio sia stato nella maggior parte dei casi ignorato, se non apertamente rigettato.
Gli Arabi cristiani di Giordania, i Ghassanidi, secolari vassalli e alleati dei Romani, non hanno mezze misure. L’emissario di Maometto inviato presso di loro a Bosra viene ucciso.
Per punire i Ghassanidi, Maometto invia una forza di Arabi musulmani di forse tremila uomini al comando di Zayd ibn Haritah.
Il comandante dei Romani in Oriente è Teodoro, fratello dell’imperatore Eraclio, forse con la carica di magister militum per Orientem – nelle fonti imperiali è però ricordato come “vicarius”.
Venuto a sapere della presenza dell’esercito di Zayd nell’area di Balqa, Teodoro raduna una forza tra i Romani della zona e gli alleati Ghassanidi per piombare di sorpresa sui musulmani, forse mentre sono in preghiera (“il giorno che avrebbero sacrificato agli idoli”, riporta in modo erroneo Teofane Confessore).
Non sappiamo quanti uomini compongano l’esercito di Teodoro. Una stima prudente di al massimo diecimila uomini è realistica – chiaramente non hanno alcun fondamento le cifre mirabolanti delle fonti islamiche, che arrivano a dire duecentomila uomini.
Al contrario delle previsioni di Teodoro, l’esercito di Zayd non si fa tuttavia trovare impreparato. Pur in forte inferiorità numerica, accetta di dare battaglia, vicino al villaggio di Mu’tah.
I musulmani prendono il controllo di un terreno che nega ai Romani il vantaggio immediato della superiorità numerica – a seconda delle fonti, un’altura o uno spazio protetto da due alture sui lati.
Non sappiamo quasi nulla della battaglia, se non che è uno scontro feroce. Zayd resta ucciso, seguito a ruota da altri due comandanti che Maometto stesso aveva designato per sostituirlo.
Nonostante lo schieramento iniziale, l’esercito romano e degli alleati prende il sopravvento.
Il destino dell’esercito musulmano sembra segnato.
Ma gli Arabi hanno la fortuna di avere tra le loro fila un comandante che nel giro di pochi anni assurgerà alla Storia come uno dei più grandi condottieri di tutti i tempi: Khalid ibn al-Walid.
Khalid prende il comando della situazione e, dopo aver rintuzzato gli attacchi dei Romani probabilmente con la sua cavalleria, fa l’unica cosa sensata: portare in salvo le forze rimaste, col favore delle tenebre.
I Romani e i Ghassanidi, ottenuta la vittoria, non si arrischiano a inseguire i musulmani nel deserto.
Del resto, ai loro occhi non ve n’è certo bisogno.
Per Teodoro, quella sconfitta a Mu’tah non è altro che la solita incursione di frontiera, votata a fare saccheggio per poi sparire, come se ne vedevano da secoli.
Nessuno poteva prevedere i futuri sviluppi.
E le future sconfitte di Dathin, Ajnadayn e Yarmuk avrebbero dimostrato quanto Teodoro, quanto tutti quanti, si fossero sbagliati.

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P. Crawford 2013, The War of the Three Gods